Partito di Alternativa Comunista

L'ultima battaglia di Lenin, prima battaglia contro lo stalinismo

L'ultima battaglia di Lenin, prima battaglia contro lo stalinismo

 

di Francesco Ricci

 

 

Nel Comitato Centrale del 6 ottobre 1922, Lenin assente, Stalin fa approvare un testo che limita fortemente il monopolio statale sul commercio estero. Qualche giorno dopo Lenin invia al CC una lettera di dura critica di questa scelta. Il 13 dicembre Lenin scrive a Trotsky e, preso atto che la loro posizione su questo tema converge, gli chiede di fare una battaglia a nome di entrambi nella successiva riunione dell'organismo dirigente.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Perché Lenin non partecipa alle riunioni e si limita a scrivere lettere? Perché è gravemente malato e costretto a letto. Ha già avuto un primo ictus. Ma già all'ultimo Congresso del partito a cui può partecipare, l'XI, nella primavera del 1922, inizia una battaglia contro i mali della burocratizzazione che intuisce crescere nello Stato. E' in quel Congresso, nell'intervento fatto il 27 marzo, che afferma: «La macchina sfugge dalle mani di chi la guida» (a). È per questo che, qualche mese dopo, in un incontro privato propone a Trotsky di formare un blocco «contro il burocratismo in generale e contro l'Orgbureau in particolare» (b). E l'Orgbureau significa Stalin.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre un ictus paralizza Lenin. Non potrà partecipare alla riunione del CC, così, essendosi nel frattempo ripreso, il 16 dicembre scrive al CC informandone i membri di aver raggiunto una piena intesa con Trotsky che difenderà il comune punto di vista nella riunione successiva. Al CC del 18 dicembre la posizione di Lenin e Trotsky è approvata, modificando l'orientamento precedente.
Stalin osserva con preoccupazione le mosse di un Lenin che la malattia non ha fermato del tutto. Per questo si fa affidare dal CC, lo stesso 18 dicembre, la piena responsabilità della cura di Lenin. Vuole isolarlo, chiede ai medici di ordinare una limitazione dell'attività politica del malato a pochi minuti al giorno in cui Lenin potrà solo dettare qualche riga alle segretarie, ma non potrà ricevere risposte alle sue lettere, né parlare di politica con i rari visitatori ammessi al capezzale.
La proibizione, come nota giustamente lo storico Jean Jacques Marie, è priva di ogni fondamento medico: di più, impedire a un rivoluzionario, che ha passato l'intera vita immerso nella politica, di occuparsi di politica, significa nei fatti cercare di spezzarne la forza, peggiorarne la malattia. Infatti la vera preoccupazione di Stalin non è la malattia di Lenin ma, come scrive Marie: Stalin vuole avere «in mano l'uomo che ha deciso di iniziare una battaglia con Trotsky contro di lui» (c).
Saputo della prima vittoria conseguita al CC, il 21 dicembre Lenin detta alla Krupskaya una lettera a Trotsky: «Propongo di non fermarsi, di continuare l'offensiva» (d). L'offensiva di cui parla Lenin è quella contro Stalin e i burocrati che sta organizzando attorno a sé il segretario del CC. Ma Stalin controlla ed è subito informato del fatto che la Krupskaya ha accettato di farsi dettare da Lenin un messaggio per Trotsky, allora la chiama al telefono e la copre di insulti, minacciandola di deferirla agli organismi disciplinari per aver compromesso la cura di Lenin. Di questo episodio Lenin verrà a conoscenza solo tre mesi dopo: questa precisazione, come vedremo, è importante, perché significa che, a differenza di quanto hanno scritto vari commentatori, lo screzio tra Stalin e la moglie non influisce sul Testamento che Lenin inizierà a dettare in quei giorni.

 

La dettatura del Testamento

La vicenda dell'ultima battaglia di Lenin (per riprendere l'espressione con cui Lewin ha titolato il suo libro sul tema) è in genere trascurata dagli storici, sia da quelli di matrice stalinista, che socialdemocratica, che borghese. Perché? Perché è un macigno sulla teoria della continuità Lenin-Stalin, a sua volta indispensabile tanto ai burocrati ieri per rivendicare Lenin a giustificazione dei loro crimini, così come utile alla borghesia e ai suoi agenti per liquidare, con lo stalinismo, il comunismo e ogni progetto di eliminazione della società divisa in classi.
Quello che è poi stato conosciuto come Testamento sono delle note che Lenin vuole inviare al XII Congresso del Partito bolscevico, previsto per i mesi seguenti (e). Inizia la dettatura alle segretarie, Maria Volodiceva e Lydia Fotieva, il 23 dicembre 1922 e concluderà il 4 gennaio 1923, dettando una ultima importante aggiunta.
Nel testo Lenin inizia dando ragione a Trotsky contro Stalin sul dibattito relativo al Gosplan (la Commissione statale per la pianificazione). Poi passa a dare una valutazione dei principali dirigenti del partito.
Lenin segnala «l'enorme potere» che Stalin «ha concentrato nelle sue mani». Dopo aver detto che Stalin e Trotsky sono i due «più eminenti» membri del CC, aggiunge che Trotsky è «il più capace tra i membri dell'attuale CC». Indica alcuni limiti del dirigente con cui ha avviato una battaglia contro la burocrazia («una tendenza eccessiva a considerare il lato puramente amministrativo dei problemi» e una «eccessiva sicurezza di sé») ma si tratta di inezie rispetto al giudizio spesso impietoso che dà di tutti gli altri principali esponenti del gruppo dirigente del partito.
Non solo. Il 4 gennaio detta una nota aggiuntiva su Stalin: «Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare la maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc.»
E' un colpo durissimo, volto a proporre la destituzione di Stalin. Lenin non cerca compromessi con Stalin, anzi mette in guardia Trotsky contro le manovre del segretario del partito. E la battaglia prosegue. Ora Lenin decide di assumersi la difesa della questione georgiana, contro la politica sciovinista sostenuta da Stalin.
Ecco come Trotsky riassume la vicenda nella sua autobiografia: «Lenin nomina solo sei persone e le caratterizza pesando le parole. Il fine incontestabile del Testamento è di facilitarmi il lavoro di direzione. Lenin vuole raggiungere questo scopo, ovviamente provocando il minimo di tensioni personali. Parla di tutti con la massima circospezione, ed esprime con una sfumatura di morbidezza anche giudizi schiaccianti nella sostanza. Contemporaneamente attenua con alcune riserve la mia chiara designazione al primo posto. Soltanto nella valutazione di Stalin si avverte un diverso tono, che nella postilla aggiunta qualche tempo dopo diventa addirittura una vera stroncatura». Poi, aggiunge Trotsky: «Passarono due mesi, durante i quali la situazione si chiarì definitivamente. Lenin si preparava ormai non solo a destituire Stalin da segretario generale, ma anche a screditarlo dinnanzi al partito».
Per "screditare Stalin" e continuare la battaglia, Lenin detta allora due articoli: «Come organizzare l'Ispezione operaia e contadina» e, in forma ancora più esplicita, «Meglio meno ma meglio». Da notare che quella Ispezione che Lenin propone di riorganizzare urgentemente è stata diretta fino a pochi giorni prima da Stalin. Anche questo colpo è contro Stalin. Il Politburo del partito discute l'opportunità di pubblicare sulla Pravda il secondo dei due articoli. Un dirigente vicino a Stalin aveva proposto di stamparne solo una copia da mostrare a Lenin... Infine il testo viene pubblicato il 4 marzo sulla Pravda.
Subito dopo Lenin scrive ai dirigenti georgiani dichiarandosi solidale con la loro posizione e contro la posizione «grande russa» di Stalin, cioè contro la negazione del diritto di autodeterminazione georgiana e la possibilità di dare vita a una repubblica federata a quella russa e non subalterna a quest'ultima.
Anche in questa occasione Lenin si rivolge al dirigente di cui ha maggior stima, quello che ritiene dovrebbe sostituirlo in caso di morte: cioè Trotsky. Il 5 marzo detta una lettera per Trotsky chiedendogli di fare come già fatto in occasione del dibattito sul monopolio. «Se voi accettaste di assumervene la difesa [della questione georgiana, ndr] potrei essere tranquillo» (f). Informa inoltre Trotsky, sempre attraverso una delle segretarie, di voler attaccare frontalmente Stalin all'imminente Congresso.
Nel frattempo è stato anche informato dalla Krupskaya delle offese che le sono state rivolte da Stalin nel dicembre precedente. A quel punto detta una lettera indirizzata a Stalin annunciandogli che resta in attesa di scuse personali, in quanto l'attacco a sua moglie, dirigente del partito, lo considera come un attacco personale.

Il 9 marzo, mentre la battaglia è solo agli inizi, Lenin è colpito da un nuovo ictus, che lo priva della parola.

Dal marzo 1923 fino al gennaio 1924, mese delle sua morte, Lenin non vedrà più Stalin. I rapporti tra loro sono rotti.

 

Il destino del Testamento

Che fine fa il Testamento di Lenin?

Il testo non viene letto al XII Congresso (aprile 1923). Dopo la morte di Lenin (21 gennaio del 1924) la Krupskaya porta il documento al CC e chiede che il testo venga letto al XIII Congresso, che si svolge nel maggio 1924. Ma i dirigenti, su proposta di Stalin, Kamenev e Zinovev (che hanno costituito una frazione segreta), propongono che venga tenuto riservato. Trotsky viene messo in minoranza. In seguito alle insistenze della Krupskaya, si decide che venga letto solo ai capi-delegazione, in una riunione che si svolge il 22 maggio 1924, con l'impegno dei presenti a tenere il segreto e a non prendere nemmeno appunti: alla platea generale dei delegati il testo non viene consegnato né letto.
La pubblicazione, prima in brani, poi integrale, sarà fatta all'estero, l'anno dopo, da Max Eastman, militante vicino a Trotsky. In Russia il Testamento sarà pubblicato solo nel 1956, da Krusciov, come strumento nella lotta che si è aperta tra le varie frazioni in disputa dopo la morte di Stalin (1954), nel corso della cosiddetta «destalinizzazione».
Si sono scritti molti testi, a partire dalle considerazioni di Deutscher, uno dei più importanti biografi di Trotsky, per una fase dirigente trotskista (ostile alla costituzione della Quarta Internazionale nel 1938), circa le presunte esitazioni di Trotsky. Perché non pretese la pubblicazione del testo? perché non sferrò subito la battaglia contro Stalin?
In realtà, come hanno documentato tutte le migliori biografie e i più recenti studi, semplicemente Trotsky non ritenne tatticamente opportuno, con Lenin gravemente malato, e tanto più subito dopo la morte di Lenin, sferrare un attacco frontale per la destituzione di Stalin. Prova a combattere una battaglia politica preparatoria, prova ad accumulare le forze necessarie. Di qui la sua accettazione di una serie di compromessi in quella che capisce essere una battaglia che non potrà essere vinta da lui solo e in un solo colpo. Soprattutto, auspica che la rivoluzione in Europa, in Germania, possa rompere l'isolamento russo, causa prima dell'avanzata della burocrazia.

 

1994, si scopre una prima falsificazione del Testamento

Fino all'apertura degli archivi di Mosca, in seguito al crollo dello stalinismo a fine anni Ottanta, questo è tutto quanto sapevamo del Testamento.
Lo stesso Trotsky spiegava come quell'unica frase nel testo in cui Lenin si riferisce a Trotsky in termini relativamente negativi era da considerarsi nel contesto del ragionamento di Lenin, che lo indicava comunque, di fatto, come il suo successore alla guida della rivoluzione.
In particolare, nell'articolo «A proposito del Testamento soppresso di Lenin» (v. la scheda bibliografica) Trotsky insisteva sulla interpretazione falsata che di quella frase cercavano di dare gli stalinisti che la facevano girare insieme a "sintesi" del Testamento non basate sulla versione originale.
Di quale frase si tratta? Di quella in cui Lenin, dopo aver già parlato positivamente di Trotsky, allorquando arriva ad altri due dirigenti di primo piano, Kamenev e Zinovev, sottolinea la «non casualità» dei gravi errori politici da loro commessi nel corso del 1917 (e dei quali abbiamo parlato nella conversazione sul partito pubblicata in queste pagine). Proprio a quel punto Lenin aggiunge che in ogni caso tali errori non andavano più rinfacciati ai due dirigenti, così come non andava imputato a Trotsky il suo passato non bolscevico.
Questa la versione «originale» -o perlomeno quella considerata originale anche da Trotsky. Stalin invece faceva circolare letture in cui quella frase veniva rovesciata: tanto gli errori di Kamenev e Zinovev come il passato non bolscevico di Trotsky non potevano essere sottovaluti né dimenticati perché avrebbero avuto riflessi nel presente.
Fatto sta che Trotsky non mise mai pubblicamente in dubbio quella frase (almeno nella versione che credeva originale), seppure indubbiamente quelle parole risultassero in contraddizione col resto del testo e soprattutto col contesto della ultima battaglia di Lenin. Perché mai Lenin avrebbe dovuto tornare, peraltro in un inciso, sul passato non bolscevico di quello che era diventato, dopo il 1917, a suo dire, «il migliore dei bolscevichi», il principale dirigente con Lenin stesso della rivoluzione? Perché avrebbe dovuto consegnare nelle mani di Stalin una arma proprio mentre Trotsky era il suo principale alleato nella battaglia contro Stalin e la burocrazia?
Per anni è rimasto un punto poco chiaro. Finché, con l'apertura degli archivi di Mosca sono arrivati nuovi documenti, vediamoli.
Nel 1994, lo storico Jurij Buranov scrive un libro intitolato Lenin's will. Falsified and forbidden; from the Secret Archives of the former Soviet Union (v. bibliografia). Nel libro riprende un tema che aveva già trattato su riviste russe nel 1991 e a cui era stato dato spazio anche sul quotidiano italiano La Stampa in articoli di Giulietto Chiesa (per anni inviato dell'Unità a Mosca).
Negli articoli del 1991, nonché nel libro del 1994, Buranov spiega di aver trovato negli archivi sovietici una pagina manoscritta del 23 dicembre 1922, quella che apre il testo di Lenin poi noto come Testamento, ricopiata (come conferma la perizia calligrafica) da Nadiezhda Allilueva, una delle segretarie di Lenin nonché moglie di Stalin.
La cosa è interessante per vari motivi: la Allilueva non era di turno quel giorno presso Lenin (come testimoniano i diari delle segretarie: v. bibliografia). Quel giorno era di turno la Volodiceva. Quest'ultima, come era già emerso dalle interviste rimaste inedite fino al 1989, fatte nel 1967 dallo storico Aleksandr Bek alle segretarie di Lenin, aveva ammesso che, via via che Lenin dettava il Testamento, le segretarie portavano subito il testo a Stalin.
Quando la Volodiceva, su ordine della responsabile delle segretarie, la Fotieva, porta il primo dettato di Lenin nello studio di Stalin, trova la Allilueva, Bucharin e un altro paio di dirigenti. Stalin legge il testo e, visibilmente spaventato, dà ordine di bruciarlo. Chiede però alla moglie di farne prima una copia e di conservarla, mentre alla Volodiceva ordina di inserire nella copia da conservare in archivio un paio di frasi che Lenin non ha dettato. È di questa versione modificata che vengono fatte le cinque copie che usualmente si facevano dei testi di Lenin.
Dunque il testo trovato negli archivi da Buranov, scritto a mano dalla moglie di Stalin, è una copia del testo originale effettivamente dettato da Lenin. Questa pagina differisce per una frase da quella poi pubblicata nelle Opere di Lenin, e da tutti considerata per decenni come originale: laddove Lenin si dice d'accordo con Trotsky sulla questione del Gosplan («andando incontro, a questo riguardo, al compagno Trotsky»): per ordine di Stalin è stato aggiunto: «fino a un certo punto e a certe condizioni».
Queste poche parole, come si capisce, rovesciano il senso della frase: non solo relativizzano l'accordo tra Lenin e Trotsky su quel punto importante (costituì l'inizio della battaglia contro Stalin) ma fanno quasi apparire un contrasto tra i due che Lenin risolverebbe con un parziale compromesso.
Buranov ha così dimostrato inequivocabilmente che Stalin ha fatto falsificare il Testamento, almeno per quanto riguarda la pagina di cui si è trovata la copia dell'originale. Ma si può credere che il resto del testo, che puntualmente veniva consegnato dalle segretarie a Stalin, via via che Lenin dettava, non abbia subito altre falsificazioni?

 

L'ipotesi di Canfora

Diversi anni dopo, Luciano Canfora, storico di formazione stalinista, e certo non sospettabile di simpatie per Trotsky, impegnato in generale a scovare presunte e inesistenti differenze tra Stalin e Togliatti, per beatificare con quest'ultimo la cosiddetta «via italiana al socialismo», cioè il riformismo stalinista guidato da uno dei peggiori stalinisti della storia, Togliatti, appunto, pubblica un libro dedicato alla falsificazione di vari testi storici. Nel libro si occupa anche del Testamento di Lenin.
Ricapitolando le scoperte fatte da Buranov che provano inconfutabilmente che perlomeno il dettato del 23 dicembre è stato manomesso da Stalin, Canfora si chiede: e se la stessa cosa, usando lo stesso metodo, cioè aggiungendo una frase per rovesciarne il senso, fosse stata fatta anche in altre parti del testo?
Rileggendo il Testamento, appare evidente che la frase più contraddittoria è quella di cui abbiamo parlato più sopra, quella circa il passato non bolscevico di Trotsky. Quella frase ha costituito (o nella versione «originale» o in sue deformazioni) da subito e per decenni il cavallo di battaglia degli stalinisti: la frase grazie alla quale hanno cercato di oscurare il senso vero del Testamento.
Alcuni linguisti, esperti di russo, confermano a Canfora che proprio quella frase, in russo, risulta sgrammaticata, non concorda da un punto di vista sintattico con la frase principale.
Il ragionamento di Canfora è a questo punto molto semplice: sappiamo che Stalin ha fatto falsificare una frase nella parte iniziale del dettato; sappiamo che aveva la possibilità, attraverso le segretarie, di apportare altre «correzioni» al testo di Lenin (il quale ignorava che le sue pagine finissero direttamente sulla scrivania di Stalin); sappiamo che quella frase, fondamentale, risulta stonata rispetto alle intenzioni di Lenin; sappiamo che quella frase, persino da un punto di vista linguistico, non concorda col testo.
Canfora non ha prove, perché non sono state trovate altre copie delle altre pagine originali del Testamento. È possibile che, pur falsificandole, Stalin non le abbia fatte copiare come invece ha fatto con il dettato del 23 dicembre. Oppure è possibile, per non dire probabile, che le copie fatte si siano perse negli archivi o siano andate distrutte. La conclusione dello storico, ripetiamolo, privo di simpatie per il trotskismo, è tuttavia una: la quasi certezza, basata su tutte le evidenze, che Lenin non abbia mai dettato nel suo Testamento nessuna frase circa il passato non bolscevico di Trotsky.
Sapendo cosa ha fatto in seguito Stalin, la falsificazione sistematica di tutta la storia rivoluzionaria per accreditarsi un ruolo primario che non ebbe mai nei momenti cruciali; lo sterminio di tutti i dirigenti bolscevichi; forse persino, come sospettano alcuni storici, pur senza averne le prove, l'avvelenamento di Lenin; sapendo tutto questo, non ci sarebbe certo da stupirsi se l'ipotesi di Canfora coincidesse con la verità dei fatti.
Significativo che né la scoperta di Buranov né l'ipotesi ulteriore di Canfora abbiano trovato spazio negli studi storici successivi alle loro pubblicazioni. A quanto ci risulta, la questione ha suscitato solo qualche interesse giornalistico, e per lo più in Italia, anche in seguito all'amplificazione data da Canfora alla ricerca di Buranov.

Certo, se anche l'ipotesi di Canfora trovasse una conferma documentale, la cosa non muterebbe il corso della storia né aggiungerebbe granché ai crimini dello stalinismo. Ma sarebbe l'ulteriore dimostrazione, che si assomma ad infinite altre, che tra Lenin e Stalin c'era un fossato incolmabile. Da una parte la rivoluzione e il Partito bolscevico che ne fu artefice; dall'altra la controrivoluzione e la burocrazia stalinista che ne fu responsabile.

 

Una curiosità: l'errore di Canfora

In chiusura, merita una segnalazione il fatto, a quanto pare sfuggito anche a tutti coloro che hanno recensito il libro di Canfora, che La storia falsa contenga a sua volta un falso involontario, o perlomeno un errore grossolano, tanto più imperdonabile in un libro che smaschera le falsificazioni storiche.
Nel ricostruire il momento in cui i dirigenti del partito furono portati a conoscenza del Testamento di Lenin, Canfora si affida alla ricostruzione che ne fece lo scrittore Emil Ludwig, il quale, citando Radek (in quel momento dirigente vicino a Stalin), scrisse di «un salto sulla sedia» che Trotsky avrebbe fatto durante un CC in cui Stalin avrebbe letto il Testamento e in particolare nel momento della lettura della frase circa il suo passato anti-bolscevico. Secondo Ludwig, ripreso da Canfora, Trotsky avrebbe chiesto a Stalin di rileggere quel passaggio.
Dopo aver correttamente precisato che in realtà la prima lettura del Testamento fu data in una seduta ristretta del XIII Congresso, nel maggio 1924, Canfora prende per buona il resto della storia di Ludwig e di Radek, e si avventura in supposizioni sul fatto che forse Trotsky trovò sospetta quella frase ma che non era in grado di dimostrarlo. Probabilmente, aggiunge Canfora, Trotsky conosceva già il testo originale (privo della frase incriminata), visto che una delle segretarie di Lenin, Marija Gljasser, era politicamente a lui vicina e poteva avergli dato delle informazioni.
Ma Canfora incorre in un errore che avrebbe potuto evitare se si fosse preoccupato di leggere l'articolo che Trotsky, nel 1932 (v. bibliografia), dedica alla vicenda del Testamento. Qui Trotsky spiega che Ludwig-Radek stanno mentendo per ingigantire la leggenda propagata dagli stalinisti circa il fatto che il Testamento conterrebbe dure accuse di Lenin al passato non bolscevico di Trotsky, quando invece nel testo originale (o meglio, possiamo dire noi oggi, il testo che Trotsky supponeva originale) Lenin dice che non va imputato a Trotsky il suo passato non bolscevico. Trotsky aggiunge che non fece nessun «salto sulla sedia» e che tutta la ricostruzione di Ludwig è falsa non solo perché (come ricorda anche Canfora) il Testamento fu letto in un altro momento ai dirigenti, ma perché per di più a leggerlo fu Kamenev e non Stalin. Un "salto sulla sedia", conclude Trotsky, lo fece effettivamente ma in un'altra occasione. Fu in un plenum del Comitato Centrale, nel 1926, quando furono letti (stavolta da Stalin) vari testi fin lì rimasti inediti di Lenin. Fu in questa occasione che Trotsky interruppe Stalin durante la lettura della lettera del 5 marzo 1923 (che abbiamo citato più sopra), lettera in cui Lenin invita Trotsky a difendere la questione georgiana al CC. Quella lettera si concludeva con parole molto affettuose, che erano rare in Lenin: «Con i migliori saluti comunisti». Nel leggere, Stalin saltò una parola e lesse un più asciutto «saluti comunisti». Al che Trotsky (che a memoria ricordava questo dettaglio significativo della lettera ricevuta da Lenin) lo interruppe e gli chiese di rileggere le parole precise. Cosa che Stalin dovette fare, irritato perché quei "migliori saluti comunisti" erano rivolti da Lenin al dirigente con cui aveva deciso di avviare l'ultima sua battaglia, la prima compiuta dai bolscevichi contro la degenerazione stalinista.

 

Note

(a) V.I. Lenin, in Opere Complete, vol. 33, p. 253.

(b) L. Trotsky, La mia vita, p. 441.

(c) J.J. Marie, Lénine, p. 271 (nostra traduzione dal francese).

(d) V.I. Lenin, op.cit., vol. 45.

(e) Vedi V.I. Lenin, op.cit., vol. 36.

(f) Cfr. V. I. Lenin, op.cit., vol. 45.

 

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Sull'ultima battaglia di Lenin

Il libro da cui partire è quello di Moshe Lewin: L'ultima battaglia di Lenin, Laterza, 1969. Si tratta del primo testo che fa luce sulla vicenda, basandosi anche sul Diario dei segretari di Lenin (v. oltre). Il testo di Lewin è interessante più per la ricostruzione puntuale dei fatti che per le conclusioni dell'autore, non esenti da un certo psicologismo. Il Diario dei segretari di Lenin, cioè le note di servizio dei collaboratori di Lenin, registrate tra il novembre del 1922 e il marzo del 1923, è stato pubblicato per la prima volta nel 1963 in Russia da una rivista di storia e poi tradotto nei Cahiers du monde russe et sovietique, numero di aprile-giugno 1967, per la cura di Lewin e di Jean Jacques Marie. Il testo è reperibile anche su internet nel sito www.persee.fr/web/revues.

Indispensabile è anche l'articolo di Trotsky «A proposito del Testamento soppresso di Lenin», 1932, pubblicato nel numero di luglio 1934 della rivista trotskista New International, poi più volte ristampato dalla Pathfinder Press di New York. Un'edizione italiana si trova nell'opuscolo curato da Paolo Casciola per il Centro Studi Pietro Tresso: Lenin-Trotsky. In lotta contro lo stalinismo. La vera storia del Testamento di Lenin (1988).

Dedicano alcune pagine alla vicenda anche questi libri: E.H. Carr, La morte di Lenin. L'interregno, 1923-1924, Einaudi, 1965; il già citato P. Broué, La rivoluzione perduta. Vita di Trotsky, 1879-1940, in particolare nel cap. 20, «Il blocco con Lenin», nel cap. 22, «Occasioni perdute» e nel cap. 23, «Dibattito senza Lenin»; il già citato Louis Fischer, Vita di Lenin, Oscar Mondadori, 1973, in particolare nel capitolo «Le ultime volontà e il Testamento di Lenin».

Le scoperte più recenti circa la manipolazione da parte di Stalin del Testamento sono analizzate in Jurij Buranov, Lenin's will. Falsified and forbidden; from the Secret Archives of the former Soviet Union, Prometheus Books, 1994. La scoperta di Buranov aveva trovato un'eco sulla stampa italiana nell'articolo di Giulietto Chiesa, pubblicato su La Stampa, 12 luglio 1991: «È un falso di Stalin il Testamento di Lenin».

Luciano Canfora riprende le informazioni di Buranov, e avanza la sua ipotesi su un'ulteriore possibile falsificazione, nel libro La storia falsa, Rizzoli, 2008.

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