Santorini è il nome di una splendida isola
greca nel mar Egeo che ogni estate accoglie milioni di turisti provenienti da
tutto il mondo. Da qualche giorno quel nome (insieme a Nota Italia e Atlantia) è
legato allo scandalo che ha colpito la terza banca italiana, il Monte dei Paschi
di Siena (Mps).
Nel capitalismo situazioni di questo genere sono la norma,
non l’eccezione. In Europa abbiamo, ad esempio, avuto il caso riguardante la
definizione del tasso Libor (che serve come riferimento alle banche per
calcolare mutui, prestiti alla clientela e fra loro stesse) per il quale una
banca inglese, la Royal Bank of Scoltand, ha dovuto pagare una multa di
centinaia di milioni di euro. In Italia, proprio in questi giorni, ci troviamo
di fronte a un ex colosso della new economy, Seat Pagine Gialle, che ha visto in
pochi anni il valore delle sue azioni passare da oltre 7 euro a pochi millesimi
di euro (sì, avete letto bene) e che non è in grado di rimborsare le migliaia di
piccoli risparmiatori che hanno sottoscritto le sue obbligazioni (mentre si
indaga sul fatto che importanti fondi di investimento siano riusciti, sfruttando
informazioni riservate, a salvaguardare i loro investimenti).
Mentre
scriviamo, infine, è balzato agli onori della cronaca un altro scandalo,
Saipem/Eni (il cane a sei zampe è una delle maggiori multinazionali a livello
mondiale), che rischia di far derubricare quello della banca di Siena a livello
di piccolo furto di paese.
La banca senese non è nuova a truffe, imbrogli e
raggiri. Qualche anno fa era stata coinvolta nel caso MyWay e ForYou, prodotti
finanziari venduti alla clientela, nascondendone i rischi, che causò grossi
guadagni per la banca e ingenti perdite agli investitori. Il nuovo scandalo però
ha raggiunto dimensioni ragguardevoli diventando un caso politico, economico e
finanziario che mette sotto accusa l’intero sistema capitalistico italiano, la
totalità delle sue classi dirigenti borghesi e la connivenza delle cosiddette
autorità di controllo indipendenti (Banca d’Italia, Bce, Eba) che per anni hanno
taciuto davanti a una truffa dalle dimensioni colossali.
I guai per
l’istituto di Rocca Salimbeni, sono iniziati con l’acquisto dagli spagnoli di
Santander della banca Antoveneta, che venne acquista per un prezzo maggiorato
del 50% rispetto a quanto pagato dagli iberici solo sei mesi prima. La quasi
contemporanea esplosione della crisi finanziaria e economica, ha costretto la
banca ha porre in essere una serie di spericolate operazioni finanziarie (citate
sopra) per tentare di celare le perdite dovute all’acquisto della banca dagli
spagnoli e della quasi certa “mazzetta” che quella operazione ha creato.
Oggi
tutti gridano allo scandalo. Politici, banchieri e grand commis dello Stato e
dell’Unione europea sostengo la loro estraneità, cercando di addossare le colpe
alle smisurate ambizioni di qualche ex dirigente bancario colpito da manie di
grandezza. Si tratta di un tentativo comprensibile: ma assolutamente
privo di credibilità. Tentiamo di vedere perché.
Da quasi venti anni la banca è stata privatizzata. La maggioranza delle azioni è in mano a una Fondazione i cui vertici sono l’espressione del Comune e della Provincia di Siena, della regione Toscana, dell’Università, della Camera di Commercio e dell’Arcivescovato della cittadina toscana. Come si vede, tutte le classi dirigenti nazionali sono state direttamente coinvolte nelle gestione della banca.
Se è vero che i membri della Fondazione di nomina degli enti locali sono espressione del maggior partito della sinistra borghese, il Partito Democratico, le votazioni in cui venivano proposti i nomi sono state approvate all’unanimità, con i voti del centro destra, Pdl in testa. In una gestione totalmente bipartisan: ricordiamo i 700 mila euro di finanziamento al Pd dell’ex ad. di Mps, che tra le altre cose concludeva i congressi della federazione senese del partito di Bersani; ma ricordiamo anche i milioni di prestito concessi a un piccolo istituto di credito che aveva tra i maggiori azionisti Verdini, strettissimo collaboratore di Berlusconi. A politici di entrambi gli schieramenti borghesi venivano affidati incarichi dirigenziali nelle varie società controllate da Mps.
In questa gestione, che i mass media nazionali definiscono opaca, ma che in realtà ha rappresentato un vero e proprio crimine del capitalismo contro i lavoratori, un ruolo non secondario lo hanno avuto le burocrazie sindacali, Cgil in testa. Fare carriera sindacale in banca è stato per molto tempo condizione necessaria per diventare sindaco della città, e gestire quindi le nomine nella Fondazione Mps, o dirigenti di alto grado nella banca stessa. E’ per questo motivo che il sindacato di Susanna Camusso ha scelto una sorta di basso profilo in tutta la vicenda.
Adesso, scoppiato lo scandalo, contabilizzate perdite di diverse centinaia di milioni causate dalla sottoscrizione dei titoli derivati, che salgono a diversi miliardi (si parla di una somma di svariati miliardi, superiore all’intera capitalizzazione di borsa) se si sommano i bilanci degli ultimi anni, tutti cercano di trovare una soluzione.
Abbiamo avuto negli ultimi anni vari casi di cosiddette “nazionalizzazioni” di aziende in crisi. I più noti riguardano l’industria automobilistica americana. Lì lo Stato ha prestato soldi alle aziende, a patto che queste riducessero drasticamente il salario, diretto e indiretto, dei lavoratori. Una volta terminata questa operazione, le aziende sono tornate completamente in mano agli azionisti privati, i quali hanno ricominciato a fare utili enormi, mentre i lavoratori continuavano ad avere stipendi da fame. I presunti guadagni dello Stato (anche in quel caso il prestito era oneroso) sono stati utilizzati non per finanziare e potenziare il welfare pubblico, ma per concedere agevolazioni fiscali ai grandi capitali, a prestare soldi alle banche e così via.
Credere che in Italia le cose possano andare in un modo diverso è pura illusione. Ma se anche ciò avvenisse, e facciamo solo un’ipotesi di scuola, i problemi non sarebbero risolti. Infatti se il governo italiano dovesse fare una nazionalizzazione senza diminuire i livelli salariali e occupazionali dei lavoratori di Mps, vedrebbe comunque il suo deficit e debito pubblico aumentare considerevolmente. E’ immaginabile che ciò creerebbe delle tensioni sui mercati che trattano titoli di Stato italiani, Bot, Bpt ecc. Questa situazione contribuirebbe a sua volta ad aumentare il debito, spingendo il governo a effettuare una ulteriore politica di tagli per diminuire il peso della propria esposizione finanziaria.
Il caso Mps mette quindi all’ordine del giorno non solo la assoluta insostenibilità del sistema bancario nazionale, dei suoi intrecci con i partito borghesi, delle truffe ai danni dei piccoli risparmiatori e dei lavoratori per avvantaggiare pochi grandi speculatori privati. Mette in discussione l’intero sistema capitalistico nazionale e le sue interconnessioni con la finanza mondiale.
Ecco perché la vera soluzione non può essere rappresentata da maggiori poteri di controllo affidati alla Banca d’Italia o al ministero delle Finanze. Non si può, davanti al rischio concreto che migliaia di impiegati di Mps siano licenziati, proporre i contratti di solidarietà come fanno i sindacati, Cgil in testa, cioè offrire riduzioni di salario nell’ordine del 15 o 20%.
La sola alternativa concreta è quello di rivendicare e imporre la nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo operaio di tutto il sistema bancario nazionale, e lottare per la creazione di un istituto di credito nazionale gestito dai lavoratori. Che i grandi patrimoni accumulati dalle banche siano a loro volta espropriati e utilizzati per opere di utilità sociale (infrastrutture pubbliche, scuola, sanità, welfare ecc.). E’ necessario ripudiare il debito pubblico, accumulato in decenni di ruberie e concessioni al grande capitale, tutelando solo le somme che rappresentano i risparmi dei lavoratori e dei pensionati.
Bisogna, in conclusione, creare -a partire dall'unione e sviluppo delle lotte- i rapporti di forza per rovesciare questo sistema economico, politico e sociale in putrefazione. Solo un processo rivoluzionario, una rivoluzione socialista (non la presunta rivoluzione civile di Ingroia, Ferrero e Diliberto), può adempiere a questo compito gigantesco ma ineludibile.






















