Chi ha paura del confronto programmatico?
Risposta a Scr
di Francesco Ricci
(nella foto un'assemblea internazionale della Lit a Buenos Aires)
In risposta a un articolo di polemica con il loro programma (www.partitodialternativacomunista.org/politica/nazionale/a-proposito-della-dittatura-capitalista-di-cuba-polemica-con-scr-imt), Scr (Sinistra Classe e Rivoluzione, sezione italiana della Imt) ci ha risposto per penna di Francesco Giliani (www.marxismo.net/index.php/teoria-e-prassi/movimento-operaio-italiano/547-pdac-lit-navigazione-a-vista-elevata-a-sistema-2).
Il metodo di confronto usato dai nostri maestri
La cosa che abbiamo notato a un primo sguardo è la lunghezza del testo di Scr (oltre due volte il nostro). Ci è sembrato, inizialmente, di buon auspicio: dimostrazione dell'impegno e dello studio meticoloso, del vero e proprio sforzo che Giliani deve aver profuso nel mese circa che ci separa dall'uscita del nostro articolo. Dobbiamo riconoscergli (questa è stata la nostra prima idea) di aver dedicato le vacanze natalizie, mentre altri si ingozzavano di salumi e panettoni, al confronto con noi.
Non è cosa da poco in una sinistra in cui alla polemica politica si risponde col pubblico silenzio e con la privata calunnia o col pettegolezzo di corridoio.
Purtroppo a volte la prima impressione è quella sbagliata.
La lettura del testo rivela infatti che ciò che manca nella risposta di Scr è appunto... una risposta. Giliani parla di molte cose ma elude ognuna delle precise critiche programmatiche che noi abbiamo avanzato.
Per il momento chiediamoci: se non risponde alle critiche che abbiamo fatto al programma della Imt-Scr, di cosa parla per venti pagine Giliani?
Eludendo la discussione sul suo programma per proporne una sul nostro, delude i lettori (a partire dai militanti di Scr) e fa una cosa astrattamente legittima ma fuorviante. Come se alla critica per aver ecceduto nelle libagioni natalizie rispondessimo con una domanda: e tu quanto hai mangiato? Purtroppo davanti al responso della bilancia questa manovra non funziona.
Questo non è un metodo nuovo: non serve aver letto Cicerone o Quintiliano per sapere che nella millenaria arte retorica è una manovra diversiva che si basa sulla fallacia dell'«argomentum ad personam» che consiste nel non contestare le affermazioni dell'interlocutore ma l'interlocutore stesso. L'errore logico sta nel fatto che un argomento è vero o falso a prescindere dalle colpe (vere o presunte) di chi lo sostiene.
In altre parole e per venire a noi: è vero o falso che Scr-Imt hanno revisionato la teoria marxista dello Stato e, di conseguenza, il loro programma in relazione ai governi borghesi, come noi abbiamo scritto? Questo dovrebbe essere il punto di partenza di una risposta, quali che siano gli errori o deviazioni del Pdac e della Lit.
C'è da aggiungere che Giliani applica questo vecchissimo artificio retorico, questo sofisma, in una forma raffinata. Non storna l'attenzione dalle nostre critiche al loro programma proponendo di discutere il nostro programma – cosa che saremmo ben lieti e disponibili a fare. No, propone di spostare la discussione su vecchi errori (presunti o reali) di Moreno senza confrontarsi con il nostro programma reale e attuale.
Per esemplificare: sarebbe come se Lenin nel 1917 avesse accusato Trotsky per essersi schierato inizialmente nel 1903 con i menscevichi (cosa che gli fu eternamente rinfacciata non da Lenin ma da Stalin). O come se Trotsky nel 1917 avesse rinfacciato a Lenin e ai bolscevichi di aver sostenuto la «dittatura democratica degli operai e dei contadini» invece della rivoluzione permanente. Dato che entrambi, esplicitamente o implicitamente, avevano cambiato posizione, il confronto avvenne sul programma che ciascuno difendeva in quel momento (e che, come è noto, coincideva e fu il programma della vittoria dell'Ottobre).
Per parte nostra, nell'articolo su Scr-Imt abbiamo indicato solo ed esclusivamente le posizioni attuali di questa organizzazione, riferendoci a vecchie posizioni solo nella misura in cui Scr-Imt non le ha superate, a nostra conoscenza, né esplicitamente né implicitamente e che costituiscono le fondamenta su cui si sta costruendo oggi. Perché è questo che è di un qualche interesse per chi ci legge: il programma che le due organizzazioni rivendicano oggi e su cui vogliono costruirsi.
Il resto è quello che gli inglesi chiamano red herring, le aringhe rosse che i bracconieri inglesi solevano usare per portare su una falsa pista i cani da punta dei rivali. Come si capisce dall'esempio canino, è un metodo che denota scarsa considerazione delle capacità di chi legge di non farsi depistare.
Dogmatismo non fa rima con marxismo
Pur avendo una considerazione maggiore di quella di Scr dell'intelligenza nostra e di quella dei lettori di questo scambio polemico (in gran parte si suppone militanti dei rispettivi partiti), vogliamo accettare di fiutare le aringhe rosse che Giliani ci ha messo sotto il naso. E non ci limiteremo ad annusarle ma ne assaggeremo qualcuna. Ovviamente per poi rimetterci, nell'ultima parte di questo testo, sulle giuste tracce del dibattito programmatico.
Ma per prima cosa qualche parola su come concepiamo la elaborazione del programma marxista.
Come si diceva, Giliani ha generosamente sacrificato una parte delle sue vacanze natalizie in ricerche sulla storia della Lit per trovare le prove di nostre deviazioni da esibire ai lettori come prova del fatto che, avendo noi molto errato, ergo le nostre critiche al loro programma non meritano una risposta nel merito.
«Cercheremo di risalire alle radici teoriche, il morenismo, della gravissima deviazione opportunista del Pdac e della Lit-Ci», annuncia Giliani prima di condurci per mano in un lunghissimo viaggio che parte addirittura dal 1943.
Giliani parte cioè non dalla Lit (che è stata fondata nel 1982) ma quarant'anni prima, quando muoveva i primi passi colui che sarebbe diventato, decenni dopo, uno dei fondatori della Lit. Nel 1943 Nahuel Moreno compiva 19 anni.
Sarebbe interessante seguire Giliani in questa storia di Moreno e dei primordi della nostra corrente perché Moreno è stato, tra i dirigenti del «movimento trotskista», o per meglio dire delle varie organizzazioni nate dalla crisi della Quarta Internazionale negli anni Cinquanta, uno dei pochi (forse l'unico) che ha sempre saputo auto-criticarsi. Alla presunta infallibilità dei vari Cliff, Lambert, Healy, Ted Grant, Alan Woods ecc., ha sempre opposto una grande umiltà. Se hanno sbagliato, noi pensiamo, Lenin e Trotsky (come dicevamo più sopra), figuriamoci se non ha sbagliato un dirigente che, per quanto importante, non si è mai considerato nemmeno lontanamente paragonabile ai nostri maestri.
Ma per discutere sul serio di questa storia bisognerebbe studiare i testi e le elaborazioni di Moreno e della Lit. Abbiamo invece l'impressione che Giliani, per dare una «rapida» risposta (che pure lo ha occupato per quasi un mese) si è basato su uno dei tanti sintetici resoconti di avversari della Lit.
Giliani non sembra consapevole di stare mischiando una critica a errori reali che la nostra corrente ha commesso e ha poi superato (in alcuni casi da mezzo secolo), con errori che ci sono stati imputati da nostri avversari ma che non trovano nessuna corrispondenza nei fatti storici. Il tutto mescolato con errori di date, attribuzioni a noi di posizioni che avevano altre correnti e che noi abbiamo contrastato...
Se Giliani avesse avuto la pazienza di leggere anche solo qualche numero della rivista teorica della Lit (Marxismo Vivo) o gli atti pubblici dei Congressi che la Lit svolge ogni due anni o la rivista teorica del Pdac (Trotskismo oggi) saprebbe, inoltre, che da alcuni anni siamo impegnati in un'opera di aggiornamento programmatico in cui abbiamo criticato e abbandonato o corretto posizioni politiche e tattiche della nostra corrente. Per fare un elenco sommario: sull'atteggiamento nei confronti dei fronti elettorali, sull'intervento relativo alle doppie oppressioni (che guardando alla nostra storia di decenni fa ci pare oggi insufficiente), sull'interpretazione della Prima Internazionale come «partito unico» della classe operaia, sulla corretta relazione tra propaganda e agitazione...
Nella elaborazione programmatica noi infatti seguiamo l'esempio dei nostri maestri, di Marx, Engels, Lenin e Trotsky che non consideravano il marxismo «un dogma» ma una guida per l'azione. Una guida che necessita di continui aggiornamenti corrispondenti alla mutevole realtà: ovviamente (qui sta la differenza con il revisionismo) a partire dal riconoscimento della validità dei pilastri programmatici del marxismo: il programma della dittatura del proletariato, l'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi, la costruzione del partito d'avanguardia. Cioè appunto quei pilastri che, come abbiamo dimostrato nel nostro articolo precedente, Scr-Imt hanno abbandonato e su cui proponevamo un dibattito che Giliani ha eluso.
Assaggiando le aringhe rosse: la guerriglia
Fatta questa importante premessa metodologica, avviciniamoci al piatto di aringhe rosse che ci propone Giliani per confondere l'olfatto di chi legge.
Partiamo da quella che Giliani definisce «la deviazione fochista: Moreno contro Trotsky».
È interessante questo tema perché abbiamo una verifica di come Giliani cerchi di sottrarsi al confronto programmatico.
Giliani cita alcuni testi scritti da Moreno e dalla nostra corrente nel periodo subito successivo alla rivoluzione cubana del 1959, per dimostrare che avremmo capitolato al guerriglierismo. Si tratta di una mezza verità (che, come tutte le verità dimezzate, è una falsità completa). Effettivamente Nahuel Moreno espresse grandi elogi di Fidel Castro: ecco la mezza verità. Giliani dimentica di dire che tutte le organizzazioni che si richiamavano al trotskismo celebrarono quella rivoluzione che, effettivamente, entusiasmò i rivoluzionari di tutto il mondo per il fatto storico di aver espropriato per la prima volta il capitalismo in America Latina, costruendo uno Stato operaio. Dimentica anche di dire che, mentre tutte le altre correnti mantennero quel giudizio affrettato anche nei decenni successivi, la nostra corrente criticò dall'inizio la teoria del «fuoco guerrigliero» e più in generale poco dopo corresse anche l'apprezzamento di quella direzione piccolo-borghese.
Il lettore interessato può leggere il testo: Dos métodos frente a la revoluciòn latinoamericana (1). È un testo del 1964 (si noti l'anno!): in questo periodo mentre tutto il trotskismo soffriva effettivamente di una «ubriacatura guerrigliera» Moreno scrive una critica del «guerriglierismo» da un punto di vista marxista. I «due metodi» opposti a cui si riferisce il titolo sono appunto la guerriglia e la costruzione del partito marxista d'avanguardia con influenza di massa. Pur riconoscendo a Guevara e alla direzione cubana dei primi anni Sessanta una differenza con la burocrazia di Mosca, Moreno spiega perché senza un cambio di rotta strategico, che abbracci il programma della rivoluzione permanente, il processo cubano sarà destinato alla sconfitta.
Ma Giliani si dimentica di menzionare questa nostra posizione e (arriva ora la mezza falsità) addirittura ci attribuisce all'epoca una «impostazione mazziniana di epoca risorgimentale sui 'colpi di mano'». Ora, premesso che non ci è chiaro cosa c'entri in tutto questo il riferimento a Mazzini (al più volendoci attribuire la logica dei «colpi di mano», esibendosi in riferimenti storici, sarebbe stato più appropriato parlare di Blanqui) perché Giliani ci attribuisce una posizione che in realtà abbiamo contrastato?
Perché Giliani non fa riferimento alle Tesi sulla guerriglia elaborate da Moreno nel 1973 (quando la teoria della guerriglia stava decimando una intera generazione di rivoluzionari), che costituiscono, per quanto ne sappiamo, la più spietata critica del guerriglierismo, proprio mentre la gran parte delle organizzazioni anche di provenienza trotskista capitolavano ad esso? Citiamo da quel testo: «Il sorgere di direzioni piccolo-borghesi indipendenti dallo stalinismo, che hanno diretto rivoluzioni vittoriose, come fu a suo tempo il castrismo e ora il sandinismo, possono portarci all'errore di credere che a queste direzioni siamo uniti da una strategia comune (...). Sarebbe un errore grave (...). Alla lunga è inevitabile che esse tradiscano la rivoluzione, in un qualche passaggio del processo rivoluzionario, per una profonda ragione di classe: perché sono direzioni piccolo-borghesi» (2).
Ma queste «dimenticanze» servono a Giliani per nascondere il fatto che non nel 1962 ma nel 2022 (sessant'anni dopo!) la Imt elogia Raul Castro che, nel frattempo, da dirigente guerrigliero si è trasformato in uno dei più ricchi membri della nuova borghesia cubana. In questi sessant'anni (a cui Giliani non fa caso) la direzione castrista si è trasformata da direzione centrista in direzione borghese. Un dettaglio grande (grossomodo) come la piramide di Cheope.
Ma proseguiamo la lettura sorvolando su vari errori di ricostruzione storica, solo per citarne un paio (ma ce ne sono altri): Giliani parla di una confluenza della nostra corrente nel Segretariato Unificato nel 1963, mentre avviene dopo un anno di intense polemiche, nel 1964; oppure colloca la fondazione della Lit nel 1981 (è nel 1982). Dettagli, si dirà, ma che danno l'idea di come sarebbe meglio, prima di scrivere di una storia che non si conosce, approfondire lo studio...
Ma continuiamo con un altro assaggio delle aringhe rosse.
L'aringa più grossa: la guerra delle Malvinas
«Il fronte unico... ma con la dittatura militare!» strilla uno dei titoletti della ricostruzione «storica» di Giliani. Addirittura! A cosa si riferisce?
Cosa giustifica quel titolo da giornaletto scandalistico che allude a un nostro qualche accordo con i generali che facevano sparire i militanti della sinistra, gettandoli nell'oceano? È il pezzo forte (diciamo così) di tutto l'articolo. E ci consente (ringraziamo Giliani) di tornare, pur allungando un po' il percorso, sul tema centrale dello Stato.
Giliani si avvicina alla questione della dittatura argentina con una certa cautela, sapendo che il nostro partito fu tra quelli che ebbero il maggior numero di vittime: compagni e compagne, molti ancora giovanissimi, sequestrati dai militari, torturati e stuprati all'Esma, la famigerata struttura adibita a questo scopo.
Giliani ci ricorda l'Huriah Heep dickensiano, che iniziava facendo qualche falso complimento poi, ossequioso, umilmente, senza smettere di sorridere e di sfregarsi le mani, aggiungeva una vaga allusione, infine, camminando curvo e rasente ai muri, senza mai guardare l'interlocutore negli occhi, sferrava la frase perfida che aveva tenuto in serbo. Heep fa questo per tutta la durata del David Copperfield, finché dopo mille pagine, nel finale catartico di quello splendido romanzo, il signor Micawber, con grande soddisfazione del lettore, prende Heep e la sua falsa umiltà a colpi di righello sulle dita.
Giliani inizia ossequiando i nostri compagni uccisi dal regime. Poi, sempre col sorriso e sfregandosi le mani, allude a un nostro imprecisato «adattamento alla dittatura».
Primo sussulto. Ci vuole davvero il gelido cinismo di un Huriah Heep per parlare di un «adattamento alla dittatura» del nostro partito argentino, che fu tra principali protagonisti dell'eroica resistenza alla giunta militare, attuò in clandestinità, ebbe oltre 250 compagni arrestati e torturati.
Chiaramente aver perso dei compagni non rende esenti dalla critica anche dura. Ma... «adattamento alla dittatura»?! Lo sa Giliani perché oltre 100 (cento) dei nostri compagni dopo l'arresto e la tortura furono uccisi e fatti sparire? Forse perché si erano adattati alla dittatura?
Ma, in mancanza del signor Micawber e del suo provvidenziale righello, proseguiamo la lettura ed ecco che, senza alzare lo sguardo, Giliani lascia cadere un'altra frase in puro stile Heep: quando scoppiò la guerra delle Malvinas, Moreno «pensò che fosse giunta l'ora di un Fronte Unico Antimperialista (Fua) con la dittatura di Galtieri».
Altro balzo sulla sedia. Proviamo a mettere ordine.
Per prima cosa è necessario informare Giliani che il «Fronte Unico Antimperialista» fu, a sua insaputa, una elaborazione della Terza Internazionale.
Fu il IV Congresso (1922) della Terza Internazionale a formulare la politica del Fronte Unico Antimperialista (Fua). Si trattava di una proposta di fronte tra il proletariato e la borghesia nazionale dei Paesi coloniali o semi-coloniali, seppure si sottolineava la necessità di una autonomia politica e organizzativa del movimento operaio all'interno di questo fronte. Si trattava, oggettivamente, di una politica semi-tappista, che presupponeva la rinuncia, in una prima tappa, alla piena indipendenza dalle borghesie nazionali. Questa politica rifletteva un ritardo nella generalizzazione a tutto il mondo della teoria della rivoluzione permanente applicata dai bolscevichi nella rivoluzione d'Ottobre. Trotsky correggerà questa posizione dopo l'esperienza della rivoluzione cinese del 1927, dove Stalin, elevando a principio quell'errore teorico dell'Internazionale, costrinse il Partito comunista cinese a disciplinarsi al partito borghese Kuomintang di Chiang Kai-shek e persino a sciogliersi in esso, presentando la borghesia nazionale (o un suo settore) come «progressiva». Ciò che condusse alla sconfitta della rivoluzione e al massacro delle comuni di Shangai e Canton. Quella tragica sconfitta portò Trotsky (che aveva soltanto indirettamente criticato l'errore del Fua nel 1922) (3) a estendere gli insegnamenti della rivoluzione permanente applicati nell'Ottobre a tutti i Paesi dipendenti, affermando che in Cina e nei Paesi dipendenti solo una dittatura del proletariato poteva garantire l'assolvimento degli stessi compiti democratici.
Secondo Giliani Moreno avrebbe sostenuto nel 1982 un «fronte unico antimperialista» con la borghesia argentina e dunque con la dittatura.
Ora, chiunque abbia dedicato anche solo qualche ora a studiare la storia dei dibattiti nel cosiddetto «movimento trotskista» sa che Moreno fu uno dei più accaniti critici di un «ritorno al Fua». Su questo tema scrisse alcuni dei suoi testi più importanti e noti, ad esempio la polemica con la corrente francese diretta da Pierre Lambert.
Ma, per limitarci agli ultimi vent'anni, tutta l'elaborazione della Lit contiene infinite critiche a chi ha proposto di tornare a quella vecchia elaborazione sbagliata della Terza Internazionale. Per saperlo non è necessario rovistare nei cestini o sbirciare nei bollettini interni del Pdac (che Giliani cita...): basta leggere le nostre pubblicazioni.
Ma la confusione di Giliani non si limita alla storia della Terza Internazionale o alla storia dei dibattiti degli ultimi decenni. Continuando la lettura scopriamo che Giliani confonde la politica del Fua con il fronte militare con un Paese aggredito dall'imperialismo. Con ciò dimostrando di non conoscere non solo le elaborazioni della Lit (il che potrebbe sembrare tutto sommato secondario) ma di non conoscere nemmeno quelle di Trotsky.
Non è un problema per uno che, come lui stesso annuncia nel suo testo, si propone di fornirci insegnamenti «dell'abc del marxismo»?
Giliani mostra poco interesse per la storia del movimento operaio perché il suo interesse è rivolto a gridare allo scandalo per un nostro «adattamento» alla sanguinaria dittatura argentina. Proviamo allora noi a ricordare gli accadimenti storici.
Nel 1982, nella guerra tra l'imperialismo britannico e l'Argentina per il controllo delle isole Malvinas, il nostro partito argentino si schierò militarmente con il Paese dipendente (l'Argentina) contro l'imperialismo, rivendicando l'armamento popolare per affrontare l'aggressione imperialista e preparare così, nella più completa indipendenza politica dalla borghesia nazionale, il rovesciamento della dittatura.
Dove avremmo mancato all'«abc del marxismo»? Abbiamo qui un interessante saggio della scuola di marxismo di Giliani. Vediamo.
Moreno, ci spiega Giliani, non comprese che «era stata la dittatura militare, con alle spalle 30 mila morti assassinati, ad attaccare l'impero britannico».
In questa sola frase sta racchiusa l'essenza di quanto Giliani ha compreso della teoria marxista sulla guerra in generale e della teoria leniniana dell'imperialismo in particolare.
Per Lenin in una guerra tra un Paese imperialista (in questo caso la Gran Bretagna) e un Paese dipendente (in questo caso l'Argentina), l'aggressore non è chi attacca e inizia la guerra ma sempre e soltanto il Paese imperialista.
A puro titolo d'esempio leggiamo quanto scriveva un più affidabile insegnante dei fondamenti del marxismo, Lenin: «Per esempio, se domani il Marocco dichiarasse guerra alla Francia, l'India all'Inghilterra, la Persia o la Cina alla Russia, ecc., queste sarebbero delle guerre "giuste", delle guerre "difensive" indipendentemente da chi avesse attaccato per primo, ed ogni socialista simpatizzerebbe per la vittoria degli Stati oppressi, soggetti e privi di diritti, contro le "grandi" potenze schiaviste che opprimono e depredano».
La citazione è tratta da Il socialismo e la guerra (1915) (4), uno dei testi fondamentali con cui Lenin condusse la battaglia contro il «social-sciovinismo» dei partiti della Seconda Internazionale che capitolavano ciascuno al proprio imperialismo nella Prima guerra mondiale.
Trotsky (non avendo studiato sullo stesso «abbecedario» di Giliani) sostenne innumerevoli volte questa stessa posizione elementare del marxismo e aggiunse, parlando di una eventuale guerra tra la Gran Bretagna imperialista e il Brasile dell'epoca – in cui vi era il regime semi-fascista di Getulio Vargas (che all'epoca collaborava con Hitler e massacrava i comunisti): «in questo caso io starei dalla parte del Brasile "fascista" contro l'Inghilterra "democratica"». Ciò perché una eventuale vittoria del dittatore brasiliano «darebbe un poderoso impulso alla coscienza democratica e nazionale del Paese e porterebbe al rovesciamento della dittatura di Vargas. La sconfitta dell'Inghilterra sarebbe contemporaneamente un colpo per l'imperialismo britannico e stimolerebbe il movimento rivoluzionario del proletariato inglese» (5).
La stessa politica fu sostenuta da Trotsky nel conflitto cino-giapponese nel 1937. E, ovviamente, non perché furono i giapponesi ad attaccare ma perché i marxisti stanno sempre nel campo militare – non certo in quello politico - del Paese dipendente contro quello imperialista, quale che sia il regime del Paese dipendente. In Cina c'era all'epoca il governo del generale Chiang Kai-shek, che in quanto a massacri di comunisti non fu secondo ai generali argentini degli anni Settanta, eppure con quello che definiva «il carnefice della rivoluzione cinese» Trotsky proponeva ai comunisti di fare «un blocco militare» contro il Giappone per poi preparare il rovesciamento politico del regime cinese.
Nel testo La guerra e la Quarta Internazionale (1934) Trotsky scrive: «Il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è determinato non dalla formula giuridica astratta dell’“aggressione”, ma dalla valutazione di quale classe conduce la guerra e a che fine. In un conflitto tra Stati, esattamente come nella lotta di classe, difesa” e “aggressione” sono solo questioni pratiche e non norme etiche o giuridiche» (6).
Per qualche motivo leggendo la risposta di Giliani non riusciamo a non pensare a come il vecchio Marx, che non sopportava chi impartisce lezioni di materie che non ha studiato, apostrofò un giorno Weitling (dirigente della Lega dei Giusti): «l'ignoranza non è una virtù per un rivoluzionario». Sante parole.
Ma non è finita. Dopo averci dato un saggio di quanto ha studiato e compreso di quel famoso «abc del marxismo» che vorrebbe generosamente insegnare agli altri, scopriamo che Giliani non conosce nemmeno le posizioni della sua Internazionale.
In uno dei testi elaborati da Ted Grant (principale dirigente della corrente che ha poi dato vita all'Imt) sulla guerra delle Malvinas scopriamo che lo stesso Grant inizia precisando che il criterio marxista di fronte alle guerre non ha nulla a che fare con chi attacca per primo. Purtroppo, dopo questa affermazione corretta che ahinoi non rientra nell'abbecedario del suo discepolo Giliani, Grant propone un altro criterio che appare ben distante pure dall'abbecedario di Lenin (il che forse è più preoccupante).
Secondo Grant nella guerra delle Malvinas non ci si doveva schierare nel campo militare dell'Argentina perché l'Argentina non era un Paese coloniale bensì... «capitalista».
Ora, già Lenin aveva spiegato nel suo celebre testo sull'imperialismo che la distinzione da farsi è tra Paesi imperialisti e Paesi dipendenti, rientrando in questa ultima categoria non solo le colonie e le semi-colonie ma tutti i Paesi oppressi dall'imperialismo (7).
Ma lasciamo da parte per un momento questa distinzione, pur fondamentale. Nello stesso testo Grant avanza questa prospettiva: «Noi rivendichiamo elezioni generali adesso, come forma per far cadere i Tories e riportare il Labour Party al potere su un programma socialista. (...) Se necessario, i lavoratori britannici e i marxisti saranno disposti a fare una guerra contro il governo argentino, per aiutare i lavoratori argentini a prendere il potere nelle loro mani. Ma solo una Gran Bretagna socialista e democratica avrebbe le mani pulite» (8).
Questa era la posizione dell'organizzazione internazionale che oggi si chiama Imt. Una organizzazione che aveva e ha il suo centro in Gran Bretagna, una delle maggiori potenze imperialiste dell'epoca e che, secondo il noto insegnamento di Karl Liebknecht, avrebbe dovuto riconoscere «il nemico principale» nel proprio imperialismo.
Invece secondo la Imt-Scr dell'epoca si trattava di cambiare – con regolari elezioni – il governo conservatore della Thatcher con un governo laburista, nel regno di Gran Bretagna; per poi sostenere questo governo (borghese) «di sinistra» nella difesa del possesso delle Malvinas, parte del territorio nazionale argentino occupato dalle truppe di Sua Maestà Guglielmo IV nel 1833.
Anche volendo sorvolare sulla posizione di Grant di un disfattismo bilaterale di fronte non a due imperialismi (come sosteneva Lenin) ma in una guerra tra una delle principali potenze imperialiste del mondo e l'Argentina, Paese oppresso, vale la pena osservare che in caso di disfattismo bilaterale per Lenin ciò implicava in ciascun Paese «trasformare la guerra in guerra civile», cioè nell'agitazione per il rovesciamento del proprio governo. Cosa un po' diversa dal trasformare la guerra... in elezioni... per «portare al potere» (sic) i laburisti.
E qui ci fermiamo, verrebbe da dire, per carità di patria...
Alcuni avanzi di aringhe nel piatto
Come abbiamo detto: abbiamo accettato non solo di fiutare ma anche di assaggiare le aringhe rosse con cui Giliani vorrebbe allontanarci dall'essenza del confronto programmatico. Siamo persone ben educate che non rifiutano le pietanze in casa di un ospite. Ma non possiamo spingere la nostra buona educazione (e la pazienza del lettore) fino a chiedere il bis di questo pesce che, sinceramente, non sembra fresco di giornata.
È venuto il momento di alzarci dalla tavola generosamente imbandita da Giliani. Dobbiamo (lo dobbiamo ai lettori, più che a Giliani) tornare al punto vero della discussione.
Ma tornare a una reale discussione programmatica implica evitare di rispondere ad almeno una trentina di temi che Giliani ha disseminato nell'intento di convincere il lettore, sulla base dei suoi profondi studi storici (davvero profondi, come si è visto), della degenerazione della Lit. E allora, a costo di annoiare il lettore già sazio, diamo un breve sguardo ad alcune aringhe avanzate nel piatto, ripromettendoci di tornare a gustarle con l'attenzione che meritano in un prossimo articolo.
In un elenco, ancorché incompleto, oltre a un «adattamento» ai torturatori argentini ci troviamo addebitati:
1) una presunta «teoria tappista della rivoluzione». In parte abbiamo già risposto a proposito dell'Argentina. Basterebbe poi vedere come abbiamo attuato nella rivoluzione del 1979 in Nicaragua: qui la Lit (o meglio l'organizzazione che la precedette) invio una brigata internazionale (Brigata Simon Bolivar) che partecipò al rovesciamento in armi della dittatura di Somoza. Per poi fare opposizione al governo borghese sandinista e proseguire la rivoluzione per costruire una federazione socialista del centro-america. Proprio per il tentativo di costruire nel vivo del processo un partito rivoluzionario (che non esisteva in Nicaragua) per contrapporsi alla politica di collaborazione di classe dei sandinisti, i nostri compagni furono espulsi dal Nicaragua e consegnati alla polizia panamense che li torturò. Basterebbe questa unica vicenda, molto conosciuta in America Latina, per dimostrare la falsità di una nostra presunta teoria della rivoluzione a tappe,
2) l'abbandono della centralità della classe operaia, altro generoso addebito che ci fa Giliani.
Su questo sarebbe stato sufficiente che Giliani si fosse documentato: l'ultimo Congresso della Lit ha discusso, come uno dei testi principali, la riaffermazione della centralità della classe operaia, da noi mai abbandonata. Peraltro la storia delle nostre sezioni principali e del loro radicamento nella classe operaia potrebbero bastare per chiudere la discussione.
3) infine avremmo sostenuto «le controrivoluzioni del 1989-1991 che aprivano la via alla restaurazione del capitalismo».
Purtroppo Giliani fa anche qui confusione, non avendo evidentemente letto i nostri testi. La posizione della Lit (che ovviamente si può non condividere) è che la restaurazione del capitalismo nei Paesi dell'Est europeo avvenne a partire dalla metà degli anni Ottanta, dunque che le manifestazioni di massa che rovesciarono i regimi reazionari nel 1989-1991 furono in questo senso progressive, anche se arrivarono tardi per impedire la restaurazione del capitalismo. Restaurazione che fu il prodotto (come Trotsky aveva previsto) della conversione della burocrazia stalinista in nuova borghesia, non delle mobilitazioni di massa.
E ancora abbiamo dovuto lasciare indietro in questa prima risposta altri temi sparigliati da Scr sul tavolo: la Siria, l'Ucraina (dalla ricostruzione di Giliani abbiamo appreso di aver sostenuto «le bande fasciste») e così via. Una lunga lista di accuse: a occhio pare che manchi solo quella che fu a suo tempo rivolta a Lenin di aver complottato col Kaiser (ma deve trattarsi per certo di una dimenticanza).
Per chi volesse verificare le nostre reali posizioni su questi temi rimandiamo ai molti articoli pubblicati sul sito www.alternativacomunista.org
Infantilismo e dimensioni
In varie parti della risposta di Scr riecheggia un argomento che, a quanto ci hanno riferito compagni che dopo aver conosciuto Scr sono entrati in dialogo con noi, è frequentemente usato dai dirigenti di Scr per aggirare il confronto programmatico e di merito: «il Pdac è piccolo».
Nel suo testo Giliani informa che «le forze raccolte inizialmente dal Pdac non hanno fatto che ridursi, anche a causa di una serie di scissioni e conflitti interni».
Al contrario, Scr «si situa, per quantità e qualità, al di sopra del lavoro svolto da qualsiasi altra organizzazione».
Nientemeno!
E perché Scr si degna di risponderci nonostante le nostre piccole dimensioni?
Riecco Giliani nei panni del signor Heep (purtroppo ancora non è arrivato il signor Micawber col suo righello...) che, con sorriso mellifluo, si premura di spiegarci che si tratta di «una eccezione» per aiutarci ad uscire da una situazione di «frustrazione e disorientamento», il tutto «ispirato da motivazioni sincere». Insomma, ci viene fornita una specie di consulenza psicologica (quella storica lascia un po' a desiderare).
Passando dalla psicologia al leninismo noi, a differenza di Scr, non abbiamo la pretesa di collocarci «al di sopra di qualsiasi altra organizzazione». Siamo di quelli che, con Lenin, pensano che non sia un problema di dimensioni perché in un partito d'avanguardia un militante ne vale 100.
A scanso di equivoci: noi non pensiamo di aver già costruito quel partito d'avanguardia con influenza di massa che purtroppo manca, a livello internazionale, da oltre un secolo. Così come non nascondiamo che la Lit ha attraversato quei processi di scissione (così come nuove incorporazioni) che Giliani ricorda. Non è forse questa la difficile strada da attraversare per costruire il partito?
E allora apprezziamo le «motivazioni sincere» (parole sue) con cui Giliani ricorda le nostre scissioni. Ma dove vuole arrivare? La Imt non nasce da una scissione con la maggioranza della sua sezione più grande in Inghilterra? E non è forse vero che negli ultimi dieci anni ha subito scissioni significative in Spagna, Venezuela, Messico, Colombia, Svezia, Polonia, Iran, Pakistan (la lista deve essere incompleta)?
È di questo che vuole parlare Giliani? E cosa diavolo c'entra col confronto programmatico?
Noi pensiamo che il Pdac e la Lit siano piccole organizzazioni, per quanto il Pstu brasiliano sia, per riconoscimento generale, uno dei principali partiti trotskisti nel mondo. Ma già questo la dice lunga su quanto siamo ancora lontani dal risolvere quella famosa «crisi di direzione del proletariato» che equivale, per dirla con Trotsky, alla «crisi dell'umanità».
Per parte nostra se critichiamo Scr-Imt non è per le sue altrettanto piccole dimensioni ma per il programma semi-riformista che riveste col nome di «trotskismo», creando un equivoco tra giovani che sono appunto in cerca del trotskismo senza virgolette.
Diagnosticato come malattia infantile il confronto ossessivo sulle dimensioni possiamo tornare al programma.
Qui è Rodi e qui devi saltare
Abbiamo pazientemente seguito Giliani nel labirinto di temi, accuse, fantasiose ricostruzioni storiche, di modo che non possa lamentare che non abbiamo preso sul serio il testo che gli è costato le vacanze.
Però dobbiamo aggiungere, a questo punto, che ci sembra questo un modo di dibattere poco rispettoso, non tanto del Pdac ma dei lettori e, in primo luogo, dei militanti stessi di Scr che forse sarebbero stati interessati a una risposta della loro organizzazione nel merito delle nostre critiche programmatiche, più che una storia delle presunte malefatte di Nahuel Moreno dalla quinta elementare in poi.
Per questo vorremmo tornare ai veri punti della discussione. Non stiamo parlando di punti da noi scelti arbitrariamente, né di cosa ha fatto su questo o quel tema scelto a caso la Imt o Scr. Si tratta dei pilastri programmatici di un partito che pretende di definirsi marxista: la dittatura del proletariato, la relazione tra Stato e Rivoluzione e la questione del partito d'avanguardia.
È a partire da questa ottica che abbiamo proposto di discutere la posizione della Imt-Scr su Cuba.
Su questo punto come sugli altri (in particolare sul Venezuela) Giliani invece svicola, ripetendo un medesimo schema: per prima cosa accusa la Lit di qualsiasi cosa gli passa per la testa in quel momento, poi alza un gran polverone, ci attribuisce posizioni bislacche, senza prove e spesso dimostrando di non conoscere le nostre posizioni (a volte nemmeno quelle di Ted Grant, che fu principale dirigente della sua internazionale), infine, dopo un lungo giro diversivo, alle nostre critiche argomentate risponde dicendo che sono calunnie o citazioni estrapolate.
Prendiamo ad esempio il tema di Cuba, per non rispondere ai nostri argomenti, Giliani inizia subito definendo la nostra posizione come «capitolazione alle forze filo-imperialiste». L'accusa si basa su un sillogismo piuttosto rozzo: nelle manifestazioni contro il regime hanno partecipato anche forze pro-imperialiste; la Lit (che non ha partiti a Cuba) ha sostenuto le mobilitazioni; quindi la Lit capitola all'imperialismo.
Dieci decimi della parte su Cuba del suo testo Giliani, invece di spiegarci la posizione della Imt, li dedica a parlare della nostra capitolazione all'imperialismo (tutto sommato pare che a Cuba facciamo meglio che in Ucraina, dove capitolavamo financo ai fascisti...).
Ora, basterebbe uno sguardo anche solo ai titoli delle nostre dichiarazioni per vedere che ci siamo demarcati nettamente da ogni ingerenza imperialista. Nel nostro precedente articolo abbiamo presentato in dettaglio la nostra posizione. Ora, non volendo più partecipare al gioco dei quattro cantoni, chiediamo a Giliani: perché piuttosto non ci spieghi con quali criteri la Imt definisce Cuba uno Stato operaio? È vero o no, come abbiamo scritto, che non sono i criteri utilizzati da Trotsky? E ancora: se anche a Cuba il capitalismo non fosse stato ancora restaurato, come voi sostenete, perché la Imt non avanza un programma di rivoluzione politica, così come faceva Trotsky di fronte agli Stati operai burocratizzati?
O, passando al tema del partito: noi sosteniamo che la Imt-Scr teorizza nei fatti l'entrismo permanente nei partiti riformisti, mentre per Trotsky questo non poteva essere il metodo permanente. Abbiamo anche riportato le argomentazioni teoriche con cui Grant sosteneva questa posizione. Ma se ci fosse bisogno di riprova, basterebbe chiedere a Giliani di dirci quanti anni hanno passato fuori dal Labour Party (che peraltro è un partito borghese, mentre Trotsky sosteneva la possibilità dell'entrismo in partiti operai) la principale sezione della Imt e il suo leader, Alan Woods. La risposta è semplice: nemmeno un giorno negli ultimi ottant'anni.
Ma Giliani non è interessato a difendere la posizione della Imt ed eventualmente ad argomentarla. Preferisce attribuirci un presunto rifiuto assoluto della tattica entrista per poi chiederci: perché siete stati 15 anni in Rifondazione?
E così via. Tutto il testo è confezionato in questo modo.
Per questo risulta una «risposta» debole, che non risponde a un bel niente. Si può anche ripetere dieci volte che noi capitoliamo a questo e a quello: ma se anche fosse vero, perché non rispondere nel merito alle questioni che i maestri ai quali entrambi ci richiamiamo hanno considerato fondamentali per orientare l'azione dei marxisti?
Soprattutto, in un testo di quasi 70 mila battute in cui ha trovato modo di descrivere nel dettaglio errori, debolezze, crimini del Pdac, la storia di Moreno fin da quando portava i pantaloni corti, e di elencare un'altra cinquantina di temi (molti dei quali non conosce), perché Giliani non ha trovato modo di dedicare almeno dieci righe per rispondere alle precise osservazioni programmatiche che abbiamo fatto sulla concezione della Imt-Scr in relazione alla cruciale questione dello Stato e della rivoluzione, il rapporto dei rivoluzionari con i governi borghesi?
Davvero crede che chi si dedicherà a leggere questo scambio non si accorgerà che tutta la sua «risposta» è solo un lunghissimo diversivo? un gran piatto di aringhe rosse?
Come amava ripetere Marx a chi cercava furbescamente di tergiversare (non è un metodo nuovo): Hic rhodus, hic salta (9). Qui è Rodi e qui devi saltare, compagno Giliani.
Note
(1) N. Moreno, Dos métodos frente a la revoluciòn latinoamericana.
www.marxists.org/espanol/moreno/obras/05_nm.htm
(2) N. Moreno, Tesis sobre el Guerrillerismo.
www.marxists.org/espanol/moreno/guerriller/tsg_2.htm La traduzione dallo spagnolo è nostra.
(3) Il Fronte unico antimperialista (Fua) fu elaborato dal IV Congresso dell'Internazionale Comunista (IC).
I documenti principali dei congressi dell'IC sono reperibili in italiano nella raccolta a cura di A. Agosti, La Terza Internazionale. Storia documentaria, Editori Riuniti, 1974, in 6 volumi. Per la parte che qui ci interessa si veda in particolare il secondo volume. Più recentemente John Riddell ha pubblicato raccolte che includono i dibattiti dei congressi. Per quanto riguarda il IV Congresso si veda: Toward the united front. Proceedings of the Fourth Congress of the Communist International, 1922, Haymarket Books, 2012.
Un utile approfondimento sul tema si trova in P. Casciola, Trotsky e la lotta dei popolil coloniali
www.aptresso.org/www.aptresso.org/studi-e-ricerche-n-18-aprile-1990.html
Per quanto riguarda la critica di Moreno al Fua si veda la sua polemica con l'Oci di Pierre Lambert: La traicion de la Oci www.nahuelmoreno.org/escritos/la-traicion-de-la-oci-1982.pdf
Nelle Tesi della Lit sulla questione nazionale affermiamo: «Le Tesi di oriente con la loro politica frontepopulista del Fua con le borghesie nazionali furono un errore, poi accentuato dallo stalinismo dopo la morte di Lenin in relazione alla rivoluzione cinese». E ancora: «Il Fua fu presentato come la versione coloniale del fronte unico proposto per i Paesi capitalisti occidentali. Però, in realtà, non avevano niente a che fare tra loro: uno era un blocco proletario, di classe, contro l'offensiva capitalista; l'altro un blocco frontepopulista con la borghesia coloniale, a partire da una concezione tappista della rivoluzione. Trotsky non intervenne (nemmeno Lenin) nel dibattito sulla questione nazionale e coloniale al IV Congresso (...)». Il testo sarà pubblicato a breve sulla rivista teorica della Lit, Marxismo Vivo.
(4) V.I. Lenin, Il socialismo e la guerra (1915)
www.marxists.org/italiano/lenin/1915/soc-guer/index.htm
(5) L. Trotsky – Matteo Fossa, «Uma entrevista com Leon Trotsky» (1938)
www.marxists.org/portugues/trotsky/1938/09/23.htm
La traduzione dal portoghese è nostra.
(6) L. Trotsky, «La guerra e la Quarta Internazionale» (1934). Se ne può leggere una traduzione italiana sul n. 1 di Trotskismo oggi, rivista teorica del Pdac
www.partitodialternativacomunista.org/download/category/4-trotskismo-oggi-scaricabile
(7) V.I. Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916)
www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/index.htm
In questa opera fondamentale Lenin scrive: «Tale epoca è caratterizzata non soltanto dai due gruppi fondamentali di Paesi, cioè Paesi possessori di colonie e colonie, ma anche dalle più svariate forme di Paesi asserviti che formalmente sono indipendenti dal punto di vista politico, ma che in realtà sono avviluppati da una rete di dipendenza finanziaria e diplomatica» (v. cap. 6).
(8) T. Grant, «The Falklands Crisis - A Socialist Answer»
www.marxists.org/archive/grant/1982/05/falklands.htm
La traduzione dall'inglese è nostra.
(9) Hic rhodus, hic salta. Qui è Rodi e qui devi saltare. Che è come dire: non tergiversare, dimostraci qui e ora le tue affermazioni. La frase è contenuta in una favola di Esopo: davanti a uno sbruffone che si vantava di aver saltato il Colosso di Rodi, citando testimoni assenti, uno degli astanti lo sfidò a ripetere lì davanti a loro questa prodezza. Il detto fu ripreso da Hegel nella Filosofia del diritto («Qui è la rosa, qui devi ballare») e poi da Marx nel Diciotto Brumaio.