Les Petroleuses: le donne che hanno “incendiato” la Comune
di Laura Sguazzabia
I ritratti delle donne che hanno partecipato alla Comune, sono diventati una metafora dell'atteggiamento degli storici verso quell'esperienza rivoluzionaria. Petroleuses è il termine francese con cui si indicano le donne accusate di aver appiccato incendi col petrolio nel 1871: di questi incendi si è storicamente discusso a lungo, tuttavia, la consultazione degli atti ufficiali dei processi intrapresi dalle autorità di Versailles rivela che queste accuse sono prive di fondamento, in quanto nessuna comunarda è stata realmente condannata come incendiaria. Si tratta di un’immagine creata dalla borghesia reazionaria per la quale le comunarde erano delle virago impazzite, sgualdrine assetate di sangue e incendiarie fanatiche che, negli ultimi giorni della Comune, con i figli innocenti sulle spalle, avrebbero dato fuoco ai grandi palazzi di Parigi. Con questa invenzione, la borghesia cercò di nascondere quello che era veramente successo, ossia che decine di migliaia di proletari, di donne e di bambini erano stati massacrati in un mare di sangue, incarcerati e deportati in condizioni disumane.
In quella straordinaria esperienza rivoluzionaria che fu la Comune parigina, per la prima volta nella storia delle società moderne si assiste ad un intervento massiccio delle donne sulla scena politica, anche attraverso una attiva partecipazione alla vita economica e alla lotta con le armi. Durante la Comune, migliaia di donne della classe operaia ed alcune intellettuali conquistate alle idee socialiste, sono state esempi di coraggio e devozione, nonché foriere di idee innovatrici. Questa è senza dubbio la ragione per la quale esse più degli uomini sono state punite e condannate da Versailles, vittime anche di calunnie infamanti.
Nell'aprile del 2013 l'associazione parigina Les Amis de la Commune de Paris 1871 ha dato alle stampe un petit dictionnaire delle comunarde nel tentativo di far uscire dall'ombra le tante figure femminili che hanno “incendiato” con coraggio e passione i 72 giorni parigini. La lettura di questa breve rassegna permette di comprendere la quantità e la qualità dell’azione delle donne nell’esperienza parigina e di rendere attuale il loro esempio nella situazione di crisi economica e di vessazione sociale cui le donne di oggi sono sottoposte in misura simile a quelle del 1871. (1)
La condizione femminile (e delle operaie)
Durante il Secondo Impero le donne erano ridotte in una condizione di totale sottomissione. Il codice civile del 1804 considera le donne come legalmente inferiori e dipendenti dai loro mariti tanto che non possono nemmeno lavorare senza la loro autorizzazione. In genere meno istruite degli uomini, quelle che hanno accesso all'istruzione frequentano scuole per ragazze gestite da religiose dove, oltre ad una stretta morale cristiana, si insegna loro a diventare buone mogli. Le donne inoltre non hanno il diritto di voto.
Molte donne lavorano a Parigi, in particolare sono occupate nella produzione industriale tessile: l’annuario statistico del 1871 indica che su 114000 lavoratrici, 62000 sono operaie. Esse sono le prime vittime dell’industrializzazione: oltre all’alienazione che ne deriva, devono far fronte alla concorrenza delle macchine e a quella dei conventi che offrono mano d’opera ad un miglior prezzo. Inoltre esse subiscono quotidianamente i pregiudizi misogini dei loro compagni di lavoro, ispirati dal pensiero di Proudhon. (2) Le donne lavorano dalle dodici alle quattordici ore al giorno per un salario giornaliero irrisorio, compreso tra i 50 centesimi e i 2,50 franchi, inferiore della metà rispetto a quello degli uomini. Se pensiamo che all’epoca una camera si affittava tra i 100 e i 200 franchi l’anno, è evidente che da sola una donna non poteva far fronte ai propri bisogni, soprattutto perché spesso aveva a carico figli e parenti anziani. In questo quadro la prostituzione assume rilevanti risvolti economici, anche per le donne sposate e che dunque potevano unire il proprio guadagno a quello del marito o compagno: il ricorso alla prostituzione, spesso non occasionale, corrisponde a ciò che esse chiamano il “quinto quarto” della loro giornata.
Malgrado queste condizioni, le donne sono attive e partecipano alla vita politica. Già nel 1870 durante i fatti franco-prussiani, esse sono presenti numerose: il 4 settembre sono tra la folla che rovescia l'Impero e proclama la Repubblica; l’8 settembre una manifestazione di donne domanda davanti all' Hôtel de Ville le armi per lottare contro i prussiani; il 7 ottobre le donne reclamano il diritto di partecipare agli avamposti per soccorrere i feriti (diritto che ottengono solo con la Comune).
A partire dal gennaio 1871, si attivano o si riattivano alcune organizzazioni femminili: si tratta di piccoli gruppi come i comitati di cittadine, di raggruppamenti femminili che tentano di far rispettare i diritti delle donne, di clubs molto attivi come quello di Madame Allix nel VI arrondissement, che raccoglie circa 300 adesioni di donne che vogliono armarsi per andare a combattere sulle barricate.
Attraverso queste esperienze le donne comprendono di avere molto da guadagnare, in particolare ciò che desiderano maggiormente ossia il riconoscimento della loro dignità. Esse confidano totalmente in ciò che sta accadendo e proteggono, partecipando attivamente, i cambiamenti che porteranno alla nascita della Comune, dai primi giorni fino al termine sanguinario dell’esperienza rivoluzionaria.
All'alba del 18 marzo 1871 quando le truppe di Thiers tentano di confiscare i cannoni dei Parigini, esse vi si oppongono fisicamente rivolgendosi ai soldati che solidarizzano con la popolazione e che si rifiutano di eseguire l’ordine di sparare sui manifestanti, per tre volte impartito dagli ufficiali. Edith Thomas scrive che "sarebbe esagerato dire che questa giornata rivoluzionaria sia stata quella delle donne, ma esse vi contribuirono in modo decisivo". (3)
Nei giorni successivi Parigi è una gran festa popolare il cui culmine è la proclamazione della Comune il 28 marzo. Le donne confidano nelle risoluzioni immediatamente prese che, benché semplici e pratiche, consentono di intravedere una nuova giustizia e, soprattutto alleviano gli stenti patiti dalla popolazione parigina, in particolare dalle donne, durante il lungo assedio prussiano. Fin da questi primi giorni le donne si mobilitano, si occupano di soccorrere malati e indigenti, discutono e avanzano idee innovatrici, muovendosi sempre in una logica di classe, non di sesso o di genere: esse comprendono che solo grazie alla rivoluzione sociale potranno essere garantiti i loro diritti.
Il 3 aprile 1871 cinquecento donne partono da Place de la Concorde per marciare su Versailles. Al ponte di Grenelle vengono raggiunte da altre settecento. I dirigenti della Comune le invitano a non uscire da Parigi. Davanti a una tale volontà rivoluzionaria, si impone la necessità di un’organizzazione.
L’Unione delle donne
Due organizzazioni di donne hanno avuto un ruolo preponderante nella Comune: il Comitato di vigilanza di Montmartre, di area blanquista, e l'Unione delle donne per la difesa di Parigi e l'aiuto ai feriti, di orientamento marxista. L’Unione i cui principi riflettevano la prospettiva rivoluzionaria dell'ala marxista della Prima Internazionale, risultò essere la formazione di donne più importante, raggruppando al proprio interno più di seimila iscritte. Si distinse, oltre che per l’importanza numerica, anche per il suo funzionamento molto rigoroso e allo stesso tempo molto democratico. Essa seppe guidare e organizzare il profondo fermento popolare tra le donne e divenne l'anello di congiunzione tra le donne della città e il governo della Comune. Nessun altro gruppo godette di un'influenza estesa a tutta la città ed altrettanto duratura, a partire dalla sua fondazione fino alla caduta della Comune sulle barricate.
L'11 aprile del 1871 il Journal Officiel della Comune pubblica un lungo “Appello alle cittadine di Parigi”, nel quale sono riassunti, secondo le firmatarie, lo spirito e le aspirazioni della Comune. Questo testo spiega alle donne parigine che il modo migliore di difendere ciò che esse amano è lottare contro il nemico impietoso. L’appello è seguito da un avviso che invita ad una riunione la sera stessa. Con la sua prima riunione, l'Unione delle donne propone al comitato esecutivo della Comune di aiutare materialmente l'istituzione di strutture in ogni consiglio di distretto, di sussidiare la stampa di circolari e manifesti, e la distribuzione di avvisi. Il comitato esecutivo intraprende immediatamente l'attuazione delle proposte della riunione, stampando sul Journal Officiel del 14 aprile il testo integrale dell'Indirizzo dell'Unione, accompagnato da un riassunto delle decisioni prese dall'assemblea.
L'Indirizzo evidenzia quale fosse l'idea dell'Unione delle donne sull'origine dell'oppressione femminile. Accanto al nome di sei delle sette firmatarie fu apposto il titolo di "operaia" ad indicarne l'origine proletaria. L'Indirizzo si riferiva alla Comune come ad un governo il cui obiettivo finale doveva essere l'abolizione di ogni forma di disuguaglianza sociale, compresa la discriminazione delle donne. Cosa fondamentale, esso descriveva la discriminazione delle donne come uno strumento per mantenere il potere delle classi dominanti: “La Comune che rappresenta il principio dell'estinzione di ogni privilegio e disuguaglianza, dovrà perciò considerare tutte le legittime proteste di ogni settore della popolazione, senza alcuna discriminazione di genere, discriminazioni che sono state create e perpetuate al fine di mantenere i privilegi della classe dominante. Il successo nella lotta in corso, il cui obiettivo è (...) infine quello di rigenerare la società, assicurando il dominio di lavoro e giustizia, è altrettanto importante per le donne che per gli uomini di Parigi".
L’organizzazione pone la propria sede nel X distretto. Un comitato centrale composto da 20 delegate nomina una commissione esecutiva di sette membri con il compito di relazionarsi con le principali commissioni del governo della Comune: in questo modo esse possono trasmettere efficacemente e rapidamente le rivendicazioni delle donne al governo centrale. Ogni militante deve contribuire con dieci centesimi e riconoscere l'autorità del comitato centrale dell'Unione. I comitati di distretto costituiti dall'Unione delle donne sono coordinati da una presidente a rotazione, coadiuvata da un comitato che poteva essere revocato dai militanti.
La commissione esecutiva consta di quattro operaie (Nathalie Le Mel, Blanche Lefèvre, Marie Leloup e Aline Jacquier) e di tre donne senza professione (Elisabeth Dmitrieff, Aglaé Jarry, Thérèse Colin). In pratica le due grandi animatrici della commissione furono Natahalie Le Mel ed Elisabeth Dmitrieff.
Elisabeth Dmitrieff
Elizaveta Loukinitcha Kouceleva nasce il primo novembre 1851 in una famiglia nobile russa. Riceve una buona educazione e parla correntemente numerose lingue. Abita a San Pietroburgo dove milita giovanissima nei circoli socialisti, sognando l’emancipazione per se stessa e per le altre donne. Il matrimonio bianco con il colonnello Toumanovki le permette di partire per l'estero. Nel 1868 emigra in Svizzera dove partecipa alla fondazione della sezione russa dell’Internazionale. Delegata a Londra nel 1870, frequenta la famiglia di Marx con il quale ha lunghe conversazioni: l'autore del Capitale è impegnato in questo periodo ad imparare la lingua russa. Elizaveta rimane a Londra tre mesi durante i quali, oltre ad incontrarsi con Marx e la sua famiglia, ha modo di conoscere i suoi più stretti collaboratori, in particolare Engels, e di partecipare a numerose riunioni dell’Internazionale. L’unica fonte che permette di conoscere almeno in parte il contenuto di questi incontri è data da una lettera scritta il 7 gennaio 1871 a Marx da Elizaveta che si era ammalata di bronchite: la discussione è incentrata sulla comune rurale russa.
Marx la invia a Parigi nel marzo 1871 perché sia la sua corrispondente sugli avvenimenti della Comune, in qualità di rappresentante del Consiglio generale dell’Internazionale. Assunto lo pseudonimo di Dmitrieff, durante la Comune crea l'Unione delle donne: è membro del comitato esecutivo dell’Unione ed ideatrice di un piano per la riorganizzazione del lavoro femminile, solo in parte realizzato. La sua azione è tanto incisiva che una disposizione del comitato centrale dell'organizzazione femminile le attribuisce la cittadinanza parigina in attesa che la Repubblica che verrà, le riconosca il titolo di cittadina dell'umanità.
Dopo essersi battuta coraggiosamente con le armi nella cosiddetta semaine sanglante, riesce a fuggire da Parigi, rifugiandosi prima a Ginevra e poi facendo ritorno in Russia. Condannata in contumacia alla deportazione in una prigione fortificata dal consiglio di guerra il 26 ottobre 1872, viene graziata nel 1880. Tra il 1900 e il 1902 si trasferisce a Mosca e da questo momento le ricerche storiche si confondono. Non è chiara la data della sua morte anche se alcune ricerche di storici sovietici sembrano confermare che sia morta nel 1918 in circostanze poco chiare.
Nathalie Le Mel
Nathalie Duval, 1827, fa i primi studi a Brest, dove i genitori gestivano un caffè. Dall’età di 12 anni lavora come operaia rilegatrice. Nel 1845 sposa un suo collega di lavoro, Jérome Le Mel, da cui ha tre figli. Rimasti senza lavoro, si trasferiscono a Parigi in cerca di nuove opportunità lavorative. Nella capitale Nathalie lavora ancora come rilegatrice e partecipa agli scioperi che nel 1864 agitarono la sua categoria. Fa parte del comitato di sciopero che pretendeva per le donne la parità di salario, e si fa notare dalla polizia del regime che in un rapporto la descrive come “un’esaltata che si occupava di politica; nelle fabbriche leggeva a voce alta cattivi giornali; frequentava assiduamente i clubs”. Nel 1865 aderì all’Internazionale. Nel 1868, lasciato il marito, fonda con altri una cooperativa che si occupava di alimentazione, arrivando a dare lavoro a 8000 persone, e una trattoria popolare dove lavora alla preparazione dei pasti.
Durante la Comune fonda e dirige con Elisabeth Dmitrieff l’Unione delle donne per la difesa di Parigi e il soccorso dei feriti. Quando le truppe di Versailles entrano a Parigi, combatte sulle barricate alla testa di un battaglione di una cinquantina di donne e costruisce la barricata di Place Pigalle innalzandovi una bandiera rossa. Arrestata il 21 giugno 1871, è condannata il 10 settembre 1872 alla deportazione in Nuova Caledonia. Poiché i suoi amici presentano a suo nome una richiesta di grazia, dal carcere di La Rochelle nel quale è rinchiusa, fa sapere al prefetto di polizia di Parigi di sconfessare “tutti coloro che hanno agito o agiranno a sua insaputa”. Il 24 agosto 1873 viene imbarcata sulla Virginie per essere deportata in Nuova Caledonia, dove giunge il 14 dicembre. Qui, all’ordine dei carcerieri di dividere gli uomini dalle donne durante la prigionia, si rifiuta di scendere dalla nave e minaccia di buttarsi in mare se la divisione non viene abolita: seguita nella protesta da molte altre donne, riesce ad ottenere che la detenzione sia comune. Durante la prigionia il suo nome ricorre frequentemente nella lista delle prigioniere sanzionate a dimostrazione che il suo spirito indomito non si piega nemmeno durante questa pesante esperienza; contrariamente a molti deportati della Comune, solidarizza con i Kanaki che nel 1878 si erano rivoltati contro i colonizzatori francesi.
Dopo l’amnistia del 1880 torna a Parigi dove trova un impiego nel giornale L’Intransigeant. Trascorre gli ultimi anni di vita in miseria e, divenuta cieca, viene accolta nel 1915 nell’ospizio di Ivry dove muore nel 1921.
Le conquiste sociali
Le donne dell’Unione intendono "lavorare in comune per il trionfo della causa del popolo", "battere e vincere o morire per la difesa dei (...) diritti comuni". Il primo obiettivo è dunque sicuramente quello di partecipare alla difesa di Parigi: per permettere la partecipazione al maggior numero di donne, l'Unione reclama l'uso di sale per organizzare delle conferenze. (4)
Esse discutono molto, anche di decisioni militari che trovano indispensabili quali ad esempio la necessità di marciare su Versailles. Inizialmente le donne ottengono di essere presenti nei posti avanzati di combattimento per creare un servizio di pronto soccorso ai feriti: l'Unione delle donne recluta più di un migliaio di soccorritrici che ricevono la stessa paga e la stessa razione delle guardie nazionali, secondo il principio di "lavoro uguale, salario uguale". Nell'ambito militare non sono sempre ben accolte e il giornale La Sociale denuncia spesso la misoginia di alcuni ufficiali o dei chirurghi che cacciano le donne dagli avamposti. A parte casi isolati, soltanto durante la semaine sanglante le donne sono sulle barricate a combattere. La formazione di reparti femminili era idea già accarezzata durante l’assedio parigino: le “Amazzoni della Senna”, proposta ambiziosa di battaglioni di donne avanzata nel 1870 da Felix Belly, non troverà attuazione ma testimonia dell’esigenza di rispondere alle sollecitazioni delle donne ad essere autorizzate a partecipare alla lotta in armi. C‘è invece testimonianza storica dell’esistenza della Légion des féderées del XII distretto, formata nella prima metà di maggio, comandata e composta esclusivamente da donne. (5)
Ferocemente laiche ed anticlericali come si evince da alcuni interventi nelle assemblee di distretto (6), le donne sostituiscono le religiose negli ospizi, negli orfanotrofi, nelle scuole e nelle prigioni con volontarie laiche. In questo clima matura la convinzione che sia necessario agire anche sull’educazione delle donne e delle giovani fanciulle: una volta insediatasi la Commissione sull’insegnamento, Marguerite Tinayre, istitutrice militante dell’Unione e dell’Internazionale, viene nominata l’11 aprile “ispettrice generale dei libri e dei metodi di insegnamento” nelle scuole per ragazze; la sua azione è improntata da propositi innovativi e di laicizzazione. Alcune iniziative sono già state avviate a livello di distretto prima dell’insediamento della Tinayre: nel VII arrondissement viene inaugurata una “scuola nuova” per ragazze con annesso un laboratorio di lavoro, un rifugio per le orfane e le giovani donne inoccupate; il 26 marzo compare una Società dell’Educazione nuova (tra i cui delegati figurano due donne che ritroveremo nelle organizzazioni femminili successive alla Comune) che propone un ripensamento generale dei programmi scolastici e l’uso di metodi pedagogici innovativi; sono già attivi infine un atelier école per l’insegnamento professionale ed una scuola di disegno, meglio nota come scuola di arte industriale per giovani fanciulle.
Il 2 aprile 1871 la Comune vota la legge di separazione tra Chiesa e Stato: così, in un’epoca in cui era inevitabile seguire l’ordine morale imposto dalla chiesa, si stabilisce il diritto al divorzio e il riconoscimento dell’unione libera, nonché una pensione di 600 franchi alla donna, sposata o compagna, di membri della Guardia nazionale morti in combattimento, ed una pensione di 365 franchi ai figli, legittimi o naturali, dei caduti.
La Comune bandisce inoltre la prostituzione che viene dichiarata una “forma di sfruttamento commerciale di creature umane da parte di altre creature umane”.
La questione del lavoro femminile
Molto presto tuttavia l’Unione giunge ad affrontare un problema urgente, ossia quello dell'organizzazione del lavoro femminile. Elisabeth Dmitrieff mette fin da subito in guardia la Comune: “in presenza dei fatti attuali, per la miseria crescente in proporzione incredibile […] c'è da considerare che l'elemento femminile della popolazione parigina, momentaneamente rivoluzionario, può tornare, a causa delle privazioni continue, allo stato passivo più o meno reazionario che l'ordine sociale del passato aveva creato - ritorno funesto e pericoloso per gli interessi rivoluzionari e internazionali dei popoli, e di conseguenza per la Comune”. La Repubblica aveva già organizzato il lavoro delle donne durante l'assedio: 32000 donne avevano ricevuto del lavoro per il confezionamento delle uniformi della Guardia nazionale, ma a seguito dell'armistizio, tutte le attività erano state interrotte.
Attraverso i comitati di distretto le donne dell’Unione recensiscono le disoccupate e, in virtù del decreto della Comune del 16 aprile sulla requisizione dei laboratori abbandonati dai padroni che si erano rifugiati a Versailles, individua dei locali da utilizzare per la creazione dei cosiddetti “ateliers cooperatifs”.
Il progetto elaborato dall’Unione delle donne e inviato alla Commissione del lavoro, prevedeva la creazione di una associazione produttrice in ogni distretto, autonoma ma con regole coerenti con i principi generali dell’Unione, dotata di laboratorio, magazzini e commesse ugualmente ripartite per evitare la concorrenza; stabiliva prezzi di vendita e tariffe delle lavoratrici, secondo il principio di “uguale salario per un uguale numero di ore”. Le associazioni produttive eleggevano al proprio interno due responsabili e, attraverso la mediazione del comitato centrale dell’Unione, dovevano mettersi in rapporto con le associazioni dello stesso tipo della Francia e dell’estero per favorire l’esportazione e lo scambio di prodotti.
L’ambizione era di riorganizzare più in generale il mercato del lavoro femminile sul modello di quanto era avvenuto per gli uomini in modo che si potesse “assicurare il prodotto al produttore […] sottraendo il lavoro al giogo del capitale oppressore”; assicurare ai lavoratori la direzione dei loro affari; diminuire le ore di lavoro; azzerare la concorrenza tra i lavoratori dei due sessi in quanto i loro interessi sono del tutto identici; parificare i salari tra i due sessi (quest’ultima richiesta trova una parziale accoglienza nella uguaglianza dei salari di istitutori e istitutrici, del maggio 1871).
Inizialmente il progetto interessò il settore tessile (Parigi in particolare vantava un’ottima reputazione internazionale nella produzione di abbigliamento), ma avrebbe dovuto espandersi in tutti i settori professionali nei quali le donne avevano dimostrato eccellenza. Nel breve periodo in cui la Comune è operativa, viene inoltre avviata presso il Palazzo dell’Industria una commissione incaricata dell’organizzazione del lavoro “libero” delle donne associate negli atelier, con il compito di acquistare le materie prime, ripartire i guadagni e distribuire il lavoro tra i venti distretti.
Tuttavia, il 6 maggio 1871, Leo Frankel (7), a capo della Commissione del lavoro, pubblica un lungo rapporto il cui senso si può cogliere dalla seguente frase: “Il lavoro della donna è il più oppresso, la sua riorganizzazione immediata è del tutto urgente”. Annuncia allo scopo una riunione di tutte le corporazioni operaie dei due sessi e convoca le rappresentanti dell’Unione per formare delle camere sindacali che inviino delle delegate alla Camera federale. La riunione che avrebbe dovuto svolgersi il 21 maggio, non avrà luogo per l’ingresso a Parigi delle truppe di Versailles.
La repressione
La maggior parte delle donne che parteciparono alla Comune, trovano la morte sulle barricate nella semaine sanglante, o negli scontri o fucilate sul campo dalle truppe di Versailles.
Secondo l’inchiesta parlamentare presentata dal capitano Briot, sono arrestate più di mille donne: le motivazioni degli arresti tentano di giustificare una condanna penale. Insieme all’accusa di aver partecipato alle agitazioni della Comune, sono spesso accusate di furto o di vagabondaggio, di prostituzione per il fatto di vivere in una relazione non sancita dalla Chiesa, di essere esaltate per aver parlato in pubblico durante le assemblee, di essere incendiarie perché avevano il compito di distribuire durante i combattimenti armi e petrolio.
Le donne arrestate attraversano Parigi verso Versailles tra le ingiurie dei borghesi accorsi per assistere allo spettacolo. Rinchiuse nella prigione di Chantiers subiscono condizioni degradanti relegate su graticci riempiti di vermi. L’opera di una di loro testimonia l’orrore di questa detenzione durata diversi mesi ma anche la solidarietà con cui le prigioniere affrontano l’esperienza nonostante la promiscuità, la mancanza di igiene e le punizioni arbitrarie. (8) Una volta pronunciate le sentenze, sono trasferite in altre prigioni in attesa di partire per il periodo di deportazione: 31 donne sono condannate ai lavori forzati, 20 alla deportazione in una struttura fortificata, 16 alla deportazione semplice. La fregata Virginie salpa il 10 agosto 1873 (due anni dopo la Comune) e impiega 120 giorni per toccare le coste della Nuova Caledonia.
Tutte queste donne hanno pagato un grosso tributo nella speranza di far trionfare il loro ideale di giustizia sociale e di uguaglianza, lottando in un contesto difficile. Hanno investito tutte le loro forze convinte che la loro sorte dipendesse dall’esito dell’esperienza comunarda. Si sono organizzate in un movimento e si sono imposte sul terreno politico, consapevoli che solo nel rovesciamento del sistema di sfruttamento di una classe sull’altra si sarebbe potuto risolvere anche il problema della disuguaglianza tra i sessi. Con la stessa convinzione che oggi mostrano le donne di Siria, Egitto, Tunisia, Spagna, Brasile, di ogni parte del mondo contro la violenza, lo stupro come arma di guerra, le discriminazioni nel mondo del lavoro, la precarietà, le differenze di salario, il diritto alla contraccezione e all’aborto.
NOTE
(1) C. Rey – A. Gayat – S. Pepino, Petit dictionnaire des femmes de la Commune, Editions Le bruits des autres, 2013.
In generale, l’intero articolo si basa su materiali consultati a Parigi presso l’associazione Les Amis de la Commune de Paris 1871 (http://www.commune1871.org) e presso il centro CERMTRI (www.trotsky.com.fr).
(2) Pierre Joseph Proudhon, filosofo ed economista francese, 1809 – 1865. Rispettato in ambito politico, compreso dalla sinistra, e tra gli intellettuali e gli operai di tutta Europa, Proudhon difendeva l’idea che le funzioni della donna fossero la procreazione e i lavori domestici. La donna che lavorava (fuori casa) rubava il lavoro all’uomo. Proudhon arrivò a proporre che il marito avesse diritto di vita e di morte sulla moglie che avesse disobbedito o avesse avuto un cattivo carattere, e dimostrò, attraverso una relazione aritmetica, l’inferiorità del cervello femminile rispetto a quello maschile.
(3) Edith Thomas, Les Pétroleuses, Gallimard, 1963.
(4) In seguito al decreto del 2 aprile 1871 sulla separazione tra Stato e chiesa, alcune chiese vengono requisite per servire come luoghi di riunione dei club cittadini.
(5) Il 14 maggio un avviso alle guardie nazionali della 12° Legione informa i soldati che le donne hanno chiesto di potersi organizzare militarmente per poter partecipare in modo più attivo alla difesa della città: “Un grande esempio vi viene dato, delle cittadine, delle donne eroiche hanno chiesto le armi per difendere, come tutti noi, la Comune e la Repubblica… La prima compagnia di cittadine volontarie sarà formata immediatamente”.
(6) Il 15 maggio una donna di nome André detta “Matelassiére” per le sue capacità dialettiche, in una riunione del club Ambroise afferma che “andrebbero fucilati entro le 24 ore tutti i rappresentanti della Chiesa […] Non serve arrestare i preti, bisogna dichiararli fuori legge in modo che ogni cittadino possa ucciderli come si uccide un cane con la rabbia”. Il 20 maggio a Nicolas des Champs una sconosciuta propone per la difesa di Parigi di sostituire i sacchi di terra con i cadaveri di 60.000 preti e di 60.000 suore della città.
(7) Leo Frankel, 1844 – 1896, politico ungherese, membro dell’Internazionale dal 1867, ne rappresentò la sezione tedesca a Parigi dove lavora come operaio gioielliere. Durante l’esperienza della Comune fu membro della Guardia nazionale, del Comitato centrale e presidente di varie commissioni tra cui quella sul lavoro. Ferito nella settimana di sangue sulle barricate e soccorso da Elisabeth Dmitrieff di cui pare fosse innamorato non corrisposto, si rifugiò in Svizzera prima e poi in Inghilterra, mentre in Francia il Consiglio di guerra lo condannava a morte in contumacia.
(8) Célestine Hardoin, La Détenue de Versailles en 1871, opera riedita nel 2005 dall’associazione Les Amis de la Commune de Paris.