Piano nazionale ripresa resilienza: cercasi miracolo
Piano nazionale di ripresa e resilienza:
cercasi miracolo
di Alberto Madoglio
Piano nazionale di ripresa e resilienza:
cercasi miracolo
di Alberto Madoglio
Big Pharma: miliardi di profitti sulla salute dei lavoratori
di Alberto Madoglio
25 aprile. Ricordando una rivoluzione tradita dallo stalinismo
di Salvatore de Lorenzo
Governo Draghi: quando il buongiorno si vede dal mattino
di Alberto Madoglio
Fermiamo il genocidio: sospensione immediata dei brevetti sui vaccini!
LIT- Quarta Internazionale
La Comune e l'Internazionale
La battaglia di Marx per guadagnare
la Prima Internazionale al comunismo
"La Prima Internazionale ci ha dato un programma e una bandiera. La Seconda Internazionale consentì alle masse di erigersi saldamente sulle proprie gambe. La Terza Internazionale ha fornito un esempio di eroica azione rivoluzionaria. La Quarta Internazionale condurrà alla vittoria finale!"
Lev Trotsky ("La Francia è ora la chiave della situazione", marzo 1934) (1)
di Francesco Ricci
Quattro sono le organizzazioni internazionali che il movimento operaio ha costruito in due secoli di storia.
L'Associazione Internazionale dei lavoratori (o Associazione Internazionale operaia, da ora in poi Ail o Prima Internazionale), che fu attiva dal 1864 al 1872 (anche se formalmente si estinse nel 1876); la Seconda Internazionale, che fu costituita nel 1889 a Parigi e che morì, di fatto, allo scoppio della prima guerra mondiale, quando la quasi totalità dei partiti che la componevano sostenne i rispettivi governi borghesi nel grande macello della guerra imperialista; l'Internazionale comunista (o Terza Internazionale) che prese le mosse al momento della crisi della Seconda ma la cui nascita formale avvenne nella Mosca sovietica nel marzo 1919 e il cui atto di morte fu stilato per mano stalinista nel 1943, quale omaggio all'imperialismo anglo-americano con cui la burocrazia diretta da Stalin si stava spartendo il mondo in zone d'influenza, rinunciando anche formalmente a ogni sviluppo rivoluzionario mondiale, dopo avervi già rinunciato nei fatti a partire dalla seconda metà degli anni Venti. Infine la Quarta Internazionale, fondata da Trotsky e dagli altri bolscevichi sopravvissuti ai colpi incrociati del fascismo e dello stalinismo: si tratta dell'internazionale che fu battezzata nel 1938 ma le cui origini risalgono alla battaglia avviata da Trotsky e dall'Opposizione russa contro lo stalinismo già alla metà degli anni Venti. Quell'internazionale ha subito, dagli anni Cinquanta, un lungo processo di deriva politica e di conseguente frantumazione organizzativa. La Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale (di cui il Pdac è sezione italiana) si considera lo strumento per ricostruirla oggi.
La vera madre dell'Ail è la crisi economica del 1857-1858 che determina ‑ così come succede con la crisi odierna che stiamo vivendo, iniziata nel 2007 ‑ tanto un aggravarsi dell'attacco della borghesia agli operai per recuperare il tasso di profitto perduto, come una risposta di lotta degli operai. Il biennio 1858-1859 è caratterizzato da un aumento degli scioperi in vari Paesi europei e da una loro radicalizzazione. Di particolare importanza è lo sciopero degli operai portuali di Londra da cui nasce, per coordinare la lotta, la London Trades Council, i cui principali dirigenti ritroveremo pochi anni dopo alla testa dell'Ail. Ma i facchini del porto sul Tamigi sono solo una parte della nuova avanguardia di lotta che si è risvegliata dopo i dieci anni di riflusso seguiti alla sconfitta delle rivoluzioni del 1848. In prima fila ci sono anche gli operai edili inglesi che con scioperi durissimi impongono nel 1861 la riduzione della giornata lavorativa (a nove ore e mezza!).
Questa ondata di scioperi induce i padroni a usare il ricatto della mano d'opera straniera a minor costo. In risposta gli operai comprendono la necessità di coordinarsi di là dalle frontiere per spezzare il meccanismo della "concorrenza" tra lavoratori.
Ma, come rimarca David Rjazanov (2), di certo uno dei massimi esperti di storia dell'Ail e del marxismo, non sono solo le esigenze pratiche del momento a indurre gli operai di diversi Paesi a unirsi, bensì anche la politica e in particolare l'entusiasmo che suscitano in quegli anni nelle masse del Vecchio continente le lotte per l'indipendenza nazionale in Italia (Garibaldi era una figura celebre tra gli operai europei) e in Polonia. In quest'ultimo Paese è in corso, a inizio degli anni Sessanta, una sollevazione contro l'oppressione della Russia zarista.
Ed è proprio il tema della solidarietà con le masse rivoluzionarie polacche a condurre all'organizzazione, il 28 aprile 1863, a Londra, di una grande assemblea presieduta dal filosofo positivista Edward Spencer Beesly; un'altra grande assemblea sarà organizzata nel luglio dello stesso anno. In queste assemblee si riannodano rapporti instaurati tra gli operai inglesi e quelli francesi che si erano incontrati all'Esposizione universale di Londra l'anno prima: nel corso del 1862 erano stati infatti oltre 700 gli operai francesi recatisi in vari momenti a Londra.
Gli operai francesi erano in quel periodo in lotta, come i loro compagni inglesi, contro i tentativi borghesi di scaricare la crisi sulle spalle dei lavoratori. La Francia era governata da Napoleone III (dal 1852 proclamatosi "imperatore"), che dominava con un misto di concessioni paternaliste e repressione.
Il 23 luglio 1863 un gruppo di operai francesi, guidati da Tolain, proudhoniano (avremo modo in seguito di tornare su questa figura e sul proudhonismo), partecipa a un'iniziativa pubblica organizzata dal London Trades Council. I rapporti tra i capi degli operai inglesi (guidati da Odger e Cremer) e i capi degli operai francesi (guidati da Tolain) si fanno più intensi. Viene convocata a Londra per il 10 novembre 1863 una riunione ristretta chiamata a discutere una bozza di lettera degli operai inglesi ai compagni francesi. Il testo di questa lettera aperta, scritta da Odger, pone al centro la necessità di "una comune associazione tra coloro che col proprio lavoro producono tutto ciò che è essenziale alla vita dell'umanità." (3) E' necessario organizzare una più grande assemblea operaia internazionale per discutere di questi temi. I preparativi proseguono per vari mesi finché questa assemblea è convocata a Londra per il 28 settembre 1864.
Per celebrare questa assemblea (che passerà alla storia, ma gli organizzatori non possono nemmeno immaginarlo) si sceglie una sala nella zona operaia di Londra: la St. Martin's Hall, in un edificio eretto nel 1850, una sala abitualmente utilizzata per assemblee sindacali e politiche.
La partecipazione dei lavoratori è talmente massiccia che la sala li contiene a malapena. La presidenza è tenuta dal filosofo Beesly. Sono presenti operai di varie parti d'Europa (in particolare rifugiati politici italiani, ungheresi, polacchi, irlandesi) ma le delegazioni più numerose sono quelle dei due gruppi promotori: i tradunionisti (cioè i membri delle Trade unions, i sindacati) inglesi, guidati da George Odger, calzolaio, e da William Cremer, carpentiere; e i francesi, alla cui testa sono Henri Luis Tolain, cesellatore, e Ernest Fribourg, incisore.
Partecipano poi vari esuli tedeschi e tra loro Karl Marx, che è accompagnato da Johann Georg Eccarius, sarto, ex dirigente della Lega dei Comunisti (l'organizzazione per cui Marx ed Engels avevano scritto nel 1847-1848 il celebre Manifesto).
Circolano da decenni due leggende a proposito di questa storica assemblea: una vuole che Marx avrebbe dominato l'assemblea fondativa (in qualche didascalia di immagini riferite ad altri momenti lo si fa tenere un discorso il 28 settembre); in altre ricostruzioni (specie di matrice anarchica) si dice che capitò lì quasi per caso.
Non è vera né l'una né l'altra cosa. Non fu Marx a organizzare il 28 settembre e non tenne alcun discorso: al contrario, rimase in silenzioso ascolto. Ma non per questo la sua presenza fu casuale: l'esplicito invito gli era giunto dagli organizzatori perché il suo nome era già molto noto tra gli operai d'avanguardia, non per le sue opere, ancora scarsamente diffuse, né per il Capitale, cui stava lavorando (e che uscirà solo nel 1867), ma per la sua attività politica e giornalistica.
E' per questi motivi che quando l'assemblea, dopo aver deciso di dare vita a una "unione internazionale" (il nome rimane per il momento indefinito), elegge un comitato provvisorio incaricato di dirigere i primi passi dell'organizzazione e redigere il programma e lo statuto, Marx è chiamato a farne parte. Non solo: viste le sue conosciute capacità ed esperienza, è inserito anche nella commissione ristretta eletta in seno al comitato o Consiglio centrale (dal 1866 si chiamerà Consiglio generale). Quest'ultimo organismo è composto di 31 membri: tra loro Odger è eletto presidente, Cremer segretario, mentre Marx svolge per il momento solo il ruolo di responsabile per la Germania.
Marx non è dunque il "fondatore" dell'Ail, come talvolta si ripete, d'altra parte la sua partecipazione a quello che inizialmente appare come un esperimento è spiegata da Marx stesso come un fatto non certo accidentale. In varie lettere di quei mesi (4) Marx insiste su un punto: questa nuova organizzazione differisce profondamente da tanti altri tentativi analoghi degli anni precedenti, da cui Marx si era tenuto a debita distanza (con l'eccezione della partecipazione alla Lega dei Giusti-Lega dei Comunisti, che rimase comunque una organizzazione di proporzioni ben minori della successiva Ail, non superando mai i 250 membri). Per Marx la differenza essenziale tra l'Ail e precedenti strutture come la Società universale dei comunisti rivoluzionari, la London Democratic Society diretta da Harney e Bronterre O'Brien (ispirata dalle posizioni di Buonarrotti), i Fraternal Democrats, e tante altre, sta in due elementi congiunti: nell'Ail sono presenti i dirigenti reali del movimento operaio (inglese e francese soprattutto); e il progetto non nasce dal sogno di qualche intellettuale filantropico ma scaturisce dalle lotte concrete, economiche e politiche, degli operai.
Il che non significa, s'intende, che l'Ail nasca come internazionale "socialista" già perfetta come Venere uscì da una conchiglia. Negli stessi discorsi che vengono pronunciati quel 28 settembre alla St. Martin's Hall il socialismo non fa quasi mai capolino. C'è il concetto di unione di classe e di lotta: ma è interpretato diversamente a seconda dell'oratore. Gli inglesi pensano soprattutto all'aspetto sindacale della lotta, i francesi rimasticano i concetti di Proudhon, padre dell'anarchismo e di un socialismo piccolo-borghese, non rivoluzionario.
Il socialismo rivoluzionario deve ancora essere portato nell'Ail. E' appunto questo il compito che Marx si prefigge e a cui dedicherà anni di appassionata lotta politica. Peraltro è questo che contraddistingue il vero Marx, che è estraneo all'immagine di comodo che ne è stata data per decenni (con la legittimazione, purtroppo, anche della sopravvalutata biografia di Franz Mehring - 5) di un Marx "economista" o comunque periodicamente dedito a lunghi periodi di ritiro filosofico. Al contrario, la teoria fu per Marx sempre e soltanto funzionale all'azione rivoluzionaria. Se guardiamo a tutta la biografia di Marx, non vi è un periodo in cui non si occupò di politica per dedicarsi al solo studio. E la conferma maggiore ci viene proprio dall'analisi di questi anni che vanno dalla fondazione dell'Ail al suo declino, cioè dal 1864 al 1872: sono in parte gli anni di gestazione del Capitale (il Primo libro uscirà nel 1867), eppure Marx si butta a capofitto nella lotta politica quotidiana. Di più: tra i motivi del ritardo nell'elaborazione del Capitale c'è, oltre alla ossessione di Marx per leggere ogni testo possibile su un tema prima di completare anche solo un singolo paragrafo, proprio l'attività politica frenetica svolta al ritmo di decine di riunioni, la scrittura di infinite lettere, risoluzioni. In Marx il lavoro di ricerca teorica e il lavoro pratico sono sempre strettamente intrecciati. Molti elementi e osservazioni che fanno da sfondo al Capitale sono tratti dall'esperienza politica di Marx; così come le conclusioni cui via via giunge nella sua opera più importante si riflettono nell'azione politica: si pensi alla famosa conferenza che Marx tiene per il Consiglio generale dell'Ail nel giugno 1865 per spiegare i meccanismi dell'economia capitalistica e per confutare le ingenuità e gli errori di altri dirigenti operai: gli assi di questo testo sono il frutto dello studio fatto per il Capitale, che diventano elemento di battaglia politica (la conferenza sarà poi racchiusa nell'opuscolo noto col titolo di Salario, prezzo e profitto in cui molti concetti del Capitale vengono popolarizzati).
Alla riunione del Comitato provvisorio del 12 ottobre 1864 è approvata la proposta di Eccarius di denominare la nuova organizzazione Associazione Internazionale dei lavoratori. Nel frattempo la commissione incaricata di redigere le bozze si riunisce varie volte ma Marx, malato, non vi può partecipare.
L'inglese John Weston (su posizioni vicine a quelle del socialista utopista Owen) redige una prima bozza di "dichiarazione di principi" e il maggiore Wolff (che vari anni dopo si scoprì essere una spia al soldo tanto dei prussiani come di Napoleone III), uomo molto vicino a Mazzini (6), ha preparato una proposta di statuti. Si tratta di testi politicamente molto deboli, intrisi di sentimentalismo, ed Eccarius raccomanda a Marx di non mancare la successiva riunione della commissione in cui Eccarius stesso, spalleggiato da Cremer e da Odger, propone che sia affidato a Marx l'incarico di "rivedere" queste prime bozze.
In realtà Marx cestina i due testi e ne riscrive di nuovi, limitandosi a mantenere qualche aggettivo innocuo, per non urtare gli estensori delle bozze. E' Marx a raccontare così a Engels: "Tutte le mie proposte furono accettate dal sottocomitato. Solo, venni obbligato a inserire nel preambolo dello statuto due frasi su 'duty' e 'right' e così pure su 'truth morality and justice', che però sono così collocate da non poter arrecare alcun danno." (7).
E' in questo modo che Marx scrive quel testo al contempo sintetico e tagliente che è l'Indirizzo inaugurale. Un testo che, pur più moderato nella forma del Manifesto del '48 (e anche più breve), contiene tutti i principi fondamentali del Manifesto. L'Indirizzo descrive (in modo brillante anche dal punto di vista letterario) la condizione degli operai nella società divisa in classi; rivendica l'importanza che il proletariato faccia pesare il suo numero organizzandosi e dotandosi di un programma adeguato; critica di passata i limiti riformisti del proudhonismo; rivendica l'importanza che gli operai si interessino non solo della lotta sindacale ma anche della lotta politica e in particolare della politica internazionale. (8) Gli stessi concetti sono nel preambolo politico agli statuti. Si tratta di concepire l'Ail come lo strumento per guadagnare le avanguardie operaie alla comprensione che l'unico modo per liberarsi dallo sfruttamento capitalistico è abbattere la società divisa in classi attraverso una rivoluzione in cui il proletariato conquisti il potere. Ogni lotta parziale ha senso solo in questa prospettiva.
In altre parole, Marx fin dal primo giorno impegna nell'Ail una battaglia che ha per obiettivo quello di delimitare programmaticamente l'internazionale e per questo non fa nessuna concessione programmatica (se non qualche aggettivo innocuo). Questa constatazione si impone con evidenza a chiunque si prenda la briga di studiare la storia dell'Ail e dunque risulta infondata la teoria che accredita Marx come sostenitore di un "partito unico" della classe operaia, non delimitato programmaticamente, senza distinzione tra riformisti e rivoluzionari. Citare il fatto che nell'Ail convivessero mazziniani, anarchici, lassalliani, proudhoniani ecc. come riprova di una concezione "unitarista" di Marx significa ignorare deliberatamente la battaglia che Marx fece in quegli anni e di cui si trova ampia testimonianza nei testi innumerevoli che scrisse per l'Ail.
Certo, il percorso di delimitazione ideologica passava per la sconfitta di tutte le altre correnti e non fu cosa né semplice né breve. Il risultato non poteva essere conseguito in un solo giorno: si trattava di battere politicamente le tendenze politiche che dominavano l'Ail. Non deve infatti trarre in inganno il fatto che l'Indirizzo scritto da Marx venisse approvato all'unanimità: si trattava di una accettazione prevalentemente passiva: nel 1864 la conquista di questi operai e dell'intera internazionale al marxismo era appena cominciata.
Marx si getta a capofitto in questa impresa. E' convinto di avere finalmente un ambito in cui raccogliere le migliori avanguardie di lotta e fondere la lotta e il socialismo scientifico. Ben presto Marx, che inizialmente era rimasto in silenzio, e che poi si era guadagnato l'incarico di scrivere i testi fondativi, diventa il principale dirigente di fatto del Consiglio. Come scrive in una lettera a Engels: "A parte il lavoro per il mio libro [il Capitale, ndr] l'Ail mi prende un mucchio di tempo, dato che io sono nei fatti alla testa di questa cosa." (9)
Ed è vero: il Consiglio si riunisce, dal giorno della fondazione (1864) fino al Congresso dell'Aja (1872), ben 385 volte. A parte le riunioni, Marx è responsabile, come abbiamo visto, per la Germania e, dal 1870, anche per la Russia. Ma il suo lavoro è molto più ampio e per questo intrattiene una corrispondenza quotidiana con le sezioni di decine di Paesi; scrive la gran parte dei testi ufficiali dell'Ail; organizza le riunioni internazionali, che si svolgono con cadenza annuale, pur partecipando, dopo la fondazione, solo alla Conferenza di Londra del 1871 e al Congresso dell'Aja del 1872, cosa che viene in genere segnalata dai sostenitori del "Marx filosofo" come prova di quel preteso disinteresse (di cui si è detto) di Marx per la politica quotidiana.
In questo lavoro incessante Marx non trova, almeno per i primi anni, nemmeno il sostegno diretto di Engels che è ancora costretto a vivere a Manchester per assicurarsi (con l'azienda di famiglia) i denari necessari a mantenere Marx e a finanziare il movimento. Solo dal 1869, Engels finalmente potrà smettere con l'odiato lavoro e si trasferirà a Londra assumendo il ruolo di fatto di segretario organizzativo dell'Ail, nonché facendosi assegnare la responsabilità per vari Paesi (Spagna, Italia e Danimarca).
E' impossibile delineare qui in modo compiuto ciascuna delle battaglie del marxismo contro le altre correnti, che costituiscono la storia stessa dell'Ail. Limitiamoci a elencarle: abbiamo la battaglia contro il democraticismo piccolo-borghese dei mazziniani; contro il lassallismo (10), che subordina la lotta operaia all'elettoralismo e alle manovre segrete con Bismarck; contro il mutualismo proudhoniano (su cui torneremo tra poco diffusamente); contro l'estremismo blanquista, nutrito di ricordi della Grande rivoluzione francese; contro il tradunionismo inglese, che concepisce la lotta nel solo ambito sindacale (mentre per Marx si tratta di andare oltre l'obiettivo di un "equo" salario, battendosi per la soppressione del sistema fondato sul lavoro salariato) e che sul piano politico si subordina alla democrazia radicale borghese (sostenendo ad esempio il proprio imperialismo contro la causa nazionale irlandese, di cui Marx fu invece sempre attivo sostenitore). L'ultima e più intensa battaglia di Marx nell'Ail sarà quella contro il bakunismo e sarà oggetto dell'ultima parte di questo saggio.
Delle tante battaglie combattute da Marx nell'Ail, quella contro il proudhonismo fu una delle più difficili.
Se la componente inglese dell'Ail era relativamente "apolitica" (cioè subalterna alla democrazia borghese), la componente francese arrivava impregnata delle posizioni di Pierre-Joseph Proudhon. Proudhon, operaio autodidatta, è considerato il "padre dell'anarchismo", per quanto l'anarchismo sviluppatosi successivamente e quello che conosciamo noi oggi sia maggiormente debitore alla variante "di sinistra" di Bakunin.
Il nocciolo delle teorizzazioni di Proudhon era l'ostilità contro ogni Stato. Proudhon voleva "abolire" lo Stato (e dunque era ostile anche alla dittatura del proletariato e a una economia pianificata centralmente), sostituendolo con "comuni" federate. Dal punto di vista del programma economico, Proudhon vagheggiava un'economia basata sulla piccola produzione, associata in cooperative finanziate da "banche del popolo" che elargissero un "credito gratuito". Suo modello era il "mutualismo", una mutua assistenza tra gli individui, sulla base di un contratto sociale, di là dalle classi di appartenenza. Non si trattava di "espropriare gli espropriatori" ma di riformare la circolazione delle merci e lo scambio; non rovesciare il capitalismo ma in qualche modo... aggirarlo.
Proudhon riadattava alcune delle concezioni di Max Stirner (autore nel 1845 de L'unico e la sua proprietà), uno dei giovani hegeliani del gruppo in cui spiccavano Feuerbach e Marx. Stirner era contro ogni forma di coercizione del singolo, per questo rifiutava lo Stato ma anche qualsiasi assemblea che deliberasse a maggioranza, ritenendo che il singolo non debba avere nessun vincolo. La liberazione dell'uomo era per Stirner non collettiva, non sociale: era una rivolta individuale. Queste posizioni furono bersagliate dal sarcasmo di Marx ed Engels ne L'ideologia tedesca.
Il proudhonismo riprendeva temi della filosofia di Stirner dando a essi una coloritura più sociale. Ed era in buona sostanza il riflesso di una fase in cui nella produzione predominava l'artigianato. Nel proudhonismo troviamo, miste a idee filantropiche, idee francamente reazionarie: come il rifiuto dell'educazione pubblica (l'educazione doveva dipendere dalla famiglia); la concezione della donna come subalterna all'uomo e inadatta al lavoro esterno all'ambito domestico; il ripudio del comunismo inteso come limitazione della libertà individuale; l'idea di una grande conciliazione universale tra gli uomini.
Già nel 1847, col suo La miseria della filosofia, Marx aveva distrutto la debole impalcatura teorica di Proudhon cogliendone l'essenza nel vano tentativo di porre rimedio ai mali del capitalismo riformandolo senza abolire con la rivoluzione la società divisa in classi.
Questo impasto di ideali utopistici e di pregiudizi reazionari predominava in Francia tra le avanguardie operaie. L'orientamento politico concreto del proudhonismo si rivelava nel Manifesto dei sessanta (tale era il numero dei firmatari) che nel febbraio 1864 (pochi mesi prima della nascita dell'Ail) raccolse le avanguardie operaie francesi attorno alla candidatura di Tolain alle elezioni. Il testo affermava che la classe operaia si doveva schierare a sostegno dell'opposizione liberale borghese e che l'elezione di propri rappresentanti diretti nelle istituzioni aveva il solo scopo di pungolare la borghesia, rafforzando così l'opposizione liberale.
Marx dovette fare i conti con queste posizioni nell'Ail e nei congressi queste posizioni furono infatti maggioritarie almeno fino al 1868, quando furono per la prima volta battute (è in quell'anno che il congresso dell'Ail si pronuncia per la prima volta esplicitamente a favore della proprietà collettiva dei mezzi di produzione), per poi essere definitivamente schiacciate l'anno dopo a Basilea.
Ma vediamo più da vicino il dibattito dei congressi dell'Ail.
L'attività preminente dell'Ail nella fase iniziale consisteva soprattutto nell'organizzare una concreta solidarietà tra le diverse lotte nei diversi Paesi, raccogliendo fondi e sostenendo casse di resistenza.
Come abbiamo visto, però, i temi politici (e la politica internazionale specialmente) facevano parte della vita dell'Ail fin dalla sua fondazione e, col passare degli anni, divennero parte costitutiva ed essenziale (si pensi anche soltanto all'intervento dell'Ail a sostegno della Comune di Parigi, tema su cui torneremo più avanti).
Dal 1864, anno della fondazione, l'Ail si riunì ogni anno in un congresso mondiale o, quando non fu possibile (a causa della repressione dei governi borghesi), in conferenze.
Nel settembre 1865 si tenne una conferenza a Londra. Il Consiglio annunciò che erano stati presi nuovi contatti per estendere l'Ail fuori dall'Europa: negli Stati Uniti (grazie alla presenza di emigrati tedeschi) e persino in Brasile ed Egitto. Negli anni seguenti le sezioni principali saranno comunque quelle di Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Svizzera. In seconda fila, dal punto di vista numerico, si collocavano le sezioni di Spagna, Polonia, Russia, Ungheria e Italia. Nel nostro Paese l'Ail nascerà in ritardo: la prima sezione effettiva si costituì infatti a Napoli nel gennaio 1869, promossa da un avvocato bakunista, Carlo Gambuzzi, e da un sarto anarchico, Stefano Caporusso (11).
I temi della conferenza del 1865 furono quello della religione (molto sentito dai proudhoniani): ma passò la decisione di rinviarlo al congresso dell'anno successivo; e i problemi pratici, di cassa: il tesoriere rivelò infatti che le casse dell'organizzazione erano vuote e restava appena il necessario per pagare la sede centrale.
Fu l'anno dopo, con il congresso che si tenne a Ginevra in settembre, che si registrarono significativi sviluppi e un ventaglio di nuovi temi in discussione. Nel giugno di quello stesso 1866 i membri inglesi dell'Ail avevano guidato le mobilitazioni imponenti con cui era stato imposto un relativo ampliamento del diritto di voto per gli operai (maschi e con la disponibilità di un certo reddito).
Il congresso registrò la costituzione di 25 sezioni nazionali, rappresentate da una sessantina di delegati. La prima parte del congresso fu animata dall'arrivo di un gruppo di giovani blanquisti francesi, guidati da Protot (futuro delegato alla Giustizia nella Comune del 1871) che, non condividendo la linea di Blanqui (12), che preferiva non entrare nell'Ail, cercarono di essere ammessi. Tuttavia, essendo sprovvisti di deleghe vennero messi alla porta.
Il dibattito sulla religione non portò a nessuna conclusione e venne quindi nuovamente aggiornato. Più importante fu invece il dibattito sullo sciopero: i proudhoniani erano ostili a questo mezzo di lotta, non necessario nelle loro ingenue idee cooperativistiche. Ma fu la posizione di Marx (assente ma rappresentato da Eccarius) favorevole alla lotta sindacale (coniugata con quella politica) a essere approvata.
Altro elemento di scontro fu la bizzarra proposta di Tolain, leader dei proudhoniani, che avrebbe voluto limitare l'adesione all'Ail (o perlomeno agli incarichi dirigenti) ai soli operai manuali. In questo caso furono gli operai inglesi che ‑ proprio citando l'esempio di Marx, che sarebbe stato escluso in virtù di questo precetto ‑ contrastarono la posizione "operaista" rifiutando una contrapposizione tra lavoratori manuali e intellettuali e più in generale tra proletari di differenti settori lavorativi.
Una volta giunti al voto passò la proposta degli inglesi per 25 voti contro 20 ma fu lasciata libertà alle sezioni di regolarsi liberamente e per questo la sezione francese, diretta dai proudhoniani, per tutto un primo periodo imporrà un reclutamento riservato agli operai (anche se, ironia della sorte, lo stesso Tolain dopo poco lascerà il lavoro manuale per diventare... un impiegato).
Infine il Congresso di Ginevra cambiò la denominazione del Consiglio centrale in Consiglio generale
Esattamente un anno dopo, nel settembre 1867, si tenne nuovamente un congresso, stavolta a Losanna (la prevalenza di congressi e conferenze in Svizzera era dovuta al fatto che qui la repressione era meno pesante).
A presiedere i lavori fu Eugene Pottier, che sarà pochi anni dopo uno dei dirigenti della Comune (nonché autore del testo dell'Internazionale). Anche questa volta Marx era assente ma le sue posizioni furono ben rappresentate dai delegati tedeschi.
Sui temi generali si confermava una maggioranza vicina alle tesi proudhoniane (credito gratuito, cooperative, ecc.). Lo scontro divampò tra Tolain e il marxista Eccarius sul tema della proprietà della terra: i proudhoniani erano ostili all'idea della collettivizzazione. Il tema venne rinviato.
Ma anche Marx segnò un punto: il congresso approvò una risoluzione che legava l'emancipazione sociale e quella politica (seppure con una formula piuttosto vaga). E Blanqui, che assisteva tra il pubblico, osservò in seguito che si trattava di un decisivo passo avanti contro il proudhonismo.
Infatti, commentando il congresso in una lettera a Engels Marx scrisse: "Al prossimo congresso di Bruxelles darò io personalmente il colpo di grazia a questi asini di proudhoniani." Poi, smentendo preventivamente chi oggi sostiene una concezione "ecumenica" del Marx della Prima Internazionale, confidò soddisfatto all'amico e compagno: nonostante lassalliani, mazziniani, tradunionisti, proudhoniani e "ogni altra sorta di asini e stupidi (Marx non era mai molto diplomatico, ndr), siamo (cioè Marx ed Engels e dunque, diciamo così, la frazione marxista, ndr) vicini ad avere in mano l'Ail". (13)
Il biennio 1867-1868 si contraddistinse per una nuova grande ondata di scioperi e di lotte operaie in Francia e Inghilterra. Gli operai parigini del bronzo vennero sostenuti (febbraio 1867) dalla cassa di resistenza alimentata dagli operai londinesi; un'altra cassa di resistenza internazionale andò a sostenere la lotta dei minatori belgi.
L'Ail svolgeva un ruolo importantissimo di unione delle lotte. Ovunque iniziasse uno sciopero l'Ail inviava propri militanti per esprimere la solidarietà e costituire nuclei dell'organizzazione. La stampa borghese iniziò a favoleggiare, scandalizzata, sui presunti (e purtroppo inesistenti, come abbiamo visto) tesori che l'Ail avrebbe utilizzato per sobillare gli operai.
Il 1868 si aprì con un giro di vite della repressione di Napoleone III: la prima fila delle sezioni francesi dell'Ail finì in galera. Ciò, come commentano Marx ed Engels nel loro carteggio privato, aveva indirettamente anche un effetto... positivo. Nasceva infatti un nuovo gruppo dirigente francese che rapidamente sostituiva quello più esplicitamente legato al proudhonismo. Tra i nuovi dirigenti, maggiormente influenzabili dalle posizioni di Marx, spiccava Eugene Varlin, che sarà tre anni dopo la figura più importante della Comune di Parigi (14).
Il congresso si tenne anche quell'anno a settembre, stavolta a Bruxelles, con un centinaio di delegati.
I francesi, guidati da Tolain (nel frattempo scarcerato), ma con anche la partecipazione su posizioni distinte di Varlin, avanzarono i loro cavalli di battaglia: l'ostilità all'istruzione pubblica e il rifiuto dell'obiettivo della collettivizzazione. Ma furono battuti: passò la tesi a favore dell'insegnamento obbligatorio gratuito (e senza ingerenza religiosa) e il concetto della collettivizzazione di trasporti, strade e miniere (seppure con formulazioni vaghe).
Fu al congresso dell'anno successivo, settembre 1869, a Basilea, che finalmente la questione della socializzazione dei mezzi di produzione venne posta al centro del dibattito e fu approvata la posizione marxiana favorevole all'abolizione della proprietà privata della terra, per 54 voti contro 3 e 13 astensioni.
Al congresso parteciparono i socialisti tedeschi guidati da Liebknecht, i belgi con alla testa Cesar de Paepe, gli inglesi con Lucraft, una delegazione dagli Stati Uniti e, per la prima volta, anche Bakunin (con delega dall'Italia).
Il rivoluzionario russo era reduce da anni di galera e confino in Siberia. Era stato proprio Marx (che sperava di servirsene contro i mazziniani in Italia) a incoraggiarlo a partecipare. Ma Bakunin avanzò a Basilea delle strambe idee sulla "abolizione" del diritto di eredità. I delegati vicini a Marx le contrastarono, spiegando che l'abolizione dell'eredità sarebbe stata un effetto della conquista del potere, non la premessa. Ma la posizione di Bakunin fu approvata a maggioranza, col sostegno dei proudhoniani.
Dal settembre 1868 Bakunin aveva fondato a Ginevra la Alleanza internazionale della democrazia socialista che intendeva usare come frazione nell'Ail.
E' da questo momento che Marx ed Engels percepirono il pericolo costituito da questa nuova variante di anarchismo che stava nascendo. In una lettera dell'11 febbraio 1870 Engels scrive a Marx: "Bisogna tenerli d'occhio quei tipi [gli uomini di Bakunin, ndr] perché non occupino il terreno in qualche posto senza incontrare alcuna resistenza." (15)
Il 1870 fu il primo anno senza congresso né conferenza, a causa della guerra che era scoppiata tra la Prussia e la Francia. Nel settembre di quell'anno a Parigi era nata una Repubblica borghese e pochi mesi dopo (il 18 marzo 1871) gli operai parigini la rovesciavano prendendo il potere.
La Comune di Parigi costituì un autentico spartiacque nella Prima Internazionale. Ci fu un prima e un dopo. E in realtà, per essere precisi, la Comune costituì un prima e un dopo in tutta la storia del movimento operaio, aprendo una fase nuova che culminerà con la rivoluzione russa del 1917. Ma prima di occuparci, seppur brevemente, della Comune, può essere interessante chiudere questo capitolo sui congressi dell'Ail cercando di quantificare la presenza organizzata dell'internazionale.
Il grosso degli aderenti all'Ail era composto da artigiani e operai del settore tessile: pochi erano gli operai nell'industria pesante. Ciò corrispondeva ovviamente al livello di sviluppo industriale di quegli anni. Ma quanti erano i membri dell'Ail?
A giudicare dalla stampa borghese dell'epoca l'Ail era un'organizzazione di massa: il Times di Londra arrivò a parlare (alla fine del 1871, all'epoca della "caccia alle streghe" ingenerata dalla Comune) di oltre due milioni di aderenti. Ma le cose non stavano così. L'Ail non fu mai una organizzazione di massa, pur avendo in certe fasi una influenza di massa.
Rispetto ai numeri precisi non disponiamo di informazioni certe e in ogni studio sull'Ail si trovano ipotesi numeriche differenti. Ciò è dovuto anche al fatto che spesso si fa confusione tra adesioni collettive (a volte dopo uno sciopero aderivano alcune migliaia di operai, per magari "uscire" poco dopo) e adesioni individuali di membri paganti una quota ed effettivamente attivi come militanti dell'Ail. Tanto per fare un esempio: l'Unione dei calzolai inglesi risultava aderire con ben cinquemila membri all'Ail: ma in tutto pagava 5 sterline l'anno di quote.
Le stime più attendibili calcolano per la Gran Bretagna fino a una punta di 50 mila adesioni collettive (comunque meno di un decimo degli operai sindacalizzati, se si considera che gli iscritti alle Trade Unions erano 800 mila) che in termini di adesioni individuali significavano in ogni caso non più di 250 militanti; per la Germania si ragiona sui 400 militanti; 500 per gli Usa (16). Per quanto riguarda la Francia le adesioni collettive arrivarono anche a 20 mila, ma non si superarono probabilmente mai i 1500 militanti effettivi (secondo altri autori nemmeno il tetto dei mille fu mai superato). Assumendo per buoni i calcoli fatti dalla storiografia più recente, i militanti effettivi (e non quelli che aderivano inconsapevolmente insieme al proprio sindacato) non superarono mai qualche migliaio in tutto il mondo: i più ottimisti si spingono a parlare di diecimila, cifra dimezzata da altri e noi propendiamo per questa seconda ipotesi suffragata da un numero maggiore di studi.
Su un numero precedente di questa rivista abbiamo dedicato un ampio saggio alla Comune di Parigi del 1871 (17). Per evidenti ragioni di spazio a esso (e alla vasta bibliografia lì contenuta) rimandiamo il lettore, limitandoci qui a riepilogare alcuni fatti determinanti per lo sviluppo del nostro studio.
La Comune fu secondo la definizione di Marx "un punto di partenza storica universale" (18). Scrivendo queste parole in una lettera Marx non poteva immaginare come effettivamente la Comune di Parigi avrebbe mutato tutto il corso storico, essendo anche la fonte maggiore di ispirazione dei bolscevichi di Lenin e Trotsky che proprio studiando a fondo la Comune si prepararono all'Ottobre 1917. Basterebbe ricordare che le "lettere da lontano" con cui Lenin riorientò il suo partito dopo il febbraio 1917, così come anche il libro Stato e rivoluzione (che uscirà subito dopo la presa del potere ma che fu scritto nel corso degli avvenimenti e riassume tutto l'orientamento leniniano) sono letteralmente imbevuti dell'esperienza della Comune. Non esagerava dunque Trotsky nello scrivere (in Le lezioni dell'Ottobre) che senza lo studio della Comune "non avremmo mai guidato la rivoluzione."
Ma gli effetti della Comune si fecero sentire anche in tempi più brevi: fu proprio in base all'esperienza pratica degli operai parigini che l'intero movimento rivoluzionario internazionale fu in grado di acquisire alcuni insegnamenti fondamentali che Marx ed Engels seppero enucleare e su cui svilupparono la loro battaglia negli ultimi anni dell'Ail e in particolare nella Conferenza di Londra, che è di pochi mesi successiva alla Comune (settembre 1871) e nel Congresso dell'Aja dell'anno seguente.
Il principale insegnamento che la Comune offriva ai proletari in tutto il mondo era quello della necessità che la classe operaia conducesse un'azione politica indipendente volta al rovesciamento per via rivoluzionaria ("rompendo" lo Stato borghese) del dominio capitalistico; che sulle macerie dello Stato borghese i rivoluzionari edificassero un loro dominio (la dittatura del proletariato). Ma soprattutto la Comune insegnava che senza un partito rivoluzionario (o meglio, come dimostriamo nel nostro saggio citato, disponendo solo di un embrione di partito rivoluzionario, il Comitato Centrale dei Venti circondari; dato che certo la Comune checché ne dicano gli anarchici di ogni tempo non fu certamente un fatto "spontaneo") questo compito gigantesco di emancipazione umana non era (e non è) possibile.
L'Ail e le sue sezioni in Francia non furono quel partito. Certo l'Ail partecipò in prima fila a tutto il processo rivoluzionario: dall'elaborazione degli Indirizzi (scritti da Marx) sulla guerra franco-prussiana, guerra che ebbe la funzione di detonatore della rivoluzione, contrapponendo la classe operaia armata alle borghesie di Francia e Prussia unite contro gli operai (nonostante la guerra); passando per il sostegno convinto fornito ai comunardi dopo l'insurrezione del 18 marzo 1871 e alle indicazioni e ai suggerimenti preziosi che Marx fornì ai dirigenti della Comune a lui più vicini; fino alla battaglia che l'Ail, con Marx alla testa, combatté per contrastare la repressione e la tempesta di calunnie che la borghesia internazionale scatenò contro quegli operai che, per la prima volta nella storia, avevano osato rovesciare il suo dominio e avevano preso nelle proprie mani (seppure solo per poche settimane) tutto il potere.
Ma se la sezione francese ebbe un ruolo importante (la gran parte dei dirigenti comunardi apparteneva all'Ail), le posizioni dei marxisti effettivi erano in estrema minoranza in Francia. C'erano due dirigenti inviati direttamente da Marx a Parigi: Serraillier e Elisabeth Dmitrieff (che fondò e diresse l'Unione delle donne - si veda in merito il saggio di Laura Sguazzabia in altre pagine di questo stesso numero); e c'erano poi altri tre-quattro quadri in stretto rapporto con il grande rivoluzionario tedesco: tra loro l'operaio di origine ungherese Leo Frankel (che diresse la commissione Lavoro della Comune) e il grande Eugene Varlin, principale dirigente dell'Ail dopo il declino del gruppo di Tolain (quest'ultimo nel frattempo, eletto all'Assemblea nazionale, si schierò con la borghesia contro la Comune, non rinunciando al suo seggio parlamentare tra gli assassini della Comune; e fu per questo espulso dalla sezione francese e poi anche dall'Ail).
Varlin svolgerà un ruolo centrale nella Comune. Oltre a essere “ministro” della Comune (prima alle Finanze poi alla Sussistenza), sarà eletto nel Comitato Centrale della Guardia Nazionale (che guiderà il 18 marzo a occupare Place Vendome), ispirerà la Sezione dell’Ail, dirigerà il lavoro della Camera sindacale, sarà tra i capi di un embrione di partito rivoluzionario, denominato Delegazione dei Venti circondari (circondari erano i quartieri o arrondissements in cui è divisa Parigi)
Ma Varlin non era marxista, anche se, di provenienza proudhoniana, evolveva sempre più verso concezioni marxiste. Egli vedeva nella classe operaia il soggetto rivoluzionario (e già questo lo distanziava da Bakunin, che cercò invano di guadagnarlo alla sua corrente). Da delegato alle Finanze Varlin si scontrò con i proudhoniani sull'atteggiamento da tenere nei confronti della Banca Nazionale di cui (seguendo in questo Marx) avrebbe voluto che la Comune si impadronisse.
Se ci fosse stato più tempo, se la Comune non fosse stata strangolata rapidamente dalla borghesia, con ogni probabilità un partito ispirato alle posizioni di Marx, un partito rivoluzionario d'avanguardia, avrebbe potuto costruirsi e rafforzarsi. Ciò avrebbe evitato i numerosi errori esiziali commessi dai comunardi (19).
Ma così non fu. La Comune venne soffocata nel sangue dalla barbara vendetta borghese. Eugene Varlin, identificato e denunciato da un prete, fu fucilato a Montmartre il 28 maggio 1871, dopo essere stato l'ultimo comandante delle barricate operaie.
Ma se la Comune fu sconfitta, il suo sacrificio non risultò inutile. La grande lezione che ne veniva fu imbracciata da Marx ed Engels per dare l'ultimo colpo agli avversari del comunismo rivoluzionario. E' così che l'Ail si avviò al suo declino.
La necessità che il proletariato agisca nella piena indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi, come condizione indispensabile per guadagnare le masse, nel corso delle lotte, alla costruzione di un governo "degli operai per gli operai": ecco il più grande tra gli insegnamenti della Comune, fatto proprio e inverato dai bolscevichi nel 1917. Non a caso la rimozione di questa lezione storica è alla base di tutte le teorie riformiste dell'ultimo secolo e mezzo ed è stata ripresa dallo stalinismo (negazione del marxismo e del bolscevismo) che ha reintrodotto nel movimento operaio il morbo della collaborazione di classe e di governo con la borghesia (dando infine vita ai "fronti popolari" a partire dalla metà degli anni Trenta).
La dittatura del proletariato fu solo potenziale nella Comune; così come solo embrionale fu il "soviet" della Comune (il Comitato Centrale della Guardia Nazionale), cioè l'organismo di lotta delle masse; così come fu solo abbozzato il partito che agiva in quel "soviet" per conquistarlo a posizioni autenticamente rivoluzionarie. Sta qui tutta la differenza tra la Comune del 1871 e la Comune di Pietrogrado del 1917 in cui operò e trionfò il Partito bolscevico.
Tocchiamo qui superficialmente temi molto importanti per i quali ancora una volta rimandiamo per un necessario approfondimento al già citato nostro saggio sulla Comune. E lo facciamo per riprendere il filo del discorso: il declino dell'Ail iniziò infatti con la sconfitta della Comune. Perché proprio la Comune rendeva evidente la necessità di andare oltre la Prima Internazionale.
Fu questo l'obiettivo che Marx indicò nella prima conferenza dopo la Comune, che si tenne a Londra nel settembre 1871.
Qui, dopo aver chiuso i conti con gran parte delle tendenze riformiste e centriste presenti nell'Ail, fu la volta di affrontare Bakunin e gli anarchici, che la Comune aveva rivelato in tutta la loro miseria politica (ostilità a estendere il potere centrale della Comune a tutta la Francia, costituendo una autentica dittatura proletaria; rifiuto di costruire il partito centralizzato della classe operaia).
Alla Conferenza di Londra (che si tenne nel salotto di casa Marx) parteciparono 22 delegati (e ogni tanto facevano capolino le figlie di Marx, tutte militanti di grandi capacità).
Due sono i punti centrali che emersero da questa conferenza in cui Marx dominava completamente la scena: primo, si dichiarò inammissibile l'esistenza nell'internazionale di società con propri programmi distinti da quelli dell'Ail; secondo si approvò una risoluzione (risoluzione numero IX) che stabiliva la necessità dell'azione politica della classe operaia. La classe operaia, si afferma nelle risoluzioni, può agire come classe solo costituendosi in partito politico contrapposto a tutte le altre formazioni politiche: un partito per il potere operaio. Questo concetto sarà inserito come articolo (articolo 7a) negli statuti che saranno rinnovati l'anno dopo al Congresso dell'Aja.
Bakunin era evidentemente il bersaglio di queste due affermazioni di principio: l'incompatibilità di programmi fondamentalmente differenti all'interno della stessa organizzazione (il riferimento è alla frazione segreta con cui Bakunin agiva nell'Ail); e la definizione dell'obiettivo di fondo dell'internazionale: il partito rivoluzionario per la conquista del potere.
Per Marx non vi erano ormai più dubbi: la sua vecchia conoscenza Bakunin era l'avversario politico da sconfiggere. Non vi era combinazione possibile nella stessa organizzazione tra marxismo e anarchismo. La battaglia per la delimitazione programmatica dell'Ail era arrivata al suo punto culminante.
Dovendo schematicamente riassumere le differenze di fondo tra marxismo e anarchismo (bakuniano) faremmo un elenco di questo tipo: primo, per gli anarchici lo Stato è fonte di ogni male (già Proudhon, in qualche modo progenitore moderato di Bakunin, affermava che "il governo dell'uomo sull'uomo è la schiavitù") (20); secondo, per gli anarchici l'avversione allo Stato non coinvolge il solo Stato borghese ma anche lo Stato-Comune, cioè lo Stato operaio; terzo, questa differenza strategica si riflette nel rifiuto degli anarchici della politica per la conquista del potere; quarto, rifiutando ogni potere e la centralizzazione che ne discende, gli anarchici rifiutano il partito d'avanguardia, centralizzato, disciplinato, operaio (per Bakunin il soggetto rivoluzionario era "la canaglia", cioè il sotto-proletariato).
Vi sono tra le varie matrici e le relative filiazioni anarchiche differenze non secondarie. Stirner affermava una filosofia individualista che Proudhon rifiutava. Bakunin riprendeva elementi di Proudhon ma certo non la moderazione anti-rivoluzionaria né le fantasie sulla società costruita sulla base di cooperative. Così pure l'anarchismo di Bakunin (e dei suoi discepoli meno rozzi), a differenza di quanto abitualmente si dice banalizzando, non era "contro ogni organizzazione": rifiutava piuttosto l'organizzazione centralistica (affermando, per usare i termini successivi di Malatesta, che "il centro è dappertutto"). Bakunin preferiva definirsi "collettivista" in quanto il comunismo incarnava per lui una ideologia "autoritaria" e per questo pericolosa.
Ciò che accomuna le varie tendenze anarchiche di ogni tempo è, nel rifiuto di uno Stato degli operai (transizione verso il socialismo e il comunismo), il disprezzo per una economia pianificata. Il che porta ogni tipo di anarchismo, in definitiva, a ricadere in utopie reazionarie pre-capitalistiche.
Bakunin attingeva selettivamente alle teorie di Proudhon ma lo faceva senza curarsi di edificare una propria teoria coerente. Anche il suo testo più compiuto (cioè Stato e anarchia) non contiene nessun tentativo di analisi scientifica della società. Impietosamente ma senza esagerazioni Engels definì così le concezioni di Bakunin: "uno zibaldone di proudhonismo e di comunismo, in cui prima di tutto l'essenziale è che egli non considera come male principale da eliminarsi il capitale, e quindi il contrasto di classe tra capitalisti e operai salariati sorto dalla evoluzione della società, ma lo Stato." Così, mentre per i marxisti lo Stato è uno strumento della classe dominante, per Bakunin è il vero nemico, sopprimendo il quale "il capitale se ne andrà al diavolo da solo" (la sintesi è sempre di Engels).
Engels ironizza sulla futura società sognata da Bakunin: "Come faranno costoro a far marciare una fabbrica e le ferrovie, a comandare un bastimento, senza una volontà che decida in ultima istanza, senza direzione unitaria: questo, naturalmente, non ce lo dicono." E' il sogno reazionario in cui il singolo prevale sulla società e ogni comunità è autonoma rispetto alle altre: ma come si possa costituire una comunità (cioè l'unione di più singoli) senza un potere centrale è un mistero, conclude Engels. (21)
Di qui l'idea di Bakunin che anche l'internazionale dovesse essere organizzata in questo modo: senza un centro dirigente (per quanto nella pratica l'Alleanza anarchica fosse edificata attorno al suo "papa" Bakunin).
Marx, che conosceva Bakunin fin dal 1844 (si incontrarono per la prima volta a Parigi; poi si frequentarono a Bruxelles a metà anni Quaranta e infine si rincontrarono a Londra negli anni dell'Ail), è ancora più duro nel suo giudizio ma non meno efficace: "Il suo programma [di Bakunin, ndr] era un pasticcio messo assieme superficialmente da destra e da sinistra, eguaglianza delle classi (!), abolizione del diritto di eredità, come punto di partenza del movimento socialista (sciocchezza sansimoniana): ateismo come dogma imposto ai membri ecc. e, come dogma principale (proudhonianamente), astensione dal movimento politico." (22)
A centocinquanta anni dalla fondazione dell'Ail e a circa centoquaranta anni dalla sua morte ancora si è costretti a leggere in tanti libri e articoli interpretazioni fantasiose sui motivi della fine della Prima Internazionale. In realtà, come vedremo tra poco e se ha un senso quanto abbiamo fin qui ricostruito, non vi è nessun mistero nello scioglimento dell'Ail e non c'entrano presunti scontri di personalità tra Marx e Bakunin o altri psicologismi simili.
Lo scioglimento avviene, nei fatti, anche se non nella forma, al congresso che si tenne nel settembre 1872 all'Aja: un anno e mezzo dopo la fine della Comune di Parigi.
Il congresso fece proprie le decisioni della Conferenza di Londra dell'anno precedente: delimitazione programmatica e dunque rifiuto di frazioni interne animate da un diverso programma; scopo strategico la costruzione di un partito per la conquista rivoluzionaria del potere politico.
E' a partire da questi chiari confini programmatici che lo scontro con Bakunin divenne inevitabile e inevitabilmente non ammise compromessi di sorta.
Al congresso parteciparono tutte le sezioni, salvo gli italiani che, riunitisi a Rimini nell'agosto precedente, avevano deciso di boicottarlo, schierandosi con Bakunin contro il Consiglio (parteciperà come osservatore solo il dirigente italiano Carlo Cafiero, che fino a poco prima Engels si era illuso di guadagnare alla battaglia contro Bakunin).
I delegati furono 64, e tra loro Marx ed Engels che certo non potevano mancare in questa occasione. Mancava invece Bakunin, malato.
La tensione era enorme: Marx non riuscì a dormire per tutta la durata del congresso (così come anni dopo capitò a Lenin in un altro congresso di capitale importanza che si concluse con una scissione funzionale alla delimitazione programmatica: il II Congresso del Posdr del 1903 in cui nasceva il bolscevismo contro il menscevismo).
I primi tre giorni del congresso furono assorbiti dall'esame delle deleghe: essendoci aria di rottura determinare chi aveva diritto di voto era la prima cosa da farsi.
La maggioranza dei delegati tedeschi, austriaci e francesi (in gran parte esuli blanquisti della Comune) si schierò con Marx. Totalmente dalla parte di Bakunin erano solo un paio di svizzeri (tra cui Guillaume, braccio destro del rivoluzionario russo) e quattro spagnoli (la Spagna era tutta con Bakunin, così come l'Italia, ad eccezione di un gruppo di Torino). Divisi tra bakunisti e marxisti erano invece belgi e olandesi. Gli inglesi si schierarono in parte con Bakunin, pur non condividendo le teorie anarchiche, solo perché diversi tra loro si stavano allontanando dall'Ail in seguito alle posizioni assunte dall'Internazionale sulla Comune: Odger, di fatto con Tolain il promotore dell'Ail nel 1864, come Tolain si schierò contro la Comune, cioè con la borghesia.
Finita l'attribuzione delle deleghe, il congresso ratificò le conclusioni della Conferenza di Londra: azione politica della classe operaia (assunto come articolo dello statuto); ruolo direttivo del Consiglio e struttura centralista (in contrapposizione ai bakunisti che proponevano di trasformare il Consiglio in un mero centro di corrispondenza).
Ma il punto più delicato del congresso fu la commissione d'inchiesta che Marx aveva richiesto per indagare sulla frazione segreta costituita da Bakunin e su presunte malversazioni di quest'ultimo. Per disporre di prove da usare contro Bakunin, prima dell'Aja Marx aveva spedito in Spagna il dirigente politico (nonché genero) Paul Lafargue. Questi, approfittando della sua origine cubana e parlando lo spagnolo, si era introdotto nell'Alleanza di Bakunin col nome di Pablo Farga. Qui aveva trovato le prove inconfutabili dell'esistenza della frazione segreta e aveva portato all'Aja vari documenti interni e gli statuti segreti dell'organizzazione nell'organizzazione costruita da Bakunin.
La Commissione d'inchiesta esaminò questi documenti, ascoltò come testimoni d'accusa prima Engels e poi Marx. Infine (anche sulla base di alcune "forzature" di Marx che accusò Bakunin di condotta moralmente disdicevole) la Commissione propose l'espulsione dall'Ail di Bakunin e di Guillaume. Il congresso approvò a larga maggioranza.
Su tutta questa vicenda si è ricamato molto. Anche Franz Mehring, nella sua celebre biografia di Marx (23) si dilunga sul tema, quasi come se non capisse che il punto importante non è in base a quali elementi di prova Bakunin fu espulso: la rottura avvenne per l'incompatibilità programmatica tra marxismo e anarchismo. Un fossato divideva queste due correnti: e tutta la storia successiva, fino ai giorni nostri, lo ha sufficientemente provato.
La Prima Internazionale esplose come un frutto troppo maturo, quasi marcio: era stata la Comune a produrre questo effetto. Non restava ormai che avviare la conclusione di quest'esperienza. Per questo, pur sorprendendo vari delegati, a un certo punto Engels si alzò e propose al congresso di spostare il centro dell'Ail a New York. La proposta venne accolta male anche da molti che fino a quel momento si erano schierati con Marx contro Bakunin. Non capivano il senso di quella mossa a sorpresa. La mozione di Engels fu approvata di misura, con 26 voti a favore, 23 contro e 9 astenuti.
Da un certo punto di vista lo spostamento non era poi una cosa così assurda come alcuni ritengono: tutto sommato negli Usa l'Ail disponeva di una sezione relativamente forte, diretta prevalentemente da emigrati tedeschi molto vicini politicamente a Marx. Eppure si tratta di una scelta che non può essere compresa interamente se non si ha chiaro che l'intento di Marx ed Engels era avviare, senza troppo clamore, l'Ail verso una rapida estinzione. Infatti l'atto di morte formale sarà certificato nel 1876, con la Conferenza di Filadelfia: ma nel mezzo non vi saranno più conferenze né congressi. (24)
Come dicevamo, ancora ferve il dibattito e a così grande distanza ci si affanna a cercare interpretazioni di questa decisione di Marx. Sorvolando sulle banalità di chi scrive che l'intento di Marx era semplicemente quello di togliersi di mezzo un impegno per avere più tempo da dedicare agli studi (quando Marx, lo abbiamo già osservato, non concepì mai l'impegno teorico come slegato dalla lotta politica); abbondano le tesi di vari studiosi che concordano nel definire il Congresso dell'Aja come una "vittoria di Pirro" di Marx, nel senso che questi avrebbe sconfitto Bakunin ma si sarebbe poi trovato privo dell'internazionale.
La realtà è ben più semplice e richiede per essere compresa solo un poco di attenzione a quanto Marx ed Engels stessi hanno chiarito in svariati testi. Il testo più chiaro e inequivocabile è una lettera di Engels a Sorge (dirigente tedesco emigrato negli Usa dove dirigerà l'Ail negli ultimi anni dopo l'Aja): "Il primo grande successo [la Comune, ndr] doveva far saltare questo accordo ingenuo di tutte le frazioni [che era l'internazionale, ndr] (...) Io credo che la prossima internazionale ‑ dopo che i libri di Marx avranno esercitato la loro influenza per alcuni anni ‑ sarà puramente comunista e propagherà direttamente i nostri principi." (25)
E' tutto spiegato in poche righe: l'esperienza fondamentale della Comune consentiva di portare a termine il lavoro che Marx aveva iniziato dal primo giorno del suo ingresso nell'Ail: la delimitazione programmatica per eliminare politicamente le correnti riformiste e centriste. Al contempo gli insegnamenti della Comune e i successi raggiunti dall'Ail che aveva esteso a mezzo mondo i contatti di Marx ed Engels rendevano possibile realizzare ora compiti più elevati per i quali l'Ail risultava ormai inadeguata. Negli otto anni dal 1864 al 1872 il marxismo aveva seminato: i frutti andavano ora raccolti e investiti in una nuova fase, superiore: nella costruzione di una nuova internazionale "puramente comunista" e delle sue sezioni in ogni Paesi. Aufhebung, per dirla con Hegel: e cioè soppressione (negazione) e mantenimento attraverso una elevazione che supera e invera la cosa negata.
Lo stalinismo (specie nel momento in cui si apprestava, negli anni Quaranta, a sciogliere l'Internazionale comunista) sostenne la tesi per cui l'Ail moriva necessariamente per fare spazio a partiti nazionali (come se Marx fosse stato una sorta di precursore delle "vie nazionali al socialismo" di staliniana memoria). E' una tesi completamente falsa: in realtà, al contrario, i partiti nazionali poterono nascere perché l'Ail aveva preparato il terreno; ma lo stesso sviluppo di questi partiti necessitava di una internazionale, però di tipo diverso rispetto all'Ail e alla sua unione "ingenua di tutte le frazioni" del movimento operaio. Dividere il movimento operaio per poterlo riunire contro la borghesia: ecco cosa era necessario e nella diversa fase che la Comune aveva aperto era possibile fare. C'era la necessità ‑ e ora dopo anni di lotta politica anche la possibilità ‑ di costruire una internazionale e partiti delimitati programmaticamente, "puramente comunisti", cioè marxisti. Solo pochi anni prima questo compito (che pure Marx aveva chiaro fin dall'inizio) non poteva essere assolto. Ora poteva perlomeno essere tentato. Negli anni seguenti, la fondazione della Seconda Internazionale fu appunto un tentativo in questo senso. La fine ingloriosa di quella internazionale (con il voto ai "crediti di guerra" il 4 agosto 1914) non sminuisce per niente l'importanza di quel tentativo e il salto in avanti che esso significò per preparare la strada a quei partiti "puramente comunisti" che, a differenza di quanto auspicavano Marx ed Engels, nasceranno dopo altri anni di dure battaglie, per costruirsi finalmente attorno alla successiva internazionale, la Terza. Ma questa, come direbbe Kipling, è un'altra storia, che proveremo a raccontare nelle prossime puntate.
Note
Avvertenza: in queste note si troveranno solo le indicazioni bibliografiche minime. Per una bibliografia sulla Prima Internazionale rimandiamo alla rubrica Razzolare tra i libri nella parte finale di questo numero della rivista.
(1) Pubblicato su La Verité (9 marzo 1934) e su The Militant (31 marzo 1934) col titolo "Per la Quarta Internazionale".
(2) D. B. Rjazanov, Alle origini della Prima Internazionale, ed. Lotta Comunista, 2007.
(3) Il testo integrale si può leggere a p. 60 e sgg. di Rjazanov, op. cit.
(4) Si vedano in particolare la lettera di Marx a Engels del 4 novembre 1864, la lettera a Weydemeyer del 29 novembre 1864 e quella a Kugelmann dello stesso giorno. Le lettere di Marx ed Engels sono state pubblicate in italiano negli anni Cinquanta per le edizioni Rinascita, poi ripubblicate come Carteggio Marx-Engels, Editori Riuniti, 1972; negli ultimi anni le edizioni di Lotta Comunista hanno pubblicato (con anche inediti e nuovi apparati di note) le lettere degli anni Settanta e Ottanta dei due fondatori del socialismo scientifico.
(5) F. Mehring, Karl Marx, di recente (2012) ristampata per i tipi di Shake editore. Ad esempio nel libro di Mehring non è chiaro perché Marx ed Engels furono chiamati, dalla Lega dei Comunisti, a scrivere il Manifesto. Sembra quasi la richiesta fatta a due luminari: mentre, come ha dimostrato Rjazanov, ciò fu dovuto all'intenso lavoro politico di Marx nei primi anni Quaranta, che ebbe un ruolo decisivo nella costruzione del gruppo che poi diede vita alla Lega dei Comunisti.
(6) Mazzini non partecipò direttamente all'Ail. Di più: con il crescere dell'influenza di Marx nell'internazionale cresceva la distanza che separava Marx e Mazzini: quest'ultimo, democratico piccolo-borghese e anticomunista, rifiutava la lotta di classe e non a caso fu "equidistante" tra la Comune operaia del 1871 e la borghesia che la rovesciò nel sangue.
(7) Si veda la lettera di Marx a Engels del 4 novembre 1864, in Carteggio Marx-Engels, ed. Rinascita, 1951, vol. IV, p. 244.
(8) L'Indirizzo è riportato integralmente nella raccolta di testi (in due volumi) curata da G. M. Bravo: La Prima Internazionale, vol. I, p. 121 e sgg.
(9) Lettera di Marx a Engels, 13 marzo 1865 (vedi nota 4).
(10) Con riferimento a Ferdinand Lassalle (1825-1864), tra i protagonisti della rivoluzione del 1848, padre del socialismo moderato e riformista tedesco. Nel 1863 fondò la Associazione generale degli operai tedeschi: vedeva nella lotta per il suffragio universale l'obiettivo politico e la formazione di associazioni operaie di produzione sovvenzionate dallo Stato il cuore del programma economico. L'Associazione, fortemente subalterna al bismarckismo, rimase fuori dall'Ail. Lassalle peraltro morì nell'agosto 1864 (in un duello per motivi sentimentali), dunque poco prima della nascita dell'Ail. In Germania la sua Associazione (diretta dopo la sua morte da Von Schweitzer) aveva come rivale la Unione delle associazioni operaie, diretta da Liebknecht (intellettuale) e da Bebel (operaio), con i quali Marx entrò in contatto guadagnandoli alle proprie posizioni. Il gruppo di Bebel e Liebknecht diede vita nell'agosto 1869, ad Eisenach, al Partito operaio socialdemocratico, conquistando alcuni settori lassalliani; nel maggio 1875 (nel Congresso di Gotha, cui Marx dedicherà la famosa Critica al Programma di Gotha, rimasta come testo interno e pubblicata solo una quindicina di anni dopo) si fondono con quanto resta dei settori di provenienza lassalliana. Engels giudicò che quella fusione portava già in sé "i germi della scissione" (vedi lettera a Bebel, 12 ottobre 1875). Nacque così quello che diventerà negli anni seguenti il più importante partito della Seconda Internazionale: il Partito operaio socialista tedesco (che dal 1890 cambierà nome in Partito socialdemocratico tedesco, cioè Spd).
(11) Sulla nascita dell'Ail in Italia si rimanda alla relazione di Domenico Demarco pubblicata col titolo "La fondation de la Première Internationale a Naples: 1869-1870" a p. 285 e sgg. di: Aa.Vv., La première Internationale: l'institution, l'implantation, le rayonnement, Paris 16-18 novembre 1964 (atti del seminario internazionale svoltosi a Parigi nel 1964, per il centesimo anniversario della nascita dell'Ail).
(12) Auguste Blanqui (1805-1881; da cui il termine "blanquisti" per designarne i sostenitori). Fu un grande rivoluzionario che passò oltre metà della sua vita in carcere (anche durante la Comune era imprigionato, per questo non poté parteciparvi). Blanqui era, secondo la definizione di Engels (che pure lo stimava), "un rivoluzionario di una stagione precedente". Imbevuto dei miti della rivoluzione francese, e in particolare di Hebert capo della Comune del 1793, riduceva la rivoluzione all'insurrezione di una élite (considerando gli operai incapaci di liberarsi culturalmente nel capitalismo) e riduceva l'insurrezione alla barricate. Il concetto di "dittatura del proletariato" in Marx deve molto alla concezione di Blanqui (anche se ovviamente Marx gli diede un segno differente), così come il leninismo deve molto (pur avendoli sviluppati in forma completamente nuova) ai principi blanquisti di "direzione" e "centralismo". La socialdemocrazia e lo stalinismo hanno svalutato (falsificandola) la figura gigantesca di Blanqui che viceversa Marx, che pure ne era molto lontano politicamente, non esitava a definire "testa e cuore del proletariato francese".
(13) Lettera di Marx a Engels, 11 settembre 1867 (vedi nota 4).
(14) Su Eugene Varlin si veda il nostro "La Comune di Parigi (1871): premessa della Comune di Pietrogrado (1917)", in Trotskismo Oggi, n. 1.
(15) Lettera di Engels a Marx, 11 febbraio 1870 (vedi nota 4).
(16) La stima è riportata in K. McLellan, Karl Marx, Rizzoli, 1976, p. 390 e sgg.
(17) Si veda F. Ricci, cit.
(18) Lettera di Marx a Kugelmann, 17 aprile 1871, in K. Marx, Lettere a Kugelmann, Editori Riuniti, 1976, p. 166.
(19) Non abbiamo modo qui di tornare sugli errori della Comune nell'interpretazione che ne fecero Marx ed Engels, prima, e Lenin e Trotsky poi. Rimandiamo nuovamente al nostro saggio (vedi nota. 14) che propone anche, sulla base di nuovi materiali, una interpretazione critica dell'analisi della Comune fatta dai marxisti dell'Ottocento e della prima parte del Novecento.
(20) La posizione degli anarchici è ben riassunta nella Risoluzione del Congresso di Saint-Imier del settembre 1872: "Ogni potere politico è una fonte di sicura depravazione per coloro che governano e una causa di servaggio per coloro che sono governati." (cit. in G. Haupt, L'Internazionale socialista dalla Comune a Lenin, Einaudi, 1978, p. 278).
(21) Lettera di Engels a Cuno, 24 gennaio 1872 (vedi nota 4).
(22) Lettera di Marx a Bolte, 29 novembre 1871 (vedi nota 4).
(23) F. Mehring, Karl Marx, Shake editore, 2012.
(24) Non includiamo qui i congressi degli anarchici, di fatto fuori dall'Ail. Essi si riunirono a Saint-Imier nel settembre 1872 (dove respinsero i deliberati dell'Aja), poi a Ginevra nel 1873, a Bruxelles nel 1874, a Berna nel 1875, a Vervies nel 1877. Poi, con lo sviluppo del marxismo, la loro influenza (peraltro ampia "soltanto" in Spagna e Italia) declinerà, restando forti nel Novecento solo in Spagna (con quali conseguenze disastrose per la rivoluzione spagnola è noto). La riemersione oggi di tardivi nipotini di Bakunin in vari Paesi è il frutto, ahinoi, dello spazio lasciato libero dalla crisi del riformismo, spazio che i rivoluzionari non sono ancora riusciti a occupare.
Quanto a Bakunin, ritiratosi dalla vita politica nel 1874, morirà un paio di anni dopo.
(25) Lettera di Engels a Sorge, 12 settembre 1874, in Marx ed Engels, Lettere 1874-1879, ed. Lotta Comunista, 2006, p. 35.
71 - '17: Due rivoluzioni allo specchio
Perché i bolscevichi studiarono
la Comune di Parigi per fare l'Ottobre?
di Francesco Ricci
Nel 1901 Lenin chiese a Plechanov (padre del marxismo russo) un articolo sulla Comune per l'Iskra, in occasione del trentesimo anniversario dell'eroica rivoluzione degli operai parigini. Plechanov rispose che non gli sembrava un tema interessante, trattandosi di "una vicenda antica". Lenin replicò che viceversa era un tema di grande attualità. (1)
Come vedremo in questo articolo, la convinzione dell'importanza fondamentale della Comune accompagna tutta la vita di Lenin che arrivò persino a sostenere che la rivoluzione mondiale aveva avuto due atti: l'Ottobre 1917 era il "secondo atto" mentre la Comune di Parigi del 1871 era stato il "primo atto"
Questa convinzione era condivisa dall'altro grande dirigente della rivoluzione d'Ottobre: Lev Trotsky scriveva: "Se non fossimo riusciti a studiare (...) la Comune di Parigi, non saremmo mai potuti arrivare alla rivoluzione d'Ottobre." (2)
Anche la borghesia francese e quella tedesca erano consapevoli dell'importanza che la Comune avrebbe potuto avere come esempio da imitare per future rivoluzioni. E' per evitare ogni imitazione che la borghesia francese dopo aver accerchiato e sconfitto la Comune continuò per settimane a fucilare e a buttare in fosse comuni migliaia di persone, inclusi quelli che non avevano avuto una parte attiva nella Comune ma semplicemente vivevano a Parigi in quei giorni, inclusi centinaia di bambini. E con le stesse motivazioni la borghesia prussiana, che aveva combattuto fino a poche settimana prima la Francia (nella guerra franco-prussiana del 1870), aiutò la borghesia francese a soffocare nel sangue la Comune, liberando una parte dei prigionieri di guerra perché il governo Thiers potesse scagliarli contro Parigi. Al contempo, la stampa borghese di tutto il mondo inventò leggende calunniose contro i comunardi, accusandoli di misfatti e mostruosità e il regime zarista, per contrastare il "contagio" della Comune, vietò l'accesso in Russia degli esuli della Comune, fece liste di epurazione dei russi che avevano partecipato alla Comune, proibì tutte le opere che parlavano della Comune. Ma questa attività di censura e di persecuzione non raggiunse i risultati sperati: furono decine le opere di populisti russi dedicate alla Comune, tra cui una di Petr Lavrov, figura di spicco del populismo e un importante romanziere rivoluzionario, molto amato da Lenin, Nikolaj Černyševskij (3), dedicò alla Comune una delle sue opere: Le luci dell'alba.
Il movimento populista fecondò il terreno da cui nacque, nell'ultima parte del XIX secolo, dopo un processo di scissioni e con la crescita del marxismo, la socialdemocrazia russa. Tra le cose che i comunisti russi ereditarono dal populismo ci fu anche una grande passione per lo studio della Comune.
Come Lenin studiava la Comune del 1871
Nelle loro memorie, vari collaboratori di Lenin hanno affermato che anche nelle conversazioni capitava molto spesso che Lenin citasse questo o quell'episodio della Comune. E se facciamo una ricerca nella monumentale opera di Lenin scopriamo una gran quantità di testi sulla Comune. Sono state fatte varie antologie di opere di Lenin, in diverse lingue, che includono testi specifici o parti di testi dedicati alla Comune. Ma nessuna di queste raccolte è completa perché bisognerebbe includere la gran parte dei testi di Lenin, essendo il riferimento alla Comune costante.
Ci sono testi specifici di Lenin sulla Comune: articoli, discorsi o appunti per discorsi in occasione di qualche anniversario dell'insurrezione del 18 marzo 1871 (ci limitiamo a citare: "In memoria della Comune", del 1911, o l'importante introduzione del 1907 all'edizione russa delle lettere che Marx scrisse al dottor Kugelmann nei giorni della Comune o "La guerra e la socialdemocrazia russa", del 1914) (4). Ma i riferimenti alla Comune costituiscono anche l'ossatura di quasi tutti i testi più importanti di Lenin e in particolare di quelli che servirono ad armare la rivoluzione del 1917. Considerando che questo articolo è dedicato a ricostruire il legame tra la rivoluzione di Parigi del 1871 e la rivoluzione russa del 1917, richiamiamo i testi del 1917 e del periodo seguente.
Troviamo la Comune nelle "Lettere da lontano" che Lenin scrive dalla Svizzera al Comitato Centrale dei bolscevichi nel marzo 1917, per cercare di modificare la linea sbagliata che la direzione russa del partito stava prendendo. Di queste lettere solo la prima fu pubblicata (con tagli) sulla Pravda diretta da Kamenev e Stalin; le altre lettere furono pubblicate solo nel 1924 e, in versione integrale, solo nel 1949. La terza di queste cinque lettere è incentrata sull'esempio della Comune e sull'analisi che ne fecero Marx ed Engels che era totalmente differente dall'analisi che ne fecero gli opportunisti. Marx ed Engels ponevano al centro il fatto che la Comune aveva "spezzato lo Stato" borghese per sostituire alla dittatura della borghesia la dittatura del proletariato. La conclusione di Lenin è che "Seguendo la strada indicata dall'esperienza della Comune di Parigi del 1871 (...) il proletariato [in Russia, ndr] deve organizzare e armare tutti gli strati più poveri e sfruttati della popolazione, affinché essi stessi prendano direttamente nelle loro mani gli organi del potere statale e formino essi stessi le istituzioni di questo potere." (5)
Il tema della Comune ritorna nell'articolo "Sul dualismo di potere" (6), pubblicato sulla Pravda il 9 aprile 1917 e nelle "Lettere sulla tattica" (21-26 aprile 1917) (7) e soprattutto la Comune è la chiave di lettura delle famose "Tesi di Aprile" (1917) con cui Lenin "riarma" il partito proponendo una svolta completa rispetto alla politica sbagliata seguita dalla direzione bolscevica prima del suo arrivo alla stazione Finlandia. In queste brevi tesi la Comune è il punto di riferimento: nella tesi 5 Lenin cita la Comune per affrontare il tema dello scioglimento dei corpi repressivi dello Stato borghese (polizia, esercito) e per indicare la necessità che i funzionari pubblici ricevano un salario pari a quello di un operaio; nella tesi 7, riprendendo le critiche che Marx aveva fatto agli errori della Comune, Lenin segnala la necessità che in Russia si proceda alla "fusione immediata di tutte le banche del Paese in un'unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei soviet" (i comunardi avevano invece esitato di fronte a questo compito). Nella tesi 9 è indicato l'obiettivo generale della rivoluzione: la costruzione di uno Stato nuovo, uno Stato-Comune, "cioè uno Stato di cui la Comune di Parigi ha fornito il primo modello" (8).
Alla base di gran parte dei testi principali di Lenin del 1917 c'è il "Quaderno azzurro" (intitolato Il marxismo e lo Stato) (9), un riassunto pieno di citazioni di Marx ed Engels sullo Stato. Questo quaderno, che Lenin inizia a compilare quando è ancora in Svizzera, è la base dell'opera più importante di Lenin: Stato e rivoluzione. Al centro di entrambi i testi c'è la Comune. In particolare, tutto il terzo capitolo di Stato e rivoluzione è dedicato alla Comune e a quello che Lenin (come Marx ed Engels) considera il suo insegnamento principale: "La rivoluzione non deve consistere nel fatto che la nuova classe comandi o governi per mezzo della vecchia macchina statale, ma che, dopo averla spezzata, comandi e governi per mezzo di una macchina nuova: è questa l'idea fondamentale del marxismo che Kautsky fa sparire (...)." (10)
Lenin cita Kautsky perché è alla sua penna che dobbiamo le più grandi revisioni del marxismo fatte in nome di una presunta ortodossia: ma noi possiamo aggiungere che tutto il riformismo successivo ha "fatto sparire" la grande lezione della Comune. L'esempio più recente è il sostegno che tutta la sinistra riformista e centrista del mondo ha dato al governo di Syriza in Grecia: facendo sparire la differenza fondamentale che c'è tra andare al governo nel capitalismo, in alleanza con la borghesia, e andare al potere attraverso una rivoluzione come fu quella degli operai parigini.
Stato e rivoluzione fu pubblicato solo dopo la presa del potere nell'Ottobre 1917 ma la sua elaborazione fu precedente e le tematiche che compongono il libro furono alla base di tutta l'azione di Lenin e dei bolscevichi in quell'anno cruciale.
Come scrive Trotsky nella sua Storia della rivoluzione russa: "Nei primi mesi della sua vita clandestina, Lenin scrive il suo libro Stato e rivoluzione, per cui aveva raccolto la documentazione mentre era ancora emigrato (...) per lui la teoria è effettivamente una guida per l'azione. (...) Il suo obiettivo è di ricostruire la vera 'concezione marxista dello Stato'. Per la minuziosa scelta delle citazioni (...) il libro può sembrare pedantesco... ai vari pedanti che, dietro l'esame dei testi, non sanno avvertire le poderose pulsazioni del pensiero e della volontà. (...) Ma lo scritto sullo Stato acquista una notevole importanza innanzi tutto perché è una introduzione scientifica alla più grande rivoluzione della storia. Il 'commentatore' di Marx preparava il suo partito alla conquista rivoluzionaria della sesta parte del globo." (11)
Gli stessi temi, e il richiamo costante alla Comune, tornano anche nella principale polemica teorica scritta da Lenin dopo la rivoluzione per fare i conti con quello che un tempo era stato il suo maestro: Karl Kautsky. Si tratta di La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (12). Ma su questo libro e sull'"anti-Kautsky" scritto poco dopo da Trotsky, Terrorismo e comunismo (13), anch'esso basato sullo studio della Comune, torneremo in un prossimo articolo.
Concludiamo questa breve rassegna dei testi di Lenin sulla Comune ricordando due testi successivi alla rivoluzione: il "Rapporto sulla democrazia borghese" (14), preparato da Lenin per il primo Congresso della Terza Internazionale (1919) e il "Progetto di programma del Pcr" per l'VIII Congresso dei bolscevichi (1919) (15): entrambi questi importanti testi, in cui è sviluppata la teoria marxista dello Stato, sono pieni di riferimenti alla Comune di Parigi e dimostrano che per Lenin la Comune era un riferimento non solo per armare i rivoluzionari prima della rivoluzione ma anche per il periodo successivo alla conquista del potere: la costruzione dello Stato operaio, la dittatura del proletariato, in cui - sull'esempio della Comune - le nuove istituzioni (sovietiche) non siano basate sul modello del parlamento borghese ma riuniscano in un unico potere operaio i tre poteri formalmente separati dalla borghesia (il potere esecutivo, legislativo e giudiziario).
I bolscevichi avevano potuto giungere a queste conclusioni studiando l'esperienza degli operai parigini i quali, invece, non avendo esperienze precedenti su cui basarsi, avevano dovuto imparare la necessità dell'indipendenza di classe con la loro esperienza diretta, pagando un alto prezzo di sangue.
Gli operai parigini avevano contribuito a costruire la Prima Repubblica (con la Grande rivoluzione del 1789-1794) ma erano stati ricompensati dalla borghesia con la Legge Le Chapelier, che proibiva le organizzazioni operaie. Gli operai parigini avevano poi combattuto nel febbraio 1848 per la Seconda Repubblica ma la borghesia li aveva ripagati nel giugno di quell'anno scatenando contro di loro il sottoproletariato, massacrandoli a migliaia. E ancora, nel 1870, dopo aver combattuto per Napoleone III una guerra che non era la loro, gli operai avevano lasciato il potere alla borghesia che aveva edificato la Terza Repubblica il cui primo atto fu far pagare agli operai i debiti di guerra alla Prussia. Fu in seguito a queste esperienze che gli operai compresero la necessità di non credere più nelle repubbliche borghesi e, con l'insurrezione del 18 marzo 1871, issarono la bandiera rossa sull'Hotel de Ville e fondarono la prima repubblica basata sul potere armato degli operai.
Ma la Comune non fu solo una scuola per i rivoluzionari di tutto il mondo: aveva anche contribuito fortemente, come scrisse Lenin, a "dare ovunque nuovo impulso allo sviluppo della propaganda rivoluzionaria socialista" (16), aveva trasformato Marx in una celebrità (la stampa borghese lo indicava come l'ispiratore della Comune). Infatti, è solo dopo la Comune che le opere di Marx iniziarono ad avere una grande diffusione. Ma soprattutto la Comune, secondo le parole di Engels, aveva consentito di "far saltare questo ingenuo procedere assieme di tutte le frazioni", cioè di superare la Prima Internazionale e lasciare spazio a una nuova Internazionale "direttamente comunista e [che] innalzerà apertamente i nostri principi" (cioè i principi del marxismo). (17)
La "revisione" di Trotsky sulla Comune
Anche per l'altro grande dirigente della rivoluzione russa il riferimento alla Comune fu un elemento costante di tutta la vita.
Già nel gennaio del 1906, in carcere dopo la rivoluzione russa del 1905, Trotsky scrive un testo poco noto, "35 anni dopo: 1871-1906" che è molto di più di una celebrazione dell'anniversario della Comune. Come sappiamo, è in quegli anni che Trotsky elabora la teoria della rivoluzione permanente e la Comune è studiata da Trotsky come un esempio della "legge dello sviluppo diseguale e combinato" e della negazione di ogni analisi determinista volgare che "semplificando e stravolgendo" (citiamo Trotsky) la concezione materialistico-dialettica di Marx vede il socialismo come "automaticamente dipendente" dal grado di sviluppo economico di un Paese. E conclude: "Se la Comune collassò, ciò non fu dovuto per niente all'insufficiente sviluppo delle forze produttive: bensì fu conseguenza di una serie di fattori di natura politica: l'accerchiamento di Parigi e il suo isolamento rispetto alle province, le circostanze internazionali estremamente sfavorevoli, gli errori dei comunardi, eccetera." (18)
Così come per Lenin anche per quanto riguarda Trotsky non è possibile indicare tutti i riferimenti, diretti o indiretti, alla Comune, perché la Comune è per entrambi la stella polare cui guardare per ritrovare in ogni occasione l'orientamento. Citiamo solo alcuni dei testi più importanti in cui il discorso sulla Comune è approfondito.
Proprio nel corso degli eventi del 1917, a marzo scrive "La Comune di Parigi", un articolo per Novy Mir, settimanale in russo pubblicato a New York. Facendo un parallelo tra il 1871 e gli sviluppi rivoluzionari in Russia conclude: "La bandiera della Comune è la bandiera della Repubblica mondiale del lavoro." (19)
In Terrorismo e Comunismo (di cui, come abbiamo detto, parleremo in un prossimo articolo dedicato ai due "anti-Kautsky" di Lenin e Trotsky) tutta la polemica è fatta proponendo un raffronto tra la Comune del 1871 e la rivoluzione russa del 1917 e in particolare i capitoli V e VI di questo testo sono integralmente dedicati alla Comune per dimostrare - contro l'interpretazione di Kautsky - che l'obiettivo della Comune non fu la democrazia formale ma quella sostanziale, di classe.
Ma è nel testo "Gli insegnamenti della Comune di Parigi", scritto nel 1921 come prefazione a un libro di Talès, che lo studio si approfondisce e Trotsky, così come già avevano fatto Marx, Engels e Lenin, non si limita a elogiare la Comune ma la sottopone a una serrata critica, indicandone i molti errori. Facendo un confronto con la rivoluzione russa e col ruolo svolto da menscevichi e socialisti-rivoluzionari nella costituzione di governi borghesi dopo la rivoluzione di febbraio scrive: "La Comune arrivò troppo tardi. Essa avrebbe potuto prendere il potere il 4 settembre 1870 e permettere così al proletariato parigino di prendere la testa delle grandi masse lavoratrici (...). Invece il potere cadde nelle mani di chiacchieroni democratici, i deputati di Parigi." (20)
E ancora: nella splendida polemica La loro morale e la nostra (e nella successiva risposta a Victor Serge, "Moralisti e sicofanti contro il marxismo", scritta quando Serge era tornato alle sue posizioni anarchiche originarie e criticava "l'amoralismo" dei bolscevichi) (21), Trotsky rivendica la Comune per dimostrare la legittimità (dal punto di vista della morale rivoluzionaria) dell'impiego del "terrore rosso" da parte di uno Stato operaio contro i nemici che cercano di rovesciarlo. E' qui il riferimento al "decreto sugli ostaggi", alla fucilazione di alcuni prigionieri e ad altre misure di forza impiegate dal giovanissimo (25 anni) prefetto della Comune, Raoul Rigault. Rovesciando il buon senso comune dei "moralisti" alla Serge, Trotsky ricorda che uno degli errori che Engels imputava alla Comune era stato non l'uso del terrore ma al contrario la "eccessiva bonarietà" con i suoi nemici: errore che i bolscevichi cercarono di non ripetere.
Anche nella magistrale Storia della rivoluzione russa, il riferimento alla Comune e il paragone con l'Ottobre - per indicare similitudini e differenze - è costante.
Trotsky ricorda la polemica alla fine di agosto del 1917 di Lenin contro il dirigente bolscevico Zinovev (che, come si sa, era ostile a organizzare in quelle settimane l'insurrezione). Zinovev in un articolo pubblicato sulla Pravda il 30 agosto, intitolato "Quello che non bisogna fare", indica la Comune come esempio negativo. Lenin gli risponde, indirettamente, con un articolo pubblicato il 3 settembre in cui segnala che chi fa riferimento alla Comune presentandola come l'esempio fallimentare di una insurrezione prematura e pretende (come Zinovev) di dire che sarebbe prematura l'insurrezione in Russia fa "una allusione superficiale e persino stupida. Perché in primo luogo i bolscevichi hanno imparato qualcosa dopo il 1871. Essi non farebbero a meno di impadronirsi delle banche, non rinuncerebbero a un'offensiva contro Versailles: e in queste condizioni anche la Comune avrebbe potuto vincere". (22)
Ma lo studio di Trotsky va oltre e - come segnalò acutamente Nahuel Moreno, in una polemica con Ernest Mandel - Trotsky giunse "a fare una revisione completa della concezione classica della Comune."
Leggiamo cosa scrive Moreno: "Negli anni Trenta, polemizzando con la tendenza dei trotskisti francesi che editava il periodico La Commune, egli negò per la prima volta che la Comune [cioè la Comune composta da novanta rappresentanti eletti nelle elezioni parigine fatte dopo l'insurrezione, ndt] fosse una dittatura del proletariato (...). Trotsky segnala che la dittatura del proletariato risiedeva in un'altra organizzazione, nella Guardia Nazionale, l'organismo di lotta (...). La dittatura operaia fu l'organizzazione di coloro che lottavano e non quella di tutti i lavoratori di Parigi." (23) [i quali elessero la Comune a "suffragio universale", per quanto in realtà in queste elezioni parteciparono quasi solo lavoratori, dato che i borghesi erano scappati da Parigi, ndt].
Per Trotsky - segnala Moreno - l'equivalente in embrione nel 1871 del soviet del 1917 era la Guardia Nazionale (24), non l'assemblea elettiva municipale denominata Comune, la cui elezione fu considerata anche da Marx "una perdita di tempo" nel momento in cui bisognava invece attaccare il governo borghese che si era rifugiato a Versailles.
Peraltro Trotsky torna sul tema anche in un testo del 1933, "La natura di classe dello Stato sovietico", qui scrive: "Se Marx ed Engels hanno definito la Comune di Parigi 'dittatura del proletariato' è soltanto in virtù delle possibilità che si trovavano in essa. Ma in sé la Comune non era ancora la dittatura del proletariato." (25)
Ma perché la Comune era una dittatura del proletariato solo potenziale? Perché (questo è il senso del ragionamento di Trotsky, ripreso da Moreno) anche il "soviet" era solo embrionale e in esso mancava un partito marxista rivoluzionario che lo dirigesse.
La principale differenza tra il 1871 e il 1917: il partito
Si dice abitualmente che la differenza principale tra la Comune di Parigi e la rivoluzione russa è che nel 1871 non c'era il partito che rese possibile la vittoria del 1917.
Questa affermazione è vera anche se non è vero, a differenza di quanto credevano Lenin e Trotsky basandosi sulle conoscenze storiografiche dei loro tempi, che quel partito mancasse completamente. Come abbiamo dimostrato in un saggio (26) più approfondito sulla Comune (al quale ci permettiamo di rinviare solo perché non ci risultano altri studi recenti su questo tema), in realtà esisteva nella Comune un embrione di partito rivoluzionario: la Delegazione dei Venti arrondissements (cioè i quartieri in cui era ed è divisa Parigi).
Spesso, seguendo una leggenda inventata dallo stalinismo, si ritiene che la concezione del "partito d'avanguardia" sia una invenzione di Lenin, il quale in realtà ha solo perfezionato e realizzato un concetto che è già ben presente nell'opera e nell'azione di Marx. Marx ed Engels costruirono - o cercarono di costruire - partiti programmaticamente delimitati per tutta la loro vita di militanti politici, dal Comitato di Bruxelles (già nel 1846) alla Lega dei Comunisti, dalla Prima Internazionale alla socialdemocrazia tedesca, alla Seconda Internazionale (quest'ultima il solo Engels, essendo Marx morto prima). Per questo Marx era consapevole che la prima necessità degli operai di Parigi, davanti alla rivoluzione che si avvicinava, era quella di consolidare un loro partito, indipendente dalla borghesia. Nel Secondo indirizzo che scrive per l'Internazionale (9 settembre del 1870) consiglia: "[gli operai francesi] Utilizzino con calma e risolutamente tutte le possibilità offerte dalla libertà repubblicana, per lavorare alla loro organizzazione di classe." (27)
Purtroppo, come è noto, non furono gli operai a scegliere i tempi ma i loro avversari borghesi che sferrarono un attacco per cercare di disarmare la Guardia Nazionale. Fu in risposta a quell'attacco che gli operai insorsero e presero il potere il 18 marzo 1871.
Lenin e Trotsky, nelle loro analisi sulla Comune, riprendono questo tema, correttamente. Però entrambi affermano che la Comune mancava completamente di una direzione. E in questo si sbagliano.
Lenin afferma con insistenza in tutti i testi che dedica alla Comune che mancava completamente una direzione: pur ricordando che in Francia era stata molto attiva, dal 1864 in poi, la sezione dell'Internazionale, afferma categoricamente: "La Comune nacque spontaneamente. Nessuno l'aveva preparata coscientemente e metodicamente (...). Non c'era una organizzazione seria del proletariato (...)" (28) (i corsivi sono nostri).
In forma ancora più chiara, nel rapporto dell'8 marzo 1918 al VII Congresso bolscevico: "Gli stessi uomini che crearono la Comune non la capirono: essi la crearono con l'istinto geniale delle masse risvegliatesi, e nessuna delle tendenze in cui erano divisi i socialisti francesi si rese conto di ciò che essa faceva." (29)
Trotsky condivide il giudizio di Lenin e infatti scrive: "Il proletariato parigino non aveva né un partito né capi ai quali fosse strettamente legato dalle lotte precedenti." (30)
Non si può aspettarsi un'analisi più approfondita da Lenin e Trotsky perché si basavano sulle conoscenze che erano disponibili nel momento in cui scrivevano: Lenin soprattutto sul libro di Lissagaray (31), una buona cronaca ma politicamente molto superficiale scritta da un giornalista e militante rivoluzionario non marxista che partecipò alla Comune; e Trotsky sul libro di Talès (32), che a sua volta si basa su Lissagaray.
Solo con alcuni studi fatti dal 1960 in avanti è stato appurato che: 1) i membri dell'Internazionale non erano in minoranza: erano in realtà in maggioranza nella Comune eletta. E' vero invece che erano in minoranza le posizioni maggioritarie dell'Internazionale, cioè quelle di Marx; 2) vi fu poco di spontaneo nella Comune: era infatti in costruzione un partito, la Delegazione dei Venti arrondissements, nato nel settembre 1870, diretto dalle figure più vicine a Marx (come appunto Varlin) e (al contrario di quello che scrive Lissagaray) egemonizzato dai dirigenti dell'Ail (non a caso si riuniva in rue de la Corderie, dove aveva sede anche l'Ail), consolidatosi in un processo di scissione dalle componenti più moderate. Si tratta di un vero e proprio partito: con congressi, organismi, quote di affiliazione, iscrizione per i soli militanti, uno Statuto (articolo 1: "La Delegazione ha come obiettivo di centralizzare le forze democratico-socialiste di Parigi."), un programma di rovesciamento rivoluzionario della democrazia borghese (l'organizzazione "si batte per ottenere con ogni mezzo possibile la soppressione dei privilegi della borghesia, la sua scomparsa come casta dirigente e l'avvento politico dei lavoratori. In una parola, l'eguaglianza sociale"), un legame esplicitato (fin dallo Statuto) con l'Ail.
Soprattutto (qui sta l'errore di Lissagaray, cioè della fonte di Lenin e Trotsky) oggi sappiamo (avendo trovato i verbali) che la Delegazione non si sciolse a febbraio ma continuò a riunirsi fino alla caduta di Parigi e svolse un ruolo di primo piano durante i due mesi della Comune. (33)
Cosa vogliamo dire? Che sull'essenziale (la Comune fu sconfitta perché non disponeva di quel partito che riuscirono a costruire i comunisti russi) Lenin e Trotsky avevano ragione; ma che sottovalutavano (per mancanza di informazioni) il grado di organizzazione e costruzione del partito rivoluzionario che già era stato raggiunto dagli operai parigini. Senza quell'embrione di partito probabilmente non avremmo avuto nemmeno quell'embrione di soviet e quell'embrione di dittatura del proletariato di cui abbiamo parlato. Se al posto di un embrione ci fosse stato un partito marxista sviluppato, forse la Comune non sarebbe stata sconfitta.
Un lavoro da terminare
Capita spesso, anche in libri e articoli che esprimono posizioni corrette, di veder rappresentata la Comune come "una sconfitta". Certo, in termini immediati e da un punto di vista nazionale, la Comune fu una sconfitta: ma dal punto di vista generale e del movimento operaio internazionale fu e rimane una delle più grandi vittorie rivoluzionarie di tutti i tempi. Permise al marxismo di vincere la sua battaglia nella Prima Internazionale contro gli anarchici e di conoscere una nuova diffusione mondiale, con la costruzione di partiti in tutto il mondo. Anche il movimento rivoluzionario russo è figlio della Comune. La rivoluzione russa del 1917 ha un debito profondo con gli operai parigini del 1871, di cui Lenin e Trotsky erano consapevoli.
Marx scriveva nelle righe finali della Guerra civile in Francia: "Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l'araldo glorioso di una nuova società. (...) I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti." (34)
La sua profezia si realizzò nell'Ottobre 1917, quando gli operai russi, guidati dai bolscevichi, iniziarono a costruire quella nuova società che gli operai francesi avevano annunciato. Agli operai rivoluzionari di tutto il mondo spetta oggi il compito di portare a termine il lavoro.
Note
(1) Citato da Georges Haupt, L'Internazionale socialista dalla Comune a Lenin (pagg. 61-62 dell'edizione italiana, Einaudi, 1978).
(2) Lev Trotsky, Le lezioni dell'Ottobre (1924) (in Opere scelte, volume 3, Prospettiva Edizioni, 1998, pag. 207).
(3) Nikolaj Gavrilovič Černyševskij (1828-1889), è autore del romanzo Che fare? (ed. Garzanti, 1979), scritto nel 1863 nel carcere dove era rinchiuso per le sue posizioni anti-zariste. Lenin riprese il titolo di quest'opera per il suo celebre libro del 1902 sul tema del partito.
(4) Per i testi di Lenin citiamo, qui e nelle note successive, dalla edizione delle Opere pubblicata dagli Editori Riuniti (1965): "In memoria della Comune" (1911) (volume 17, pag. 123 e sgg.); "Prefazione alla traduzione russa delle lettere di Marx a Kugelmann" (1907) (volume 12, pag. 92 e sgg.); "La guerra e la socialdemocrazia russa" (1914) (volume 21, pag. 16 e sgg.).
(5) V.I. Lenin, "Lettere da lontano" (1917) (Opere, volume 23, pag. 296 e sgg.).
(6) V.I. Lenin, "Sul dualismo del potere" (1917) (Opere, volume 24, pag. 29 e sgg.).
(7) V.I. Lenin, "Lettere sulla tattica" (1917) (Opere, volume 24, pag. 33 e sgg.).
(8) V.I. Lenin, "Tesi di Aprile" (1917) (Opere, volume 24, pag. 10 e sgg.).
(9) V.I. Lenin, "Il marxismo e lo Stato" (noto anche come "Quaderno azzurro", scritto tra il 1916 e i primi mesi del 1917) (Editori Riuniti, 1976).
(10) V.I. Lenin, Stato e rivoluzione (1918) (Opere, volume 25, pag. 361 e sgg.).
(11) Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa (1930) (ed. Mondadori, 1970, pag. 1020-1021).
(12) V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (1918) (Opere, volume 28, pag. 231 e sgg.).
(13) Lev Trotsky, Terrorismo e comunismo (1921) (Edizioni Il Comunista, 2010).
(14) V.I. Lenin, "Rapporto sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato, al I Congresso dell'Internazionale Comunista" (1919) (Opere, volume 28, pag. 461 e sgg.).
(15) V.I. Lenin, "Progetto di programma del Pcr (b)", VIII Congresso (1919) (Opere, volume 29, pag. 84 e sgg.).
(16) V.I. Lenin, in "In memoria della Comune" (1911) (Opere, volume 17, pag. 123 e sgg.).
(17) Friedrich Engels, Lettera a Sorge, 12 settembre 1874, in Marx-Engels, Lettere 1874-1879 (ed. Lotta Comunista, 2006, pag. 34 e sgg.).
(18) Lev Trotsky, "35 anni dopo: 1871-1906" (in Leon Trotsky on Paris Commune, Pathfinder Press, 1970, pag. 10 e sgg.), nostra traduzione dall'inglese.
(19) Lev Trotsky, "La Comune di Parigi" (marzo 1917) " (in Leon Trotsky on Paris Commune, Pathfinder Press, 1970, pag. 26 e sgg.), nostra traduzione dall'inglese.
(20) Lev Trotsky, "Gli insegnamenti della Comune di Parigi" (1921) (ed. Iskra, 1980, pag. 115).
(21) Lev Trotsky, La loro morale e la nostra (1938-1939) (ed. De Donato, 1967).
(22) Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa (1930) (ed. Mondadori, 1970, pag. 1040).
(23) Nahuel Moreno, La dictadura revolucionaria del proletariado (1979) (Ed. Marxismo Vivo, 2010, pag. 117-118), nostra traduzione dallo spagnolo. Il testo di Trotsky citato da Moreno è pubblicato in The crisis of the french section. 1935-1936, (Pathfinder Press, 1977).
(24) La Guardia Nazionale era una istituzione della Grande rivoluzione del 1789-1794. Ma se fino al 1848 era stata uno strumento nelle mani della borghesia, a partire dall'instaurazione della Terza Repubblica, nel settembre 1870, fu ricostituita come milizia composta da operai: trecentomila lavoratori in produzione svolgevano periodico addestramento militare ricevendo una paga. La struttura della Guardia Nazionale anticipava la struttura che assumeranno poi i soviet a partire dalla rivoluzione russa del 1905.
(25) Lev Trotsky, "La natura di classe dello Stato sovietico" (1933) (in Opere scelte, volume 5, Prospettiva Edizioni, 1995, pag. 399).
Per la precisione, fu Engels a parlare (con una forzatura polemica contro posizioni opportuniste) della Comune come di una "dittatura del proletariato" quando, nella prefazione del 1891 alla Guerra civile in Francia di Marx scrive: "Guardate la Comune di Parigi. Questa fu la dittatura del proletariato." In Marx non si trova nessun riferimento così categorico: Marx parla di una "tendenza" della Comune e la descrive come una specie di "embrione" di dittatura del proletariato (l'espressione embrione è nostra e nell'usarla, in assenza di meglio, ne segnaliamo la scarsa scientificità).
(26) Francesco Ricci, "La Comune di Parigi (1871): premessa della Comune di Pietrogrado (1917)" in Trotskismo oggi, rivista teorica del Pdac, n. 1, settembre 2011. L'articolo è stato scritto originariamente per le versioni in lingua spagnola e portoghese di Marxismo Vivo, rivista teorica della Lit-Quarta Internazionale, n. 16, dicembre 2007.
(27) Karl Marx, "Secondo Indirizzo del Consiglio generale sulla guerra franco-prussiana" in La guerra civile in Francia (Newton Compton Editori, 1973, pag. 83).
(28) V.I. Lenin, "In memoria della Comune" (1911) (Opere, volume 17, pag. 123).
(29) V.I. Lenin, "Rapporto sulla revisione del programma e il cambiamento della denominazione del partito" (1918) (Opere, volume 27, pag. 115).
(30) Lev Trotsky, "Gli insegnamenti della Comune di Parigi" (1921) (edizione Iskra, 1980, pag. 115).
(31) Prosper Olivier Lissagaray, Storia della Comune (1876) (Editori Riuniti, 1962).
(32) C. Talès, La Comune del 1871 (1921) (edizione Jaca Book, 1971).
Talès si basa quasi completamente sul libro di Lissagaray (v. nota 31) e aggiunge agli errori di questo autore altre analisi sbagliate: parla di "disfatta della Prima Internazionale dopo la Comune"; enfatizza il peso dei proudhoniani; dedica solo mezza pagina (densa di errori) all'embrione di partito di cui abbiamo parlato, cioè la Delegazione dei Venti arrondissements.
(33) Per approfondire il tema è fondamentale uno studio uscito in Francia nel 1960: Jean Dautry e Lucien Scheler, Le Comité Central Républicain des vingt arrondissements de Paris, Editions Sociales. Dautry è anche autore con Bruhat e Tersen (tutti di orientamento stalinista ma profondi conoscitori del tema) del più documentato studio sulla Comune: La Commune de 1871, Editions Sociales, 1970.
(34) Karl Marx, La guerra civile in Francia (Newton Compton Editori, 1973, pag. 142).
Les Petroleuses: le donne che hanno “incendiato” la Comune
di Laura Sguazzabia
I ritratti delle donne che hanno partecipato alla Comune, sono diventati una metafora dell'atteggiamento degli storici verso quell'esperienza rivoluzionaria. Petroleuses è il termine francese con cui si indicano le donne accusate di aver appiccato incendi col petrolio nel 1871: di questi incendi si è storicamente discusso a lungo, tuttavia, la consultazione degli atti ufficiali dei processi intrapresi dalle autorità di Versailles rivela che queste accuse sono prive di fondamento, in quanto nessuna comunarda è stata realmente condannata come incendiaria. Si tratta di un’immagine creata dalla borghesia reazionaria per la quale le comunarde erano delle virago impazzite, sgualdrine assetate di sangue e incendiarie fanatiche che, negli ultimi giorni della Comune, con i figli innocenti sulle spalle, avrebbero dato fuoco ai grandi palazzi di Parigi. Con questa invenzione, la borghesia cercò di nascondere quello che era veramente successo, ossia che decine di migliaia di proletari, di donne e di bambini erano stati massacrati in un mare di sangue, incarcerati e deportati in condizioni disumane.
In quella straordinaria esperienza rivoluzionaria che fu la Comune parigina, per la prima volta nella storia delle società moderne si assiste ad un intervento massiccio delle donne sulla scena politica, anche attraverso una attiva partecipazione alla vita economica e alla lotta con le armi. Durante la Comune, migliaia di donne della classe operaia ed alcune intellettuali conquistate alle idee socialiste, sono state esempi di coraggio e devozione, nonché foriere di idee innovatrici. Questa è senza dubbio la ragione per la quale esse più degli uomini sono state punite e condannate da Versailles, vittime anche di calunnie infamanti.
Nell'aprile del 2013 l'associazione parigina Les Amis de la Commune de Paris 1871 ha dato alle stampe un petit dictionnaire delle comunarde nel tentativo di far uscire dall'ombra le tante figure femminili che hanno “incendiato” con coraggio e passione i 72 giorni parigini. La lettura di questa breve rassegna permette di comprendere la quantità e la qualità dell’azione delle donne nell’esperienza parigina e di rendere attuale il loro esempio nella situazione di crisi economica e di vessazione sociale cui le donne di oggi sono sottoposte in misura simile a quelle del 1871. (1)
La condizione femminile (e delle operaie)
Durante il Secondo Impero le donne erano ridotte in una condizione di totale sottomissione. Il codice civile del 1804 considera le donne come legalmente inferiori e dipendenti dai loro mariti tanto che non possono nemmeno lavorare senza la loro autorizzazione. In genere meno istruite degli uomini, quelle che hanno accesso all'istruzione frequentano scuole per ragazze gestite da religiose dove, oltre ad una stretta morale cristiana, si insegna loro a diventare buone mogli. Le donne inoltre non hanno il diritto di voto.
Molte donne lavorano a Parigi, in particolare sono occupate nella produzione industriale tessile: l’annuario statistico del 1871 indica che su 114000 lavoratrici, 62000 sono operaie. Esse sono le prime vittime dell’industrializzazione: oltre all’alienazione che ne deriva, devono far fronte alla concorrenza delle macchine e a quella dei conventi che offrono mano d’opera ad un miglior prezzo. Inoltre esse subiscono quotidianamente i pregiudizi misogini dei loro compagni di lavoro, ispirati dal pensiero di Proudhon. (2) Le donne lavorano dalle dodici alle quattordici ore al giorno per un salario giornaliero irrisorio, compreso tra i 50 centesimi e i 2,50 franchi, inferiore della metà rispetto a quello degli uomini. Se pensiamo che all’epoca una camera si affittava tra i 100 e i 200 franchi l’anno, è evidente che da sola una donna non poteva far fronte ai propri bisogni, soprattutto perché spesso aveva a carico figli e parenti anziani. In questo quadro la prostituzione assume rilevanti risvolti economici, anche per le donne sposate e che dunque potevano unire il proprio guadagno a quello del marito o compagno: il ricorso alla prostituzione, spesso non occasionale, corrisponde a ciò che esse chiamano il “quinto quarto” della loro giornata.
Malgrado queste condizioni, le donne sono attive e partecipano alla vita politica. Già nel 1870 durante i fatti franco-prussiani, esse sono presenti numerose: il 4 settembre sono tra la folla che rovescia l'Impero e proclama la Repubblica; l’8 settembre una manifestazione di donne domanda davanti all' Hôtel de Ville le armi per lottare contro i prussiani; il 7 ottobre le donne reclamano il diritto di partecipare agli avamposti per soccorrere i feriti (diritto che ottengono solo con la Comune).
A partire dal gennaio 1871, si attivano o si riattivano alcune organizzazioni femminili: si tratta di piccoli gruppi come i comitati di cittadine, di raggruppamenti femminili che tentano di far rispettare i diritti delle donne, di clubs molto attivi come quello di Madame Allix nel VI arrondissement, che raccoglie circa 300 adesioni di donne che vogliono armarsi per andare a combattere sulle barricate.
Attraverso queste esperienze le donne comprendono di avere molto da guadagnare, in particolare ciò che desiderano maggiormente ossia il riconoscimento della loro dignità. Esse confidano totalmente in ciò che sta accadendo e proteggono, partecipando attivamente, i cambiamenti che porteranno alla nascita della Comune, dai primi giorni fino al termine sanguinario dell’esperienza rivoluzionaria.
All'alba del 18 marzo 1871 quando le truppe di Thiers tentano di confiscare i cannoni dei Parigini, esse vi si oppongono fisicamente rivolgendosi ai soldati che solidarizzano con la popolazione e che si rifiutano di eseguire l’ordine di sparare sui manifestanti, per tre volte impartito dagli ufficiali. Edith Thomas scrive che "sarebbe esagerato dire che questa giornata rivoluzionaria sia stata quella delle donne, ma esse vi contribuirono in modo decisivo". (3)
Nei giorni successivi Parigi è una gran festa popolare il cui culmine è la proclamazione della Comune il 28 marzo. Le donne confidano nelle risoluzioni immediatamente prese che, benché semplici e pratiche, consentono di intravedere una nuova giustizia e, soprattutto alleviano gli stenti patiti dalla popolazione parigina, in particolare dalle donne, durante il lungo assedio prussiano. Fin da questi primi giorni le donne si mobilitano, si occupano di soccorrere malati e indigenti, discutono e avanzano idee innovatrici, muovendosi sempre in una logica di classe, non di sesso o di genere: esse comprendono che solo grazie alla rivoluzione sociale potranno essere garantiti i loro diritti.
Il 3 aprile 1871 cinquecento donne partono da Place de la Concorde per marciare su Versailles. Al ponte di Grenelle vengono raggiunte da altre settecento. I dirigenti della Comune le invitano a non uscire da Parigi. Davanti a una tale volontà rivoluzionaria, si impone la necessità di un’organizzazione.
L’Unione delle donne
Due organizzazioni di donne hanno avuto un ruolo preponderante nella Comune: il Comitato di vigilanza di Montmartre, di area blanquista, e l'Unione delle donne per la difesa di Parigi e l'aiuto ai feriti, di orientamento marxista. L’Unione i cui principi riflettevano la prospettiva rivoluzionaria dell'ala marxista della Prima Internazionale, risultò essere la formazione di donne più importante, raggruppando al proprio interno più di seimila iscritte. Si distinse, oltre che per l’importanza numerica, anche per il suo funzionamento molto rigoroso e allo stesso tempo molto democratico. Essa seppe guidare e organizzare il profondo fermento popolare tra le donne e divenne l'anello di congiunzione tra le donne della città e il governo della Comune. Nessun altro gruppo godette di un'influenza estesa a tutta la città ed altrettanto duratura, a partire dalla sua fondazione fino alla caduta della Comune sulle barricate.
L'11 aprile del 1871 il Journal Officiel della Comune pubblica un lungo “Appello alle cittadine di Parigi”, nel quale sono riassunti, secondo le firmatarie, lo spirito e le aspirazioni della Comune. Questo testo spiega alle donne parigine che il modo migliore di difendere ciò che esse amano è lottare contro il nemico impietoso. L’appello è seguito da un avviso che invita ad una riunione la sera stessa. Con la sua prima riunione, l'Unione delle donne propone al comitato esecutivo della Comune di aiutare materialmente l'istituzione di strutture in ogni consiglio di distretto, di sussidiare la stampa di circolari e manifesti, e la distribuzione di avvisi. Il comitato esecutivo intraprende immediatamente l'attuazione delle proposte della riunione, stampando sul Journal Officiel del 14 aprile il testo integrale dell'Indirizzo dell'Unione, accompagnato da un riassunto delle decisioni prese dall'assemblea.
L'Indirizzo evidenzia quale fosse l'idea dell'Unione delle donne sull'origine dell'oppressione femminile. Accanto al nome di sei delle sette firmatarie fu apposto il titolo di "operaia" ad indicarne l'origine proletaria. L'Indirizzo si riferiva alla Comune come ad un governo il cui obiettivo finale doveva essere l'abolizione di ogni forma di disuguaglianza sociale, compresa la discriminazione delle donne. Cosa fondamentale, esso descriveva la discriminazione delle donne come uno strumento per mantenere il potere delle classi dominanti: “La Comune che rappresenta il principio dell'estinzione di ogni privilegio e disuguaglianza, dovrà perciò considerare tutte le legittime proteste di ogni settore della popolazione, senza alcuna discriminazione di genere, discriminazioni che sono state create e perpetuate al fine di mantenere i privilegi della classe dominante. Il successo nella lotta in corso, il cui obiettivo è (...) infine quello di rigenerare la società, assicurando il dominio di lavoro e giustizia, è altrettanto importante per le donne che per gli uomini di Parigi".
L’organizzazione pone la propria sede nel X distretto. Un comitato centrale composto da 20 delegate nomina una commissione esecutiva di sette membri con il compito di relazionarsi con le principali commissioni del governo della Comune: in questo modo esse possono trasmettere efficacemente e rapidamente le rivendicazioni delle donne al governo centrale. Ogni militante deve contribuire con dieci centesimi e riconoscere l'autorità del comitato centrale dell'Unione. I comitati di distretto costituiti dall'Unione delle donne sono coordinati da una presidente a rotazione, coadiuvata da un comitato che poteva essere revocato dai militanti.
La commissione esecutiva consta di quattro operaie (Nathalie Le Mel, Blanche Lefèvre, Marie Leloup e Aline Jacquier) e di tre donne senza professione (Elisabeth Dmitrieff, Aglaé Jarry, Thérèse Colin). In pratica le due grandi animatrici della commissione furono Natahalie Le Mel ed Elisabeth Dmitrieff.
Elisabeth Dmitrieff
Elizaveta Loukinitcha Kouceleva nasce il primo novembre 1851 in una famiglia nobile russa. Riceve una buona educazione e parla correntemente numerose lingue. Abita a San Pietroburgo dove milita giovanissima nei circoli socialisti, sognando l’emancipazione per se stessa e per le altre donne. Il matrimonio bianco con il colonnello Toumanovki le permette di partire per l'estero. Nel 1868 emigra in Svizzera dove partecipa alla fondazione della sezione russa dell’Internazionale. Delegata a Londra nel 1870, frequenta la famiglia di Marx con il quale ha lunghe conversazioni: l'autore del Capitale è impegnato in questo periodo ad imparare la lingua russa. Elizaveta rimane a Londra tre mesi durante i quali, oltre ad incontrarsi con Marx e la sua famiglia, ha modo di conoscere i suoi più stretti collaboratori, in particolare Engels, e di partecipare a numerose riunioni dell’Internazionale. L’unica fonte che permette di conoscere almeno in parte il contenuto di questi incontri è data da una lettera scritta il 7 gennaio 1871 a Marx da Elizaveta che si era ammalata di bronchite: la discussione è incentrata sulla comune rurale russa.
Marx la invia a Parigi nel marzo 1871 perché sia la sua corrispondente sugli avvenimenti della Comune, in qualità di rappresentante del Consiglio generale dell’Internazionale. Assunto lo pseudonimo di Dmitrieff, durante la Comune crea l'Unione delle donne: è membro del comitato esecutivo dell’Unione ed ideatrice di un piano per la riorganizzazione del lavoro femminile, solo in parte realizzato. La sua azione è tanto incisiva che una disposizione del comitato centrale dell'organizzazione femminile le attribuisce la cittadinanza parigina in attesa che la Repubblica che verrà, le riconosca il titolo di cittadina dell'umanità.
Dopo essersi battuta coraggiosamente con le armi nella cosiddetta semaine sanglante, riesce a fuggire da Parigi, rifugiandosi prima a Ginevra e poi facendo ritorno in Russia. Condannata in contumacia alla deportazione in una prigione fortificata dal consiglio di guerra il 26 ottobre 1872, viene graziata nel 1880. Tra il 1900 e il 1902 si trasferisce a Mosca e da questo momento le ricerche storiche si confondono. Non è chiara la data della sua morte anche se alcune ricerche di storici sovietici sembrano confermare che sia morta nel 1918 in circostanze poco chiare.
Nathalie Le Mel
Nathalie Duval, 1827, fa i primi studi a Brest, dove i genitori gestivano un caffè. Dall’età di 12 anni lavora come operaia rilegatrice. Nel 1845 sposa un suo collega di lavoro, Jérome Le Mel, da cui ha tre figli. Rimasti senza lavoro, si trasferiscono a Parigi in cerca di nuove opportunità lavorative. Nella capitale Nathalie lavora ancora come rilegatrice e partecipa agli scioperi che nel 1864 agitarono la sua categoria. Fa parte del comitato di sciopero che pretendeva per le donne la parità di salario, e si fa notare dalla polizia del regime che in un rapporto la descrive come “un’esaltata che si occupava di politica; nelle fabbriche leggeva a voce alta cattivi giornali; frequentava assiduamente i clubs”. Nel 1865 aderì all’Internazionale. Nel 1868, lasciato il marito, fonda con altri una cooperativa che si occupava di alimentazione, arrivando a dare lavoro a 8000 persone, e una trattoria popolare dove lavora alla preparazione dei pasti.
Durante la Comune fonda e dirige con Elisabeth Dmitrieff l’Unione delle donne per la difesa di Parigi e il soccorso dei feriti. Quando le truppe di Versailles entrano a Parigi, combatte sulle barricate alla testa di un battaglione di una cinquantina di donne e costruisce la barricata di Place Pigalle innalzandovi una bandiera rossa. Arrestata il 21 giugno 1871, è condannata il 10 settembre 1872 alla deportazione in Nuova Caledonia. Poiché i suoi amici presentano a suo nome una richiesta di grazia, dal carcere di La Rochelle nel quale è rinchiusa, fa sapere al prefetto di polizia di Parigi di sconfessare “tutti coloro che hanno agito o agiranno a sua insaputa”. Il 24 agosto 1873 viene imbarcata sulla Virginie per essere deportata in Nuova Caledonia, dove giunge il 14 dicembre. Qui, all’ordine dei carcerieri di dividere gli uomini dalle donne durante la prigionia, si rifiuta di scendere dalla nave e minaccia di buttarsi in mare se la divisione non viene abolita: seguita nella protesta da molte altre donne, riesce ad ottenere che la detenzione sia comune. Durante la prigionia il suo nome ricorre frequentemente nella lista delle prigioniere sanzionate a dimostrazione che il suo spirito indomito non si piega nemmeno durante questa pesante esperienza; contrariamente a molti deportati della Comune, solidarizza con i Kanaki che nel 1878 si erano rivoltati contro i colonizzatori francesi.
Dopo l’amnistia del 1880 torna a Parigi dove trova un impiego nel giornale L’Intransigeant. Trascorre gli ultimi anni di vita in miseria e, divenuta cieca, viene accolta nel 1915 nell’ospizio di Ivry dove muore nel 1921.
Le conquiste sociali
Le donne dell’Unione intendono "lavorare in comune per il trionfo della causa del popolo", "battere e vincere o morire per la difesa dei (...) diritti comuni". Il primo obiettivo è dunque sicuramente quello di partecipare alla difesa di Parigi: per permettere la partecipazione al maggior numero di donne, l'Unione reclama l'uso di sale per organizzare delle conferenze. (4)
Esse discutono molto, anche di decisioni militari che trovano indispensabili quali ad esempio la necessità di marciare su Versailles. Inizialmente le donne ottengono di essere presenti nei posti avanzati di combattimento per creare un servizio di pronto soccorso ai feriti: l'Unione delle donne recluta più di un migliaio di soccorritrici che ricevono la stessa paga e la stessa razione delle guardie nazionali, secondo il principio di "lavoro uguale, salario uguale". Nell'ambito militare non sono sempre ben accolte e il giornale La Sociale denuncia spesso la misoginia di alcuni ufficiali o dei chirurghi che cacciano le donne dagli avamposti. A parte casi isolati, soltanto durante la semaine sanglante le donne sono sulle barricate a combattere. La formazione di reparti femminili era idea già accarezzata durante l’assedio parigino: le “Amazzoni della Senna”, proposta ambiziosa di battaglioni di donne avanzata nel 1870 da Felix Belly, non troverà attuazione ma testimonia dell’esigenza di rispondere alle sollecitazioni delle donne ad essere autorizzate a partecipare alla lotta in armi. C‘è invece testimonianza storica dell’esistenza della Légion des féderées del XII distretto, formata nella prima metà di maggio, comandata e composta esclusivamente da donne. (5)
Ferocemente laiche ed anticlericali come si evince da alcuni interventi nelle assemblee di distretto (6), le donne sostituiscono le religiose negli ospizi, negli orfanotrofi, nelle scuole e nelle prigioni con volontarie laiche. In questo clima matura la convinzione che sia necessario agire anche sull’educazione delle donne e delle giovani fanciulle: una volta insediatasi la Commissione sull’insegnamento, Marguerite Tinayre, istitutrice militante dell’Unione e dell’Internazionale, viene nominata l’11 aprile “ispettrice generale dei libri e dei metodi di insegnamento” nelle scuole per ragazze; la sua azione è improntata da propositi innovativi e di laicizzazione. Alcune iniziative sono già state avviate a livello di distretto prima dell’insediamento della Tinayre: nel VII arrondissement viene inaugurata una “scuola nuova” per ragazze con annesso un laboratorio di lavoro, un rifugio per le orfane e le giovani donne inoccupate; il 26 marzo compare una Società dell’Educazione nuova (tra i cui delegati figurano due donne che ritroveremo nelle organizzazioni femminili successive alla Comune) che propone un ripensamento generale dei programmi scolastici e l’uso di metodi pedagogici innovativi; sono già attivi infine un atelier école per l’insegnamento professionale ed una scuola di disegno, meglio nota come scuola di arte industriale per giovani fanciulle.
Il 2 aprile 1871 la Comune vota la legge di separazione tra Chiesa e Stato: così, in un’epoca in cui era inevitabile seguire l’ordine morale imposto dalla chiesa, si stabilisce il diritto al divorzio e il riconoscimento dell’unione libera, nonché una pensione di 600 franchi alla donna, sposata o compagna, di membri della Guardia nazionale morti in combattimento, ed una pensione di 365 franchi ai figli, legittimi o naturali, dei caduti.
La Comune bandisce inoltre la prostituzione che viene dichiarata una “forma di sfruttamento commerciale di creature umane da parte di altre creature umane”.
La questione del lavoro femminile
Molto presto tuttavia l’Unione giunge ad affrontare un problema urgente, ossia quello dell'organizzazione del lavoro femminile. Elisabeth Dmitrieff mette fin da subito in guardia la Comune: “in presenza dei fatti attuali, per la miseria crescente in proporzione incredibile […] c'è da considerare che l'elemento femminile della popolazione parigina, momentaneamente rivoluzionario, può tornare, a causa delle privazioni continue, allo stato passivo più o meno reazionario che l'ordine sociale del passato aveva creato - ritorno funesto e pericoloso per gli interessi rivoluzionari e internazionali dei popoli, e di conseguenza per la Comune”. La Repubblica aveva già organizzato il lavoro delle donne durante l'assedio: 32000 donne avevano ricevuto del lavoro per il confezionamento delle uniformi della Guardia nazionale, ma a seguito dell'armistizio, tutte le attività erano state interrotte.
Attraverso i comitati di distretto le donne dell’Unione recensiscono le disoccupate e, in virtù del decreto della Comune del 16 aprile sulla requisizione dei laboratori abbandonati dai padroni che si erano rifugiati a Versailles, individua dei locali da utilizzare per la creazione dei cosiddetti “ateliers cooperatifs”.
Il progetto elaborato dall’Unione delle donne e inviato alla Commissione del lavoro, prevedeva la creazione di una associazione produttrice in ogni distretto, autonoma ma con regole coerenti con i principi generali dell’Unione, dotata di laboratorio, magazzini e commesse ugualmente ripartite per evitare la concorrenza; stabiliva prezzi di vendita e tariffe delle lavoratrici, secondo il principio di “uguale salario per un uguale numero di ore”. Le associazioni produttive eleggevano al proprio interno due responsabili e, attraverso la mediazione del comitato centrale dell’Unione, dovevano mettersi in rapporto con le associazioni dello stesso tipo della Francia e dell’estero per favorire l’esportazione e lo scambio di prodotti.
L’ambizione era di riorganizzare più in generale il mercato del lavoro femminile sul modello di quanto era avvenuto per gli uomini in modo che si potesse “assicurare il prodotto al produttore […] sottraendo il lavoro al giogo del capitale oppressore”; assicurare ai lavoratori la direzione dei loro affari; diminuire le ore di lavoro; azzerare la concorrenza tra i lavoratori dei due sessi in quanto i loro interessi sono del tutto identici; parificare i salari tra i due sessi (quest’ultima richiesta trova una parziale accoglienza nella uguaglianza dei salari di istitutori e istitutrici, del maggio 1871).
Inizialmente il progetto interessò il settore tessile (Parigi in particolare vantava un’ottima reputazione internazionale nella produzione di abbigliamento), ma avrebbe dovuto espandersi in tutti i settori professionali nei quali le donne avevano dimostrato eccellenza. Nel breve periodo in cui la Comune è operativa, viene inoltre avviata presso il Palazzo dell’Industria una commissione incaricata dell’organizzazione del lavoro “libero” delle donne associate negli atelier, con il compito di acquistare le materie prime, ripartire i guadagni e distribuire il lavoro tra i venti distretti.
Tuttavia, il 6 maggio 1871, Leo Frankel (7), a capo della Commissione del lavoro, pubblica un lungo rapporto il cui senso si può cogliere dalla seguente frase: “Il lavoro della donna è il più oppresso, la sua riorganizzazione immediata è del tutto urgente”. Annuncia allo scopo una riunione di tutte le corporazioni operaie dei due sessi e convoca le rappresentanti dell’Unione per formare delle camere sindacali che inviino delle delegate alla Camera federale. La riunione che avrebbe dovuto svolgersi il 21 maggio, non avrà luogo per l’ingresso a Parigi delle truppe di Versailles.
La repressione
La maggior parte delle donne che parteciparono alla Comune, trovano la morte sulle barricate nella semaine sanglante, o negli scontri o fucilate sul campo dalle truppe di Versailles.
Secondo l’inchiesta parlamentare presentata dal capitano Briot, sono arrestate più di mille donne: le motivazioni degli arresti tentano di giustificare una condanna penale. Insieme all’accusa di aver partecipato alle agitazioni della Comune, sono spesso accusate di furto o di vagabondaggio, di prostituzione per il fatto di vivere in una relazione non sancita dalla Chiesa, di essere esaltate per aver parlato in pubblico durante le assemblee, di essere incendiarie perché avevano il compito di distribuire durante i combattimenti armi e petrolio.
Le donne arrestate attraversano Parigi verso Versailles tra le ingiurie dei borghesi accorsi per assistere allo spettacolo. Rinchiuse nella prigione di Chantiers subiscono condizioni degradanti relegate su graticci riempiti di vermi. L’opera di una di loro testimonia l’orrore di questa detenzione durata diversi mesi ma anche la solidarietà con cui le prigioniere affrontano l’esperienza nonostante la promiscuità, la mancanza di igiene e le punizioni arbitrarie. (8) Una volta pronunciate le sentenze, sono trasferite in altre prigioni in attesa di partire per il periodo di deportazione: 31 donne sono condannate ai lavori forzati, 20 alla deportazione in una struttura fortificata, 16 alla deportazione semplice. La fregata Virginie salpa il 10 agosto 1873 (due anni dopo la Comune) e impiega 120 giorni per toccare le coste della Nuova Caledonia.
Tutte queste donne hanno pagato un grosso tributo nella speranza di far trionfare il loro ideale di giustizia sociale e di uguaglianza, lottando in un contesto difficile. Hanno investito tutte le loro forze convinte che la loro sorte dipendesse dall’esito dell’esperienza comunarda. Si sono organizzate in un movimento e si sono imposte sul terreno politico, consapevoli che solo nel rovesciamento del sistema di sfruttamento di una classe sull’altra si sarebbe potuto risolvere anche il problema della disuguaglianza tra i sessi. Con la stessa convinzione che oggi mostrano le donne di Siria, Egitto, Tunisia, Spagna, Brasile, di ogni parte del mondo contro la violenza, lo stupro come arma di guerra, le discriminazioni nel mondo del lavoro, la precarietà, le differenze di salario, il diritto alla contraccezione e all’aborto.
NOTE
(1) C. Rey – A. Gayat – S. Pepino, Petit dictionnaire des femmes de la Commune, Editions Le bruits des autres, 2013.
In generale, l’intero articolo si basa su materiali consultati a Parigi presso l’associazione Les Amis de la Commune de Paris 1871 (http://www.commune1871.org) e presso il centro CERMTRI (www.trotsky.com.fr).
(2) Pierre Joseph Proudhon, filosofo ed economista francese, 1809 – 1865. Rispettato in ambito politico, compreso dalla sinistra, e tra gli intellettuali e gli operai di tutta Europa, Proudhon difendeva l’idea che le funzioni della donna fossero la procreazione e i lavori domestici. La donna che lavorava (fuori casa) rubava il lavoro all’uomo. Proudhon arrivò a proporre che il marito avesse diritto di vita e di morte sulla moglie che avesse disobbedito o avesse avuto un cattivo carattere, e dimostrò, attraverso una relazione aritmetica, l’inferiorità del cervello femminile rispetto a quello maschile.
(3) Edith Thomas, Les Pétroleuses, Gallimard, 1963.
(4) In seguito al decreto del 2 aprile 1871 sulla separazione tra Stato e chiesa, alcune chiese vengono requisite per servire come luoghi di riunione dei club cittadini.
(5) Il 14 maggio un avviso alle guardie nazionali della 12° Legione informa i soldati che le donne hanno chiesto di potersi organizzare militarmente per poter partecipare in modo più attivo alla difesa della città: “Un grande esempio vi viene dato, delle cittadine, delle donne eroiche hanno chiesto le armi per difendere, come tutti noi, la Comune e la Repubblica… La prima compagnia di cittadine volontarie sarà formata immediatamente”.
(6) Il 15 maggio una donna di nome André detta “Matelassiére” per le sue capacità dialettiche, in una riunione del club Ambroise afferma che “andrebbero fucilati entro le 24 ore tutti i rappresentanti della Chiesa […] Non serve arrestare i preti, bisogna dichiararli fuori legge in modo che ogni cittadino possa ucciderli come si uccide un cane con la rabbia”. Il 20 maggio a Nicolas des Champs una sconosciuta propone per la difesa di Parigi di sostituire i sacchi di terra con i cadaveri di 60.000 preti e di 60.000 suore della città.
(7) Leo Frankel, 1844 – 1896, politico ungherese, membro dell’Internazionale dal 1867, ne rappresentò la sezione tedesca a Parigi dove lavora come operaio gioielliere. Durante l’esperienza della Comune fu membro della Guardia nazionale, del Comitato centrale e presidente di varie commissioni tra cui quella sul lavoro. Ferito nella settimana di sangue sulle barricate e soccorso da Elisabeth Dmitrieff di cui pare fosse innamorato non corrisposto, si rifugiò in Svizzera prima e poi in Inghilterra, mentre in Francia il Consiglio di guerra lo condannava a morte in contumacia.
(8) Célestine Hardoin, La Détenue de Versailles en 1871, opera riedita nel 2005 dall’associazione Les Amis de la Commune de Paris.
Parigi operaia armata
Le lezioni di una pagina gloriosa del movimento operaio
Francesco Ricci
Lenin e Trotsky non avevano dubbi e lo ripetevano in ogni occasione utile: la vittoria dell'Ottobre 1917 fu possibile anche grazie allo studio accurato che i bolscevichi fecero della Comune del 1871 (1). Peraltro il socialismo francese, e la sua storia di rivoluzioni (dal 1789 al 1793, dagli anni Trenta dell'Ottocento al giugno del 1848), era una delle tre fonti della stessa elaborazione di Marx ed Engels (insieme all'economia inglese e alla filosofia tedesca, cioè a Ricardo, Hegel, Feuerbach).
Così è importante oggi studiare la Comune, le sue conquiste, i suoi errori. Non è un esercizio retorico riferito al calendario delle commemorazioni, non è uno studio accademico: è uno studio indispensabile per costruire future rivoluzioni vittoriose.
La notte dei cannoni
Nella notte tra il 17 e il 18 marzo 1871, dopo essere stati respinti a Belleville, i soldati del governo repubblicano di Thiers cercano di riprendersi i 271 cannoni e le 146 mitragliatrici che la Guardia Nazionale ha installato sulla collina di Montmartre che domina Parigi. Ma il proletariato, con alla testa i comitati delle donne (tra cui quello della maestra Louise Michel), sbarra la via e invita i soldati a disobbedire agli ordini, a rivoltarsi contro i generali. E' l'inizio dell'insurrezione che, sotto la direzione del Comitato Centrale della Guardia Nazionale, occupa tutti i punti nevralgici della città e si impadronisce dell'Hotel de Ville, sede del governo. Il governo borghese fugge dalla capitale e si rifugia nella vicina Versailles.
La prima struttura di tipo "sovietico" della storia
La Guardia Nazionale era una vecchia istituzione della rivoluzione del 1789-1794. Ma se durante la prima rivoluzione francese era stata essenzialmente uno strumento della borghesia; se nella rivoluzione del 1848 era uno degli strumenti della controrivoluzione borghese contro la prima insurrezione operaia (giugno); nel 1871 fu un'altra cosa. Ricostituita su basi nuove nel 1870, dopo che la sconfitta di Napoleone III nella guerra contro i prussiani di Bismarck aveva aperto le porte a una nuova Repubblica (diretta da un governo borghese), era ora una milizia di operai. Trecentomila operai armati a Parigi costituivano, come scriveva in quei giorni Marx, il principale ostacolo che la borghesia si trovava di fronte. Un ostacolo al tentativo del governo di far pagare la crisi economica (e i debiti di guerra) ai lavoratori. Per questo Thiers aveva tentato prima di disgregarla, riducendo e quindi abolendo il "soldo" (la paga), poi di disarmarla.
Questa nuova Guardia Nazionale, composta da operai dell'industria e artigiani, si era dotata di una propria struttura, di propri organismi (2). Gli operai costituivano ora una classe relativamente sviluppata e con un alto grado di concentrazione a Parigi: ai cantieri navali lavoravano 70 mila operai, altre grandi concentrazioni erano alla Govin, produzione di locomotive, alla fabbrica di armi del Louvre, ecc. E la Guardia Nazionale aveva ora una conformazione che anticipava in qualche modo i consigli degli operai e dei soldati (i soviet) che nasceranno in Russia nella prima rivoluzione del 1905 e poi di nuovo dal febbraio 1917.
Due mesi di governo operaio
L'insurrezione e la presa del palazzo del governo e di Parigi, la spaccatura dell'esercito e il suo scioglimento in quanto struttura del dominio capitalistico, cioè la rottura rivoluzionaria dello Stato borghese, costituiscono gli atti di nascita del primo governo operaio della storia. Un governo che durerà solo due mesi.
Due mesi che rivolteranno dalle fondamenta la società. Si contano in circa un centinaio i fogli quotidiani dei comunardi. Infinite le assemblee quotidiane per organizzare il nuovo potere: non bastando le sale, si cacciavano dalle chiese i preti e i loro crocifissi, trasformando ogni luogo in strumento per l'amministrazione del potere operaio.
Pochi giorni dopo la presa del potere, dopo la fuga a Versailles dei parlamentari borghesi (eletti dalla nuova Repubblica), il CC della Guardia Nazionale convocava nuove elezioni per eleggere non più un parlamento ma appunto una Comune (di una novantina di membri), che riassumeva in sé il potere esecutivo, legislativo e giudiziario.
Il governo operaio avvierà da subito una serie di misure: requisizione delle fabbriche e loro riorganizzazione sotto controllo operaio, requisizione delle case sfitte e loro riassegnazione ai lavoratori, assistenza medica gratuita (e diritto per le donne all'aborto), riforma integrale della scuola (non più strumento della borghesia), esproprio dei beni della Chiesa...
Solo una parte di queste misure furono effettivamente realizzate. Mancò il tempo, mancò una direzione univoca e coerente del governo, soprattutto fu da subito necessario difendere il nuovo potere dall'assalto delle borghesie francese e prussiana che, nemiche nella guerra che si era appena conclusa, ritrovarono una piena unità di intenti quando fu l'ora di schiacciare la rivoluzione operaia, accerchiando in armi Parigi e invadendola per scatenare un massacro senza precedenti (si contano in oltre centomila le vittime di fucilazioni sommarie, processi, persecuzioni volute dalla borghesia). Il 28 maggio del 1871 le truppe del governo Thiers (ricostituite con l'aiuto di Bismarck) rovesciavano l'ultima barricata e riguadagnavano Parigi.
Errori, limiti e contraddizioni della Comune
Pur definendola da subito come il più grande successo del movimento operaio, e lavorando incessantemente per sostenerne lo sviluppo nella lotta a morte contro la borghesia, Marx ed Engels non rinunciarono mai a indicare errori e limiti della Comune, nel tentativo (durante quei due mesi) di apportare decisive correzioni; e con l'intento (dopo la caduta della Comune) di propagarne gli insegnamenti, inclusi quelli negativi, per fare tesoro di quella sconfitta e avanzare verso nuove e più durature vittorie.
In decine di lettere scritte in quei giorni e in ogni testo successivo i due principali dirigenti comunisti del movimento rivoluzionario indicheranno in particolare alcuni punti che avevano contribuito al fallimento di quel grandioso esperimento. Dovendo qui, per ragioni di spazio, indicare sommariamente le lezioni negative che Marx enucleò dalla Comune, potremmo riassumere il tutto in due punti.
Primo: le misure economiche effettivamente attuate dalla Comune (e in questo pesò specialmente la componente proudhoniana, cioè anarchica e riformista) furono insufficienti. In particolare, pur teorizzando e parzialmente praticando l'esproprio della proprietà borghese dei mezzi di produzione, la Comune si arrestò davanti alla Banca nazionale, chiedendo ad essa... un prestito, anziché impossessarsene.
Secondo: le misure politico-militari furono insufficienti, tardive e confuse. Invece di attaccare il governo scappato a Versailles, prima che avesse tempo di riorganizzarsi e accerchiare Parigi, si attese, tardando poi anche nell'organizzare la difesa armata della capitale, affidandosi in diversi casi a ufficiali incapaci ed eccedendo nella magnanimità contro gli avversari che si preparavano in armi (il "terrore rosso" contro i nemici della rivoluzione fu, come ricorda Engels, più annunciato che praticato, o praticato con "eccessiva bonarietà"). Invece di dare la priorità all'estensione della rivoluzione nelle altre grandi città francesi, unica via per rompere nei fatti l'accerchiamento politico, la Comune si rinchiuse al suo interno, e il CC della Guardia Nazionale "perse tempo" (l'espressione è di Marx, ripresa da Trotsky) volendo cedere il potere che aveva conquistato a una struttura eletta, così convocò le elezioni per la Comune (formalmente a "suffragio universale" ma a cui parteciparono, nei fatti, solo i lavoratori, visto che i borghesi erano in gran parte scappati o costretti al silenzio).
Un "punto di partenza di importanza storica"
Pur con le contraddizioni, con i suoi limiti ed errori, nelle sue intenzioni soggettive, nella linea di tendenza che esprimeva, ricorda Marx, la Comune fu il primo governo operaio della storia, il primo governo dei lavoratori a governare in favore dei lavoratori. Per questo Marx scriveva, qualche settimana prima della sconfitta, in una lettera a Kugelmann: “Qualunque sia l’esito immediato, un punto di partenza di importanza storica universale è conquistato.” (3)
A cosa si riferiva Marx? In particolare al fatto che la Comune aveva insegnato per sempre, praticamente (e ciò valeva più di mille programmi e testi), che i lavoratori non possono semplicemente "conquistare" lo Stato della borghesia e "convertirlo" ai loro interessi. Quello Stato, le sue istituzioni, il suo parlamento (anche il più democratico), i suoi corpi armati, vanno "spezzati"; non serve un'impossibile opera di pacifica riforma ma è necessaria la rottura rivoluzionaria, cioè l'insurrezione e la guerra civile (la cui durata e il cui grado di intensità e di violenza dipendono non da una scelta dei rivoluzionari ma dal grado di resistenza che le classi dominanti sono in grado di frapporre per difendere la loro proprietà dei mezzi di produzione e di scambio). Allo Stato della borghesia, rovesciato dalla rivoluzione, bisogna sostituire uno Stato diverso, basato sugli organismi di lotta dei lavoratori, uno Stato operaio. Alla dittatura della borghesia (dittatura di un'infima minoranza sulla grande maggioranza) bisogna sostituire una dittatura del proletariato (che nella società costituisce la grande maggioranza). In altre parole, una diversa economia, centralizzata e pianificata in base alle esigenze della maggioranza, non può basarsi sulla falsa e formale democrazia borghese e sui suoi istituti: necessita di un altro Stato, di un'altra democrazia. Gli operai della Comune, con il loro eroico (e purtroppo fallito) tentativo avevano insomma, conclude Marx, indicato nella pratica, per la prima volta nella storia, "la forma finalmente trovata" del dominio proletario. Avevano per la prima volta costruito un governo operaio perché per la prima volta avevano rotto completamente con il governo della borghesia, rifiutando la politica di collaborazione di classe che fino ad allora (ad es. nella Francia del febbraio 1848, con l'ingresso di Louis Blanc nel governo borghese) aveva condotto i rappresentanti operai a occupare posti nei governi della borghesia e a subordinare così gli interessi dei lavoratori a quelli borghesi, sacrificando le lotte di classe a presunti (e inesistenti) "interessi comuni" delle classi.
Si trattava davvero di una conquista "teorica" (imposta nella pratica) di importanza fondamentale. Non è un caso che, ogni volta che il movimento operaio (guidato da direzioni traditrici) ha smarrito questa "conquista", e ha rinunciato all'indipendenza di classe nei confronti della borghesia e dei suoi governi, è finito in un vicolo cieco. Non è un caso che il baricentro di ogni politica riformista ‑ cioè contro-rivoluzionaria ‑ è sempre consistito nel condurre i lavoratori a credere nella collaborazione di governo con l'avversario. Tutta la politica di tradimenti operata dalla socialdemocrazia di inizi Novecento e poi sfociata nel sostegno ai governi borghesi impegnati nel macello della prima guerra mondiale; tutta la politica dei cosiddetti "fronti popolari" guidata dallo stalinismo dagli anni Trenta, che prevedeva il sostegno o la partecipazione diretta in governi borghesi; tutta la politica della socialdemocrazia nei decenni seguenti, fino alla versione (caricaturale) rappresentata dal riformismo governista odierno (in Italia, con le disastrose esperienze di governo di Rifondazione nel primo e secondo governo Prodi, nonché in decine di governi regionali e locali; esperienza che i dirigenti riformisti vorrebbero riproporre per un futuro post-Berlusconi); tutte le sconfitte a cui il riformismo ha guidato il movimento operaio riposano sulla cancellazione della "forma finalmente scoperta" dagli operai parigini. E' per questo che non solo la borghesia ma anche il riformismo di ogni epoca (ma pure gli anarchici si sono dati da fare in questo senso) hanno fatto di tutto per cancellare o perlomeno falsificare quella pagina di storia. E' per questo che quella pagina di storia appartiene pienamente solo ai rivoluzionari.
Senza partito comunista nessuna rivoluzione può vincere e svilupparsi
Ma la nostra ricostruzione della Comune e dei suoi insegnamenti, pur necessariamente schematica, sarebbe del tutto incompleta se non dicessimo qualcosa della principale causa (a giudizio di Marx, di Lenin, di Trotsky) della sua sconfitta. Tutti i grandi dirigenti rivoluzionari che studiarono la Comune concordano nel dire che essa fallì per assenza di una direzione, di un partito, coerentemente marxista. Nessuna rivoluzione della storia è mai avvenuta "spontaneamente" (la "generazione spontanea" non esiste né in natura né in politica) sempre ci sono state delle direzioni: le qualità di queste direzioni determinano le possibilità di vittoria della rivoluzione.
In effetti, pur essendo presenti nella Comune tutte le correnti della sinistra dell'epoca (neogiacobini, proudhoniani, anarchici bakuniani, blanquisti) e pur essendo una maggioranza dei dirigenti affiliata all'Associazione Internazionale dei Lavoratori (cioè alla Prima Internazionale), solo una manciata di essi era vicina alle posizioni della maggioranza dell'Internazionale, cioè alle posizioni di Marx ed Engels (gli stessi principali testi di Marx, a partire dal primo libro del Capitale, uscito nel 1867, erano sostanzialmente sconosciuti in Francia persino dai dirigenti comunardi).
Non mancavano insomma organizzazioni legate alle varie correnti del movimento operaio. C'era persino un embrione di partito (il Comitato Centrale dei Venti Arrondissements, organizzazione di militanti, d'avanguardia, basata su un programma di opposizione di classe alla borghesia, nato nel settembre 1870), ma i pochi marxisti, presenti in diverse organizzazioni e talvolta (raramente) titolari di incarichi dirigenti della Comune, non disponevano ancora di un loro partito (4). Questo spiega la ragione di oscillazioni, indecisioni, ritardi, e giganteschi errori nella conduzione della Comune. E spiega anche perché Marx, poche settimane prima dell'insurrezione parigina, auspicasse che i tempi dello scontro di classe (precipitato dall'attacco borghese per disarmare la Guardia Nazionale) lasciassero agli operai rivoluzionari il tempo di costruire quel partito che mancava (5).
Fu proprio il fallimento della Comune l'elemento principale che portò alla crisi e quindi alla decisione di sciogliere la Prima Internazionale (basata su una "ingenua unità di riformisti e rivoluzionari", secondo l'espressione di Engels) per dare vita a una internazionale e a partirti "interamente marxisti" (6).
Come concludeva Trotsky, fu appunto la presenza in Russia di un partito "interamente marxista" (il partito bolscevico) a consentire che la Comune di Pietrogrado del 1917 non venisse schiacciata come quella di Parigi e desse luogo, in forma non effimera (anche se purtroppo rovesciata grazie alla successiva opera dello stalinismo), a una effettiva dittatura del proletariato (7).
Questo resta il principale insegnamento che ci lasciano in eredità gli operai che centoquaranta anni fa diedero vita al primo governo operaio della storia: anche le rivoluzioni che oggi stanno sconvolgendo il Nord Africa e il Medio Oriente, anche le rivoluzioni che domani potranno infiammare l'Europa e i Paesi occidentali, riusciranno a imporsi e svilupparsi in direzione del socialismo solo se, nel vivo di quei processi, sapremo costruire quei partiti coerentemente marxisti (cioè, oggi, trotskisti) e quell'internazionale coerentemente comunista (cioè, oggi, la Quarta Internazionale) che sono strumenti indispensabili per rovesciare il dominio capitalistico e vincere.
--------------------------
Note
(1) Un'ampia parte di Stato e rivoluzione, il libro che Lenin scrisse alla vigilia della rivoluzione d'Ottobre, nonché tutti i principali testi (ad es. le "Tesi di Aprile") con cui il dirigente bolscevico "riarmò" programmaticamente il partito per guidarlo alla vittoria sono impregnati di riferimenti alla Comune del 1871.
(2) Alla fine di febbraio 1871, un’assemblea di duemila delegati di battaglioni della Guardia Nazionale approva la costituzione in Federazione repubblicana. Al primo punto del programma vi è l’abolizione dell’esercito permanente e la sua sostituzione con una milizia dei lavoratori. E’ la proclamazione della rottura con lo Stato borghese e la volontà di sciogliere le sue “bande armate” imponendosi come unica forza armata.
(3) Lettera di Marx a Kugelmann, 17 aprile 1871, in K. Marx, Lettere a Kugelmann, Editori Riuniti, 1976, p. 166.
(4) C’era a Parigi un diretto rappresentante dell’Ail, inviato da Marx, Serraillier. Oltre a lui, Marx poteva contare a Parigi soltanto su un altro dirigente: l’operaio di origine ungherese Leo Frankel e su qualche altro marxista isolato, ad esempio la ventenne Elisabeth Dmitrieff, militante di origine russa, incoraggiata da Marx ad andare a Parigi nel marzo 1871, e che diverrà dirigente della Union des femmes (Unione delle donne). Sappiamo poi che Marx era in corrispondenza anche con Eugene Varlin (la più interessante figura della Comune) e che scrisse diverse lettere a Varlin, Serraillier e Frankel (la gran parte sono andate perse).
(5) “Utilizzino con calma e risolutamente tutte le possibilità offerta dalla libertà repubblicana, per lavorare alla loro organizzazione di classe. Ciò darà loro nuove forze erculee (...) per il nostro compito comune, l’emancipazione del lavoro.” Così scrive Marx nel secondo "Indirizzo per il Consiglio Generale dell'Internazionale" (9 settembre 1870), in La guerra civile in Francia, Ed. Newton Compton, 1978, p. 83.
(6) Engels: "Io credo che la prossima Internazionale ‑ dopo che i libri di Marx avranno esercitato la loro influenza per alcuni anni ‑ sarà puramente comunista e propagherà direttamente i nostri principi.” (lettera ad A. Sorge, 12 settembre 187, in Marx ed Engels, Lettere 1874-1879, ed. Lotta Comunista, 2006, pag. 35).
(7) In diversi testi degli anni Trenta (v. nota bibliografica in queste pagine) Trotsky aggiorna l'analisi classica di Marx e Lenin sulla Comune e rimarca come essa non fu una effettiva dittatura del proletariato ma solo un embrione di essa: appunto perché, pur essendo presente un embrione di soviet (il Comitato Centrale della Guardia Nazionale) mancava in esso un partito marxista d'avanguardia che, scontrandosi con le correnti riformiste (come fecero i bolscevichi nel 1917 contro menscevichi e Sr), e distruggendole politicamente, guadagnasse gli organismi di lotta dei lavoratori a un coerente programma comunista per la dittatura del proletariato.
-------------------------------------------
Letture per conoscere la Comune del 1871
Chi è interessato ad approfondire la conoscenza della Comune del 1871 può utilizzare questo percorso di letture (purtroppo, a parte i testi dei classici del marxismo, la storiografia più recente e più interessante su questo tema è quasi interamente in lingua francese).
1) Karl Marx, La guerra civile in Francia (si trova in decine di edizioni, qualcuna anche recente), contiene i più importanti testi scritti da Marx per la Prima Internazionale sulla guerra franco-prussiana e sulla Comune di Parigi.
2) V.I. Lenin, Stato e rivoluzione (disponibile in varie edizioni). E' il testo fondamentale di Lenin sui marxisti e lo Stato. Un intero capitolo è dedicato alla Comune del 1871.
3) V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (anche questo si trova negli Editori Riuniti e in varie altre edizioni). E' la polemica contro Kautsky e la sua concezione di una astrazione di Stato posto al di sopra delle classi. Anche qui è centrale il tema della Comune.
4) Lev Trotsky, Le lezioni della Comune (1921), prefazione al libro di C. Talès, La Commune de Paris (ed. Spartacus, 1998).
5) Lev Trotsky, Terrorismo e comunismo. E' un testo fondamentale di Trotsky, scritto nel 1919, costituisce un secondo "anti-Kautsky", meno noto di quello leniniano ma per certi versi ancora più efficace nel difendere la dittatura del proletariato dagli attacchi revisionisti del riformismo. In italiano non ne esiste finora una traduzione corretta né una edizione decente.
6) Jean Bruhat, Jean Dautry, Emile Tersen, La Comune del 1871 (Ed. Riuniti, 1971). E' sicuramente la miglior storia della Comune, la più affidabile (al di là di giudizi non sempre condivisibili).
7) Bernard Noel, Dictionnaire de la Commune (Mémoire du livre, 2000) è un dizionario (inedito in italiano) utilissimo per non smarrirsi tra eventi, protagonisti, nomi della Comune.
8) Charles Rihs, La Commune de Paris, sa structure et ses doctrines (Ed. du Seuil, 1973) (anche questo importante studio non è stato tradotto in italiano): è il miglior testo critico sulla Comune. Contiene uno studio approfondito delle varie correnti del movimento operaio che animarono la Comune, dei loro scontri.
9) Jean Dautry, Lucien Scheler, Le Comité Central Républicain des vingt arrondissements de Paris (Editions Sociales, 1960). E' un testo fondamentale essendo di fatto l'unico a studiare approfonditamente quell'embrione di partito operaio che nacque alla vigilia della Comune e i cui dirigenti ebbero, individualmente, un ruolo centrale.
10) Michel Cordillot, Eugene Varlin (Ed. Ouvrières, 1991) la più recente (e ben documentata) biografia del più avanzato dirigente operaio della Comune (il suo avvicinamento al marxismo fu interrotto dalle pallottole della repressione).
11) Infine, un'analisi delle posizioni di Marx, Engels, Lenin e Trotsky sulla Comune (rilette alla luce delle informazioni sulla Comune fornite dalla storiografia del Novecento) si trova in: F. Ricci, "La Comune di Parigi (1871): premessa della Comune di Pietrogrado (1917)", pubblicato in spagnolo su Marxismo Vivo (rivista teorica della Lit-Quarta Internazionale), n. 16, 2007 e pubblicato in opuscolo in italiano dal Pdac (può essere richiesto alla redazione).
La Comune di Parigi (1871):
premessa della Comune di Pietrogrado (1917)
di Francesco Ricci
E’ difficile trovare negli anni precedenti la Comune massacri simili a quello che la borghesia attuò con ferocia dopo la caduta del primo governo operaio della storia. Bisogna andare indietro fino ai seimila schiavi dell’esercito di Spartaco fatti crocifiggere da Crasso sulla via Appia perché servissero d’esempio a chi avesse voluto ribellarsi contro Roma.
Non si saprà mai quante sono state precisamente le vittime. Sappiamo però che su una popolazione di circa due milioni di abitanti, alla fine ne mancavano centomila. Si fecero fosse comuni, fucilazioni a caso: per rendere più veloce il lavoro furono usate le mitragliatrici. Finito il bagno di sangue, la repressione continuò con le ricerche, i processi, le deportazioni e con anni di calunnie. Tutta la stampa borghese internazionale fu impiegata per dipingere gli operai parigini come dei vandali.
Perché tanto accanimento? La risposta la troviamo in una delle importanti lettere che Karl Marx scrisse (questa è dell’aprile 1871, quando la Comune era iniziata da poco) al dottor Kugelmann: “Qualunque sia l’esito immediato, un punto di partenza di importanza storica universale è conquistato” (1). La borghesia voleva cancellare questo “punto di importanza storica”.
I bolscevichi studiarono e impararono molto dalla Comune
I bolscevichi che si preparavano a una nuova rivoluzione studiarono a fondo il 1871.
Lo studio della Comune fu al centro di tutta la preparazione teorica di Lenin all’Ottobre. Il “quaderno azzurro” di citazioni di Marx ed Engels sullo Stato (che verrà pubblicato dopo la rivoluzione col titolo di Stato e Rivoluzione), che sarà alla base delle Lettere da lontano con cui Lenin cerca di indirizzare dalla Svizzera il gruppo dirigente bolscevico, le Tesi d’aprile e tutta la battaglia per “riarmare” il partito nei frenetici mesi del ’17: tutto ciò ha al centro l’esempio della Comune.
Come scrisse Trotsky (in Le lezioni dell’Ottobre) senza lo studio della Comune “non avremmo mai guidato la Rivoluzione d’ottobre”. Trotsky scriverà della Comune durante tutto il corso della sua vita: dal fondamentale Le lezioni della Comune, prefazione del 1921 a un libro di Talès (2), in cui sviluppa una comparazione tra la Comune di Parigi, sconfitta, e quella di Pietrogrado, vittoriosa; a interi capitoli di Terrorismo e comunismo (scritto durante la guerra civile per difendere la dittatura del proletariato dalle critiche “democratiche” di Kautsky), fino allo splendido La loro morale e la nostra (in cui cita la Comune per sostenere la necessità del “terrore rosso” nella guerra civile russa).
Attraverso quale scuola passò il proletariato francese
Per studiare la Comune, Lenin e Trotsky dovettero eliminare l’incrostazione di falsificazioni che la borghesia, i riformisti e gli anarchici avevano depositato su quella vicenda.
Dovettero contrastare le letture che pretendevano di vedere nella Comune un fatto “spontaneo” e casuale. Un mito alimentato dalla storiografia borghese per dimostrare che si trattava di un evento irripetibile; ma rafforzato anche dalla lettura anarchica che pretendeva così di trovare la conferma delle sue teorizzazioni sulla inutilità di un partito d’avanguardia.
In realtà non vi fu nulla di casuale né tantomeno di “spontaneo” nella Comune.
Gli operai parigini arrivavano al 1871 sulla base di un secolo di rivoluzioni. In una rapida corsa tra le date storiche basta qui ricordare alcuni eventi. La Grande rivoluzione francese della fine del Settecento, che espresse col giacobinismo il massimo che poteva produrre la società borghese nel tentativo di annullare le contraddizioni di classe ma in cui pure nacque un primo programma proletario, espresso dagli “arrabbiati” di Roux e Leclerc, maestri di Babeuf: un movimento che ‑ come scrisse Marx ‑ era però ancora privo delle basi sociali per crescere. La rivoluzione del luglio 1830 in cui il proletariato ha una parte attiva ma è subalterno alla borghesia che aiuta a liberarsi di Carlo X per insediare una monarchia costituzionale (Luigi Filippo d’Orleans). E ancora, la rivoluzione del febbraio 1848, in cui il proletariato aiuta la borghesia a liberarsi di Luigi d’Orleans ma cade nella trappola di partecipare ‑ per la prima volta nella storia ‑ a un governo con la borghesia, con un ministro (Louis Blanc) che dovrebbe rappresentare gli operai ma che in realtà ‑ come accade oggi ogni volta che si costituisce un governo “comune” delle due classi mortalmente nemiche ‑ finisce con il disarmare gli operai. Operai che, finalmente, nel giugno 1848 rompono la subalternità alla borghesia e si scagliano contro di essa, con i fucili (pagando la loro impreparazione con diecimila morti). Dalle barricate del 1848 emerge la figura di Luigi Bonaparte che, col nome di Napoleone III, governerà la Francia fino alla vigilia della Comune (3).
Gli operai parigini non arrivano “casualmente” alla rivoluzione del 1871. Appresero a loro spese la necessità dell’indipendenza di classe dalla borghesia. Purtroppo, però, il proletariato non impara da solo: non completamente. Ha bisogno che le sue esperienze di lotta siano elaborate da quella memoria permanente che è il partito rivoluzionario. Privi di questo partito, gli operai parigini furono nuovamente ingannati dalla borghesia alla fine della guerra franco-prussiana.
La guerra franco-prussiana: un altro tradimento della borghesia
Non c’è qui lo spazio per approfondire il tema (4) della guerra franco-prussiana. Basti dire che le cause reali della guerra furono il tentativo di Napoleone III di uscire dalla crisi del suo regime con quella che sperava sarebbe stata una rapida vittoria; e la convinzione di Bismarck che la vittoria avrebbe facilitato l’unificazione della Germania (che era divisa in tanti piccoli Stati) attorno alla Prussia. L’Associazione Internazionale dei Lavoratori (d’ora in poi Ail) si espresse contro la guerra e a favore della fraternizzazione del proletariato dei due Paesi. Al contempo non fu “equidistante” di fronte alla guerra ormai scoppiata: era convinzione di Marx ed Engels, infatti, che una vittoria della Prussia avrebbe facilitato l’unificazione della classe operaia tedesca in una Germania unita e avrebbe aperto la strada, in Francia, alla Repubblica, liberando la classe operaia dell’oppressivo regime di Napoleone III (5).
Le loro previsioni si avverarono: in poche settimane la Francia fu sconfitta e una rivolta popolare proclamò la Repubblica. Ma, ancora una volta, gli operai si fidarono della borghesia, affidandole il governo. Il primo atto del nuovo governo repubblicano diretto da Thiers fu quello di accordarsi con la borghesia tedesca, scaricando i costi della guerra sulla classe operaia.
Un ostacolo per la borghesia: Parigi operaia armata
Ma il complotto delle borghesie francese e tedesca trovò sulla strada un ostacolo gigantesco: gli operai parigini armati. Esisteva infatti in Francia una milizia, la Guardia Nazionale. Cioè lavoratori attivi che, inquadrati in battaglioni, periodicamente si dedicavano alle esercitazioni militari, pagati dallo Stato. La Guardia Nazionale era un vecchio istituto della rivoluzione del 1789 ed era servita nel giugno 1848 alla borghesia per reprimere gli operai. Ma nel 1871 era ormai composta quasi interamente da lavoratori e non più da borghesi. E dalla costituzione della repubblica si era riorganizzata in una Federazione repubblicana, con l’elezione degli ufficiali da parte della truppa (6).
La classe operaia si era rafforzata molto dagli anni Sessanta. Era cresciuta numericamente ed era concentrata in alcune fabbriche: ai cantieri navali di Parigi lavoravano 70 mila operai, la fabbrica metallurgica Cail impiegava tremila operai, altre grandi concentrazioni operaie erano alla Govin (produzione di locomotive), alla fabbrica di armi del Louvre, ecc.
C’erano dunque trecentomila operai, addestrati e armati e non più disponibili a subire la volontà della borghesia. Il tentativo di Thiers di disarmare la Guardia Nazionale, sottraendole i cannoni e le mitragliatrici, porta alla insurrezione del 18 marzo: con una fraternizzazione tra la popolazione del quartiere di Montmartre (un ruolo importante, come nel febbraio 1917, lo ebbero le donne, e tra loro la maestra Louise Michel) e i soldati. Al governo della borghesia non restava che fuggire da Parigi e rifugiarsi nella vicina Versailles, mentre il Comitato Centrale, direzione della Guardia Nazionale, completava la conquista del potere con la presa indolore dell’Hotel de Ville (come nel 1917 la conquista del Palazzo d’Inverno fu solo l’ultimo atto della rivoluzione).
La classe operaia al governo
Per la prima volta nella storia, la classe operaia costituiva “un governo della classe operaia per la classe operaia” (Marx). E scopriva, per dirla con le parole che Brecht fa pronunciare a Galileo Galilei, che “non esiste differenza tra il cielo e la terra, scrivendo nel suo diario: abolito il cielo”. Abolita la necessità della borghesia, dei direttori di fabbrica: i lavoratori possono dirigere le fabbriche e lo Stato facendo a meno di questi parassiti. Governare non è più una cosa riservata al “cielo” borghese.
Il Comitato Centrale ritiene però (sbagliando) (7) di dover cedere il potere a una Comune eletta e per questo indice nuove elezioni che formano una assemblea di circa novanta membri, al cui interno vengono costituite delle commissioni (ricalcate esattamente sulla base dei ministeri del governo nazionale: Finanze, Esteri, Istruzione, Lavoro, ecc., a dimostrazione che la Comune aspirava a governare su tutta la Francia).
Questo governo che univa il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, superando la borghese “tripartizione” dei poteri, durò solo poche settimane. Eppure la sua attività fu così intensa che servirebbero tre numeri di questa rivista solo per elencarla. Lo scioglimento della polizia e la sostituzione dell’esercito permanente con la milizia operaia (Guardia Nazionale), con cui fu distrutta la macchina statale borghese (il più grande insegnamento della Comune secondo Marx, posto anche da Lenin a fondamento di tutto l’operato dei bolscevichi: i rivoluzionari non possono limitarsi a “riformare” la macchina statale borghese ma devono spezzarla, distruggerla e sostituirla con la dittatura del proletariato); l’assistenza medica gratuita (con aborto libero e gratuito, cioè qualcosa che non è ancora acquisito oggi nelle repubbliche borghesi); la pensione a 55 anni; la riforma della scuola verso un insegnamento “politecnico”, che univa per la prima volta ciò che la borghesia vuole insegnare separatamente ai figli dei borghesi e a quelli degli operai, le materie “umanistiche” e quelle “scientifiche” e “tecniche”; la separazione dello Stato dalla Chiesa, con la soppressione dei contributi al clero e l’espulsione della religione dalle scuole; un inizio di requisizione delle fabbriche e la riorganizzazione del lavoro operaio sotto il controllo dei lavoratori, riuniti in assemblee per decidere cosa e come produrre; la requisizione delle case sfitte e la loro assegnazione ai senza tetto; ecc. ecc.
Molte di queste misure, visto lo scarso tempo che gli operai parigini ebbero a disposizione, rimasero solo nelle intenzioni. Ma indicano la volontà di rovesciare completamente la società borghese in tutte le sue forme, fondando una società nuova, creata dagli operai.
Significativo il fatto che nelle dieci settimane della Comune, furono almeno cento i giornali quotidiani. Le biblioteche rimanevano aperte di notte perché gli operai volevano appropriarsi della cultura da cui erano stati a lungo tenuti lontani. Talmente tanti erano i dibattiti che non bastavano le sale per ospitarli (per questo si buttarono fuori i preti dalle chiese, utilizzandole per attività più utili della preghiera). Questa esperienza grandiosa fu interrotta dall’ingresso delle truppe del governo borghese (ricostituite con l’aiuto di Bismarck) che il 28 maggio del 1871 rovesciarono l’ultima barricata eretta dagli operai.
Una simile vivacità culturale la ritroveremo nella storia soltanto una cinquantina di anni dopo, con la nuova era aperta dal governo operaio instaurato dalla rivoluzione d’Ottobre.
Lezioni ed errori della Comune nell’analisi di Marx ed Engels
Marx ed Engels, che pure ritennero talmente importante quella breve esperienza francese da dover inserire la sua lezione principale (la dittatura del proletariato nella “forma finalmente trovata”) in tutti i testi, non risparmiarono le critiche, individuando errori e limiti, fornendo una lezione di strategia e tattica che sarà messa a frutto dai bolscevichi.
Criticarono gli errori tattici: non aver attaccato il governo di Versailles, essersi limitati nell’impiego del “terrore rosso” contro i reazionari borghesi (gli operai parigini furono, secondo Engels, “eccessivamente bonari”). Criticarono gli errori programmatici: non aver completato l’esproprio della borghesia, fermandosi davanti alla porta della Banca Nazionale.
Tuttavia, nella Comune Marx ed Engels videro un grande insegnamento: la necessità che il proletariato agisca nell’indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi, come condizione per guadagnare, nella lotta di opposizione e poi con l’insurrezione, il proprio governo. La rimozione di questa lezione storica è alla base di tutte le “teorie” del riformismo (riprese dallo stalinismo con la partecipazione ai governi di “fronte popolare” a partire dal 1935). Proprio sulla base di questa lezione Lenin “riarmerà” il partito bolscevico con le Tesi di aprile, sostenendo la necessità di non fornire nessun appoggio al governo borghese (di “sinistra”) di Kerensky come premessa per conquistare la maggioranza dei lavoratori politicamente attivi al compito di rovesciare quel governo per costruirne uno operaio.
Fu realmente la prima dittatura del proletariato? La revisione di Trotsky
Nella prefazione del 1891 a La guerra civile in Francia, Engels scrive: "Guardate la Comune di Parigi. Questa fu la dittatura del proletariato".
In realtà Engels enfatizzava polemicamente un concetto per attaccare le tendenze revisioniste che già si stavano manifestando nella socialdemocrazia tedesca. Ma Marx (anche ne La guerra civile in Francia) parlava più precisamente di una “tendenza” verso la dittatura del proletariato.
E’ stato Trotsky a sviluppare l’analisi di Marx, facendo quella che Nahuel Moreno ha giustamente indicato come una “revisione” dell’analisi di Marx e di Lenin ‑ ovviamente una revisione nel senso marxista, e cioè uno sviluppo delle concezioni del marxismo sulle sue basi. (8)
Trotsky in alcuni importanti scritti degli anni Trenta, che Moreno cita (9), specifica dove si trovava questa “tendenza” o embrione di dittatura del proletariato: non nel Consiglio della Comune (i novanta eletti a “suffragio universale” nelle elezioni indette dal Comitato Centrale) ma nel Comitato Centrale della Guardia Nazionale. Perché? Perché era in quella struttura comprendente soltanto chi si organizzava per la lotta ‑ e non in un’assemblea uscita dalle elezioni, per quanto elezioni del tutto particolari ‑ che si poteva vedere il primo “soviet” della storia. Moreno cita a conferma di ciò questo importante brano di Trotsky: "Quando noi diciamo Viva la Comune, noi ci riferiamo all'eroica insurrezione, non all'istituzione della Comune, cioè non alla municipalità democratica. La sua elezione, peraltro, fu una sciocchezza (vedi Marx) e questa sciocchezza fu comunque resa possibile solo in seguito alla conquista del potere da parte del Comitato Centrale della Guardia Nazionale, che era il 'comitato d'azione' o il soviet in quella situazione".
Ma perché la dittatura era solo potenziale? Perché il “soviet” era a sua volta solo embrionale. Ciò che mancava nel “soviet” perché esso potesse trasformarsi nel pilastro di una reale dittatura del proletariato era un partito marxista rivoluzionario. Scrive Trotsky (già in Gli insegnamenti della Comune di Parigi, che è del 1921): “Il Comitato Centrale della Guardia Nazionale aveva bisogno di essere diretto”.
Ecco la principale differenza tra il 1871 e il 1917: nel 1917 c’era quel partito (il Partito bolscevico) che, inizialmente minoritario, scontrandosi con le direzioni riformiste (Socialisti Rivoluzionari e menscevichi), guadagnerà la maggioranza nei soviet, trasformandoli da sostenitori del governo borghese (febbraio) nella base del governo operaio (ottobre). Lenin e Trotsky non esalteranno mai i soviet in sé: li vedranno come strutture che possono servire a scopi diversi, a seconda della direzione. Pur senza contrapporre mai i soviet al partito, né il partito alle masse (è anzi Trotsky a usare l’efficace metafora del cilindro ‑ il partito ‑ e del vapore ‑ le masse: due elementi che si completano a vicenda), Trotsky individua l’elemento centrale nel partito. E’ l’elemento centrale così come in una volta c’è una pietra che regge tutte le altre (la “chiave di volta”): non le sostituisce, ma è la pietra più importante.
Il partito è la chiave di volta mancante nel 1871
A Parigi, nel 1871, non c’era un partito come fu poi quello bolscevico.
Marx era consapevole di questa mancanza fondamentale ed è per questo che subito dopo la proclamazione della Repubblica (settembre 1870) suggerisce agli operai un atteggiamento di opposizione al governo borghese ma non mirante a rovesciarlo immediatamente: “Utilizzino con calma e risolutamente tutte le possibilità offerta dalla libertà repubblicana, per lavorare alla loro organizzazione di classe. Ciò darà loro nuove forze erculee (...) per il nostro compito comune, l’emancipazione del lavoro” (10).
A Parigi prevalgono nella sezione francese dell’Internazionale correnti diverse da quella marxista: proudhoniani, proudhoniani di sinistra (legati a Bakunin). Nella Comune, poi, prevalgono le posizioni di blanquisti e neo-giacobini.
Le tendenze del movimento operaio nella Parigi del 1871
Questi nomi dicono poco al lettore odierno perché sono tendenze ormai scomparse: e fu proprio l’esperienza pratica della Comune a contribuire alla loro dissoluzione.
I proudhoniani erano i seguaci di Proudhon (padre dell’anarchismo ma anche di tante varianti di riformismo che dobbiamo subire ancora oggi), contro cui Marx si era scontrato per decenni, e con cui aveva polemizzato già nel 1847 con La miseria della filosofia. Proudhon era già morto all’epoca della Comune (morì nel 1865) ma l’influsso della sua tendenza era ancora molto forte in Francia e forti erano le sue posizioni contro ogni idea di centralismo e di dittatura. L’essenza del proudhonismo consisteva, secondo Marx, nel voler porre rimedio ai mali del capitalismo per assicurare la sopravvivenza del capitalismo stesso, riformandolo.
Da una sua ala sinistra si andavano sviluppando in Francia le posizioni anarchiche dei seguaci di Bakunin. Che teorizzavano come soggetto rivoluzionario, al posto della classe operaia, la “canaglia” cioè il sottoproletariato; ed erano sostenitori di una estinzione immediata dello Stato, e avversari della dittatura del proletariato. I bakuniani sostenevano l’”astensione politica” del proletariato ed erano contrari al concetto di un partito per la conquista del potere; si definivano “anti-autoritari”, e volevano un’Internazionale federalista. Erano insomma l’esatto opposto dei marxisti.
Fuori dall’Internazionale c’erano poi i neo-giacobini, che rivendicavano le posizioni di Robespierre e di Marat e che si scontravano, ma talvolta si accordavano, con i blanquisti (che preferivano rifarsi a un’altra figura della rivoluzione francese, Hebert), i seguaci di Auguste Blanqui, definito da Marx “testa e cuore del proletariato francese”, coraggioso rivoluzionario che passò metà della sua vita in carcere (era rinchiuso anche durante la Comune) e che concepiva la rivoluzione come l’insurrezione di una élite di rivoluzionari (essendo gli operai, secondo Blanqui, incapaci di liberarsi culturalmente nel capitalismo). Secondo Engels (che pure aveva stima del grande rivoluzionario francese), Blanqui era “un rivoluzionario di una stagione precedente”, legata all’utopismo. Blanquisti e neogiacobini si avvicinavano più dei proudhoniani all’idea di “centralizzazione” e di “dittatura” dei marxisti (anche se in una forma distorta, non su basi di classe) ma sottovalutavano gli aspetti “sociali” della rivoluzione che, viceversa, i proudhoniani mettevano al primo posto (anche se in una forma distorta).
Riassumendo: le correnti principali erano cinque: neo-giacobini, blanquisti, proudhoniani (federalisti), bakuniani (collettivisti), marxisti. Ma si tratta di una classificazione di comodo. I confini tra un gruppo e l’altro non erano netti, spesso si formavano gruppi trasversali (non esistendo veri partiti): nell’Internazionale c’erano diversi blanquisti (anche se questa corrente non aveva aderito all’Ail); tra i blanquisti non membri dell’Internazionale ce ne erano alcuni più vicini a Marx di molti proudhoniani, che pure facevano parte dell’Ail.
Esistono vari studi in cui si è tentato di classificare i protagonisti della Comune. Il più documentato è quello di Charles Rihs (11) che contraddice decine di altri studi. In realtà non solo non abbiamo (ancora oggi!) una documentazione sufficiente, ma l’esercizio di “etichettatura” dei vari comunardi è in parte inutile in quanto, come commentò Engels, il più delle volte “gli uni e gli altri fecero precisamente il contrario di quello che prescriveva la dottrina della loro scuola”.
Molti dirigenti della Comune trassero insegnamento dalla loro esperienza, avvicinandosi al marxismo: diversi dirigenti blanquisti sostennero le posizioni di Marx al congresso dell’Aja (12) in cui la maggioranza marxista espulse dall’Internazionale gli anarchici di Bakunin che si ostinavano, nonostante la Comune, a negare la necessità di costruire un partito centralizzato della classe operaia per la conquista del potere.
Ma in quei mesi in Francia i marxisti conseguenti si contavano sulle dita delle mani. Per questo Marx mandò a Parigi un operaio dell’Ail a lui vicino: Serraillier (13).
Purtroppo mancò il tempo per costruire un partito marxista perché i tempi della crisi rivoluzionaria li decise la borghesia, attaccando a marzo e costringendo gli operai a difendersi per non essere disarmati e sconfitti.
Il ruolo dell’Internazionale e il ruolo dei marxisti
Il 14 maggio 1872 è promulgata la legge Dafaure che proibisce in Francia qualsiasi associazione internazionale “che abbia per scopo di promuovere scioperi, l’abolizione del diritto di proprietà, di famiglia, di religione”.
L’obiettivo della borghesia francese è l’Ail diretta da Marx. E’ all’Ail che la borghesia addebita la “colpa” di aver organizzato la Comune.
Ma quale ruolo ha avuto realmente l’Ail? Engels lo riassume così: “(...) la Comune dal punto di vista intellettuale fu assolutamente figlia dell’Internazionale, sebbene questa non mosse un dito per farla (...) anche se ne fu giustamente considerata responsabile” (14).
Che significa? L’Internazionale “non mosse un dito” eppure fu “giustamente considerata responsabile”? La contraddizione è solo apparente. Engels intende dire che l’Internazionale, intesa come il Consiglio Generale diretto da Marx, ebbe purtroppo una scarsa possibilità di direzione; al contempo riconosce l’importanza che la sezione francese e i suoi militanti ebbero nella Comune.
La storiografia (anche marxista) in genere si è fermata solo a una parte delle affermazioni di Engels (i marxisti erano deboli a Parigi) e ha sottovalutato quel riconoscimento di “paternità” che Engels esprime qui e in altri testi.
I dirigenti effettivamente “marxisti”, cioè legati coscientemente alle posizioni di Marx (e della maggioranza dell’Ail), erano pochissimi. C’era a Parigi un diretto rappresentante dell’Ail, inviato, come abbiamo visto, da Marx, Serraillier. Eppure, questo calzolaio, onesto e fedele, non aveva una grande formazione e non era in grado di analizzare compiutamente la situazione, come si capisce dai rapporti che invia al Consiglio Generale di Londra. Oltre a lui, Marx poteva contare a Parigi soltanto su un altro dirigente: l’operaio di origine ungherese Leo Frankel. E basta. C’era solo qualche altro marxista isolato, ad esempio la ventenne Elisabeth Dmitrieff, militante di origine russa dell’Ail, incoraggiata da Marx ad andare a Parigi nel marzo 1871, e che diverrà dirigente della Union des femmes (Unione delle donne). Sappiamo poi che Marx era in corrispondenza anche con un altro dirigente, Eugene Varlin (la più interessante figura della Comune) e che scrisse diverse lettere a Varlin, Serraillier e Frankel, inviate attraverso un commerciante tedesco che viaggiava tra Londra e Parigi. Purtroppo la maggioranza di queste lettere sono andate perse. Le poche lettere rimaste sono però significative. Frankel (incaricato di dirigere la commissione Lavoro della Comune) scrive a Marx (il 25 aprile 1871): “Sarei molto contento se lei volesse in qualche modo aiutarmi col suo consiglio, perché attualmente io sono per così dire solo (...)”. Non disponiamo della preziosa risposta di Marx. Abbiamo però una lettera che Marx scrive (il 13 maggio 1871) a Frankel e Varlin: "Per la vostra causa ho scritto diverse centinaia di lettere in tutti i punti della terra dove abbiamo relazioni. (...). La Comune perde molto tempo, mi sembra, in piccolezze e in dispute personali. (...) Ma tutto ciò non importerebbe niente, se vi riuscisse di recuperare il tempo perduto".
Ma perché Engels rivendica la “paternità” dell’Ail sulla Comune? Perché in realtà l’Ail in Francia era diventata negli anni Sessanta una organizzazione molto importante. Inizialmente diretta da esponenti proudhoniani, aveva visto crescere al suo interno un gruppo di giovani dirigenti operai, e tra loro specialmente quel Varlin citato, operaio rilegatore, autodidatta. Nel 1866 a Parigi l’Ail aveva 600 iscritti; alla vigilia della Comune ne aveva 70 mila (15). Le altre Federazioni, oltre a Parigi, erano a Marsiglia, Rouen, Lione: cioè i principali centri di lotta operaia della Francia. L’Ail animò tutte le importanti lotte e gli scioperi degli anni Sessanta, che prepararono la Comune.
Il problema è che pur avendo molti iscritti (anche se spesso si trattava di iscrizioni collettive) l’Internazionale non disponeva di un partito strutturato ‑ mancava difatti persino un giornale. Non solo: la direzione di questi militanti, inseriti nelle lotte principali, ma spesso non organizzati tra loro, era in mano a socialisti non marxisti.
Ecco perché Marx puntava molto nel tentativo di conquistare Eugene Varlin, che era divenuto di fatto il principale dirigente dell’Ail. Si trattava di un militante di grandi capacità organizzative che cercava di recuperare il tempo perso dai vecchi dirigenti proudhoniani.
Varlin avrà un ruolo fondamentale nella Comune. Oltre ad essere “ministro” della Comune (prima alle Finanze poi alla Sussistenza), sarà eletto nel Comitato Centrale della Guardia Nazionale (che guiderà il 18 marzo ad occupare Place Vendome), ispirerà la Sezione dell’Ail, dirigerà il lavoro della Camera sindacale, sarà tra i principali dirigenti di un embrione di partito rivoluzionario, denominato Delegazione dei Venti Circondari (circondari sono i quartieri o “arrondissements” in cui è divisa Parigi). E’ significativo il fatto che tre di queste organizzazioni avessero sede nello stesso posto: al numero 6 di Place de la Corderie (nella Parigi odierna, diventata rue de la Corderie) c’erano la sede della Camera sindacale, della Delegazione dei Venti Circondari e della sezione francese dell’Ail. Da quanto possiamo capire dai verbali della direzione francese dell’Ail, il dibattito e le decisioni sono spesso orientati dagli interventi di Varlin (16). E Varlin è sempre sostenuto da Frankel e da Serraillier, i due marxisti. Ma Varlin non era marxista, anche se, di provenienza proudhoniana, si stava spostando sempre più a sinistra. Gli storici esprimono definizioni discordanti: c’è chi lo definisce “proudhoniano di sinistra”, chi in rapporto con Bakunin (è il caso di Carr) e chi (Nikolaevskij, ma anche Kaminski) (17) lo definisce ‑ sbagliando ‑ “bakunista”. In realtà chi ha indagato di più, come lo storico Bruhat, ha trovato carte che provano che Bakunin tentò di reclutare Varlin alla sua setta, contro Marx, ma non ci riuscì e ne fu molto deluso (18). Quello che è certo, è che Varlin espresse durante la Comune posizioni lontane da quelle di Bakunin (Varlin poneva l’organizzazione degli operai al centro della lotta, non certo la cospirazione della “canaglia”) e lontane anche da quelle dei proudhoniani, tanto che, da delegato alle Finanze, si scontrò con il dirigente proudhoniano, Jourde, sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Banca Nazionale di cui Varlin (come Marx) avrebbe voluto che i comunardi si impadronissero (19).
Insomma, anche Varlin si comportò in maniera spesso differente da quanto prescrivevano le dottrine non marxiste da cui proveniva. Come abbiamo visto, molti dei dirigenti della Comune che sopravvissero al massacro si schierarono nell’Ail con Marx contro gli anarchici di Bakunin al congresso dell’Aja. Probabilmente anche Varlin avrebbe fatto lo stesso ma purtroppo fu arrestato (per la denuncia di un prete) e fucilato a Montmartre il 28 maggio 1871, dopo aver sostituito Cluseret (morto sulle barricate) come ultimo comandante della difesa operaia.
Comunque nel 1871 i marxisti non disponevano di un partito organizzato a Parigi. Fu proprio l’esperienza della Comune a consentire a Marx ed Engels di vincere la battaglia contro gli anarchici di Bakunin al congresso del 1872 all’Aja. In questo congresso (che espulse gli anarchici e decretò lo spostamento della sede centrale a New York, iniziando di fatto la conclusione della Prima Internazionale) esplose l’ “accordo ingenuo di tutte le frazioni” (l’espressione è di Engels) su cui si era retta l’Internazionale fino ad allora. La Comune dimostrò che bisognava costruire partiti organizzati e indipendenti dalla borghesia, basati sul marxismo e cioè sul programma della dittatura del proletariato che aveva fatto la sua prima prova a Parigi. Come scrisse Engels: “Io credo che la prossima Internazionale ‑ dopo che i libri di Marx avranno esercitato la loro influenza per alcuni anni ‑ sarà puramente comunista e propagherà direttamente i nostri principi” (20). Gli ultimi anni di vita di Marx e di Engels furono dedicati proprio alla costruzione di questa Internazionale “puramente comunista” e dei suoi partiti in ogni Paese.
Dobbiamo tornare a studiare la Comune
Marx e Engels prima, Lenin e Trotsky poi, studiarono a fondo la Comune. Purtroppo disponevano di una documentazione scarsa. La fonte principale di Marx sono le memorie di alcuni membri della Comune e in particolare il libro di Lissagaray, che Marx stesso incoraggiò a scrivere, e di cui curò la traduzione in tedesco (mentre una figlia di Marx, Eleanor, lavorò all’edizione in inglese) (21). Lissagaray era un ottimo giornalista e partecipò alla difesa della Comune ma la sua Storia (pubblicata in Belgio nel 1876) riflette la formazione non marxista dell’autore, un neo-giacobino (22). Lissagaray minimizza il ruolo dei dirigenti dell’Internazionale: dice che nella Comune eletta erano solo tredici (numero sbagliato), non segnalando che, numeri a parte, ricoprirono incarichi di primissimo piano. Non solo: per sviluppare la sua polemica contro i proudhoniani, Lissagaray etichetta come “proudhoniani” tutti i dirigenti parigini dell’Ail, mentre, come abbiamo visto con Varlin, spesso esprimevano posizioni lontane dal proudhonismo.
Lenin si basò sul libro di Lissagaray (una delle poche fonti disponibili ai suoi tempi) e Trotsky utilizzò il libro dello storico Claude Talès, che usa come unica fonte Lissagaray e per questo enfatizza l’aspetto di “caos” della Comune e il peso del proudhonismo, non individuando il ruolo cosciente (per quanto insufficiente perché non organizzato in partito) di tanti dirigenti rivoluzionari, e dei pochi vicini a Marx.
Lenin e Trotsky volendo (giustamente) sottolineare la causa principale della sconfitta della Comune ‑ cioè l’assenza di un partito marxista ‑ tendono (sbagliando) a sminuire il ruolo di “semina” che svolse l’Ail negli anni Sessanta e, privi di documentazione, non scrivono nulla sull’embrione di partito che si stava costruendo in quei mesi a Parigi.
Questo embrione di partito, in cui svolsero un ruolo importante Varlin e Frankel, era appunto la Delegazione dei Venti Circondari. Sia Lissagaray che Talès dedicano ad essa solo poche righe. Eppure i documenti trovati dagli storici a partire dal 1960 ci forniscono oggi un quadro molto diverso (23).
Non abbiamo qui spazio per approfondire il tema che merita un altro articolo. Basti dire che Lissagaray si sbaglia due volte: prima, sostenendo che la Delegazione (nota anche come Comitato Centrale repubblicano dei Venti Circondari) non era legata all’Ail, mentre sappiamo che i suoi principali dirigenti erano membri dell’Ail (5 su 7, tra cui Varlin); secondo, affermando che si sciolse prima della Comune, mentre oggi abbiamo i verbali delle sue sedute che si tennero fino a poche ore prima della caduta delle ultime barricate.
Dallo Statuto della Delegazione (24) sappiamo che per iscriversi sono necessarie tre condizioni: militanza, adesione ai principi “socialisti rivoluzionari”, pagamento delle quote. Il programma è il “rovesciamento rivoluzionario” della democrazia parlamentare borghese, il riconoscimento “come unico governo della Comune rivoluzionaria, emanazione delle delegazioni dei gruppi socialisti rivoluzionari”.
Per le elezioni dell’Assemblea nazionale (febbraio 1871) la Delegazione presenta un programma e dei candidati insieme alla sezione francese dell’Ail e alla Camera federale delle società operaie (Varlin era l’anima di tutte queste organizzazioni!). Il manifesto elettorale afferma che lo scopo è: “l’organizzazione di una repubblica che restituisca agli operai le fabbriche”, realizzando così “la libertà politica attraverso l’eguaglianza sociale”.
Certo la Delegazione aveva al suo interno le varie correnti in cui era diviso il movimento operaio francese e non ebbe il tempo di svilupparsi: nacque infatti subito dopo la proclamazione della Repubblica, il 5 settembre 1870, con un’assemblea di cinquecento operai parigini (anche qui c’era Varlin!). Ma in poche settimane ne uscirono le correnti più moderate e i suoi documenti sono di giorno in giorno più vicini a una posizione marxista.
Se, come sperava Marx, gli operai avessero avuto tempo per “lavorare alla loro organizzazione di classe”, il corso della storia sarebbe stato differente. Tuttavia è ormai certo che questa organizzazione (la cui storia dobbiamo ancora indagare) e i suoi dirigenti ebbero un ruolo centrale nello sviluppo della rivoluzione.
I documenti storici di cui disponiamo oggi confermano comunque la tesi di fondo di Lenin e Trotsky: senza un partito marxista non c’è possibilità di rivoluzione vincente. Quello che Lenin e Trotsky non sapevano quando scrivevano della Comune è che un inizio di quel partito già esisteva e fu grazie ad esso se la Comune si spinse così avanti. Anche nel 1871 la rivoluzione fu il frutto non della “spontaneità” ma della organizzazione dei rivoluzionari. Purtroppo quella organizzazione non ebbe il tempo di consolidarsi in partito marxista, per questo il Comitato Centrale della Guardia Nazionale non fu un vero e proprio “soviet” e per questo la dittatura del proletariato fu nella Comune solo una tendenza incompiuta.
Ma fu studiando i risultati e gli errori dei coraggiosi operai francesi che gli operai russi, diretti dal partito di Lenin e Trotsky, poterono vincere nel 1917. Fu il rombo dei cannoni della Comune di Parigi ad aprire la strada alla Comune di Pietrogrado.
Note
(1) Lettera di Marx a Kugelmann, 17 aprile 1871, in K. Marx, Lettere a Kugelmann, Editori Riuniti, 1976, p. 166.
(2) Claude Talès, La Commune de Paris, 1921, ed. Spartacus, 1998.
(3) Per approfondire queste vicende sono fondamentali due libri di Marx in cui è impiegato magistralmente il metodo materialistico: Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (ne esistono edizioni in tutte le lingue, anche sul sito Marxists Internet Archive, www.marx.org).
(4) Per conoscere meglio la vicenda, rimandiamo ai tre indirizzi scritti da Marx per l’Ail e pubblicati in varie lingue col titolo La guerra civile in Francia. Molto interessanti sono anche gli articoli di Engels (esperto di questioni militari) sulla guerra pubblicati sul quotidiano di Londra The Pall Mall Gazette (in italiano: Note sulla guerra franco-prussiana, ed. Lotta Comunista, 1996) di cui Trotsky curò la pubblicazione in Russia e studiò quando gli fu affidata la direzione dell’Armata Rossa.
(5) Nel primo Indirizzo scritto da Marx per l’Ail si fa anche appello agli operai tedeschi perché non permettano a Bismarck di trasformare la guerra in guerra di conquista. Quando poi a Parigi nasce la repubblica, con il secondo Indirizzo l’Internazionale condanna le mire espansioniste del governo prussiano e fa appello agli operai tedeschi perché, a questo punto, difendano la Repubblica francese insieme agli operai francesi.
(6) Alla fine di febbraio (1871), un’assemblea di duemila delegati di battaglioni della Guardia Nazionale approva la costituzione in Federazione repubblicana (solo pochi battaglioni dei quartieri borghesi rimangono fuori da questa struttura). Al primo punto del programma vi è l’abolizione dell’esercito permanente e la sua sostituzione con una milizia dei lavoratori. E’ la proclamazione di rottura con lo Stato borghese e la volontà di sciogliere le sue “bande armate” proclamandosi come unica forza armata.
(7) L’errore delle elezioni sarà sottolineato da Marx in vari testi. Ad esempio, in una lettera a Liebknecht del 6 aprile 1871 scrive: "(...) per non aver l'aria di usurpare il potere, hanno perduto un tempo prezioso a eleggere la Comune (...) mentre bisognava impiegarlo per marciare su Versailles (...)". Kautsky capovolse questo giudizio, cercando di usare la Comune “democratica” contro la dittatura dei bolscevichi. Lenin e Trotsky gli risposero con due “anti-Kautsky” dimostrando che gli operai parigini si erano comunque contrapposti alla “legittimità democratica” borghese: le elezioni per la Comune avvennero infatti a suffragio universale ma nei fatti la borghesia era già stata messa in fuga e i pochi eletti borghesi furono costretti a dimettersi.
(8) Vedi La dittatura rivoluzionaria del proletariato, testo scritto nel 1978 da Moreno in polemica con la revisione (in senso negativo, questa volta) fatta da Mandel.
(9) Si tratta di articoli e lettere di Trotsky contenuti nel libro, pubblicato da Pathfinder Press (1977), The crisis of the french section. In questi testi, in realtà, Trotsky riprende un concetto che aveva già iniziato a sviluppare negli anni Venti in Terrorismo e comunismo. E’ in quest’ultimo libro (nel capitolo VI) che per la prima volta parla del Comitato Centrale della Guardia Nazionale come del “soviet di quel periodo”. Lo stesso concetto è contenuto ne La storia della rivoluzione russa: “La Guardia Nazionale forniva agli operai una organizzazione armata, assai analoga al tipo sovietico, e una direzione politica, rappresentata dal CC della Guardia Nazionale stessa” (pag. 616 dell’edizione italiana, Mondadori, 1978).
(10) Vedi il secondo Indirizzo scritto da Marx per il Consiglio Generale dell’Internazionale (9 settembre 1870). Qui citato dalla edizione Newton Compton, 1978, p. 83.
(11) Charles Rihs, La Commune de Paris, sa structure et ses doctrines, Ed. Du Seuil, 1973.
Secondo Rihs sui circa 90 eletti: 40 erano neo-giacobini (Delescluze, ecc.); 15 erano blanquisti (Rigault, Protot, Flourens, i membri dell’Ail Duval e Vaillant, ecc.); 23 erano membri dell’Ail (Frankel, Varlin, Vaillant, Malon, Serraillier, Longuet, ecc.). Invece secondo uno studio di Jean Maitron (Hommes et femmes de la Commune, pubblicato nella rivista La Commune, n. 3, 1976) su 89 membri del Consiglio della Comune, 45 erano militanti dell’Ail. Altri autori parlano di 30 membri dell’Ail: le cifre sono diverse in ogni studio.
(12) I blanquisti sopravvissuti al massacro si rifugiarono a Londra, raggruppandosi attorno a Emile Eudes, condannato a morte in contumacia da Versailles. Vaillant e altri entrarono nel Consiglio Generale dell’Ail, sostenendo le posizioni di Marx contro Bakunin e Guillaume.
(13) Marx scrive a Engels della missione che ha affidato a Serraillier in una lettera a Engels del 6 settembre 1870 (VI volume del Carteggio Marx Engels, p. 146-147 Edizioni Rinascita, 1953).
(14) Lettera di Engels ad A. Sorge, 12 settembre 1874, in Marx ed Engels, Lettere 1874-1879, ed. Lotta Comunista, 2006, pag. 35.
(15) Questi dati, basati su molte fonti, sono citati nel libro di Rihs (v. nota 11).
(16) Sul sito http://gallica.bnf.fr/ si trovano decine di libri sulla Comune scaricabili gratuitamente (in francese). In particolare è importante: Les séances officielles de l'Internationale à Paris pendant le siège et pendant la Commune. (1872).
(17) I libri citati sono: E.H. Carr, Bakunin, The Macmillan Press, 1975; B. Nikolaevskij, Karl Marx, 1937, ed. Einaudi, 1969; H. E. Kaminski, Bakunin, 1938, ed. Graphos, 1999.
(18) Jean Bruhat, Eugene Varlin, Editeurs Français Réunis, 1975. Bruhat porta prove del tentativo di Bakunin di far aderire Varlin alla sua organizzazione e anche di un tentativo fallito di far sottoscrivere a Varlin un attacco contro Marx (pag. 146-147 della biografia). Bruhat cita poi una importante lettera di Bakunin (del 7 luglio 1870) in cui il dirigente anarchico scrive: “[Varlin] è un’eccellente e utile figura, ma è lontano dall’essere assolutamente dei nostri”.
(19) Ne parla un altro biografo (Paul Lejune, Eugène Varlin, Pratique militante e écrits d’un ouvrier communard, ed, Maspero, 1977) che rivela del disaccordo tra Varlin e Jourde sulla questione della Banca. Interessante è anche la biografia più recente: Michele Cordillot, Eugene Varlin, chronique d’un espoir assassiné, Les Editions Ouvrières, 1991.
(20) Engels, v. la nota 14.
(21) V. Yvonne Kapp: Eleanor Marx Einaudi, 1977, vol. I, p. 158-162.
(22) Per conoscere la figura di Lissagaray v. René Bidouze, Lissagaray, la plume et l’épée, Les Editions Ouvrières, 1991.
(23) Per approfondire il tema è fondamentale un libro uscito solo nel 1960: Jean Dautry e Lucien Scheler, Le Comité Central Républicain des vingt arrondissements de Paris, Editions Sociales, 1960. Dautry è anche autore con Bruhat e Tersen (tutti purtroppo di orientamento stalinista) del più documentato studio sulla Comune: La Commune de 1871, Editions Sociales, 1970.
(24) Dal libro di Dautry e Scheler (v. nota 23).
A 150 dalla nascita di Rosa Luxemburg
Una grande rivoluzionaria
di Francesco Ricci
Bilanci e prospettive delle lotte studentesche
di Ines Abdelhamid e Giorgio Viganò