L’efficiente governo Renzi
contro giovani e lavoratori
di Alberto Madoglio
Qualche settimana fa nella rubrica “Si può fare”, ospitata
sul periodico L’Espresso, l’ex direttore generale di Confindustria,
Innocenzo Cipolletta, sosteneva che se c’è un Paese che in questi anni ha
svolto “i compiti a casa”, questo è senz’altro l’Italia. Per sostenere questa
posizione si chiedeva, in modo retorico, fra le altre cose, in quale altro
Paese sia stato possibile che una grande impresa industriale (la Fiat) rescindesse
unilateralmente dal contratto nazionale di categoria e se ne costruisse uno su
misura (che le lascia ampia possibilità nell’utilizzo dei lavoratori).
Come se non bastasse, qualche anno fa, la stessa Ocse, in
uno studio, affermava che per le imprese italiane (in particolare quelle di
minori dimensioni) licenziare non è poi così complicato (e centinaia di
migliaia di insegnanti, operai e impiegati hanno avuto una prova empirica sulla
propria pelle di questa dotta considerazione).
Contratti precari e alta disoccupazione, ma ai padroni non basta
Ciononostante è ormai parte della vulgata comune
che se in Italia abbiamo un alto tasso di disoccupazione (oltre il 12%, il 40%
tra i giovani) e un basso tasso di occupazione (il che significa che oltre ai
tre milioni di disoccupati ve ne sono forse altrettanti che ormai hanno perso
ogni speranza di trovare un impiego) la colpa è di norme che rendono poco
flessibile il “mercato del lavoro”.
E questo nonostante da almeno un ventennio siano stati
introdotti, sia nei contratti nazionali di lavoro sia a livello normativo
generale, disposizioni che nei fatti hanno reso impossibile per i lavoratori un
impiego a tempo indeterminato. Dai contratti di formazione lavoro della fine
degli anni Ottanta, fino alla miriade di forme di lavoro precario, intere
generazioni di proletari vivono nell’incertezza che il loro lavoro, precario e
mal retribuito, possa essere loro negato da un giorno all’altro, letteralmente.
Eppure, come dicevamo, tutto ciò non basta. Negli ultimi
tempi siamo arrivati al punto che la
Cgil ha firmato, per regolamentare (o meglio
de-regolamentare) il lavoro, in occasione dell’Expo 2015, un accordo in cui,
per la prima volta, si sancisce che il lavoro può essere gratuito; nel
congresso Cgil della Lombardia un alto dirigente sindacale ha affermato che uno
stagista che in occasione dell’Expo guadagnerà circa 500 euro il mese,
non ha di che lamentarsi.
E’ sembrato ovvio dunque che il Governo Renzi, in linea
con i suoi predecessori, come primo atto si cimentasse nell’ennesima riforma
del lavoro, con l’obiettivo di smantellare definitivamente le ormai poche e
simboliche garanzie a tutela di operai e impiegati.
Il premier e il suo ministro del lavoro Poletti, ex
presidente della Lega delle cooperative che sono ancora definite, superando
ogni pudore e senso del ridicolo, “rosse”, appena insediati a Palazzo Chigi
hanno affermato che la riforma Fornero – che tra le altre cose aveva avuto il
merito (per i padroni) di cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori
– aveva imposto troppi limiti e paletti alla libera iniziativa imprenditoriale.
Jobs act: ennesimo colpo ai diritti dei lavoratori
Quando il tanto citato Jobs Act, che aveva
suscitato enormi attese in tutti i commentatori borghesi e che aveva ottenuto
l’endorsment da parte del leader della Fiom Landini, è stato
infine presentato sotto forma di decreto da parte dell’esecutivo, si è visto
quale ulteriore attacco rappresenti per i lavoratori del Paese.
I contratti a termine avranno la durata di 36 mesi e
potranno essere fatti senza causale, cioè i padroni non dovranno nemmeno
fingere di dover assumere precari per esigenze della loro impresa. Le imprese
non avranno nessun obbligo di stabilizzare una percentuale di precari (il
ministro Poletti ha affermato che non si possono prevedere obblighi positivi
per le imprese, non sia mai…nel frattempo ai lavoratori si può imporre di
lavorare fino a 67 anni e oltre prima di poter avere una pensione da fame).
Si creeranno lavori coperti da voucher, per creare
anche in Italia i mini job, che tanta fortuna hanno fatto per le
multinazionali in Germania (dove milioni di lavoratori ricevono salari da 400
euro), la cassa integrazione in deroga sarà sostituita dall’Aspi (sussidi
disoccupazione), recidendo anche quel debole legame tra operaio e luogo di
lavoro che rimaneva con l’utilizzo della cassa.
Si lascia intendere che i disoccupati che vorranno
mantenere quel poco di servizi sociali che lo Stato garantisce, dovranno fare
una sorta di servizio civile (sempre l’ineffabile Poletti ha parlato di servire
pranzi alla Caritas!). Passa l’idea che la disoccupazione sia una sorta di
crimine sociale per il quale bisogna espiare una pena. Sembra di essere tornati
agli albori del capitalismo manifatturiero nell’Inghilterra del XVI e XVII
secolo dove disoccupati e vagabondi erano arrestati e in alcuni casi condannati
a morte. Non siamo ancora a questo punto ma non ci stupiremmo più di tanto se
qualche teorico del rinnovamento prima o poi ci pensasse.
Va da sé che questa sorta di servizio civile fornirebbe
manodopera gratis, o quasi, al business del terzo settore, altro che
carità cristiana!
Tra entusiasmo e opposizione di facciata
Sparisce la proposta di lavoro a tutele crescenti, in
virtù della quale, dopo un lungo periodo alla mercé dei padroni, i nuovi
assunti acquisterebbero diritti come i lavoratori a tempo indeterminato. Come a
Goebels, a padroni e ministri corre la mano alla pistola quando sentono parlare
di stabilizzazione del lavoro (non che l’idea formulata da Boeri fosse
particolarmente progressista…).
Il coro di apprezzamento per il Jobs Act è, come
detto, sostanzialmente unanime. Chi nel Pd si oppone lo fa solo perché il nuovo
corso “renziano” ha nei fatti spazzato via la vecchia nomenclatura del partito.
Chi alza la voce lo fa solo per logiche di potere e niente di più.
Rifondazione e Sel sono impegnate nella campagna
elettorale europea a sostegno della lista Tsipras, consapevoli che non
raggiungere il quorum per avere eletti a Bruxelles segnerà forse la loro
definitiva uscita di scena: quindi delle quisquilie del lavoro a loro poca
importa.
Cgil e Fiom si lamentano nei congressi e sulle pagine dei
giornali ma non fanno nulla di concreto per opporsi al Governo. Landini, che
ora accenna qualche critica a Renzi perché capisce che la riforma del lavoro è
troppo anche per lui, gioca di sponda col premier per mettere in difficoltà la Camusso e forse scalzarla
dalla segreteria, se non subito almeno in tempi non troppo lontani.
Chi si stupisce nel vedere il leader più di destra
nella storia recente del Pd flirtare col leader più a sinistra
della Cgil, non capisce che a entrambi non importa nulla dei lavoratori e degli
sfruttati, e che Landini, come Renzi, si preoccupa solo delle proprie ambizioni
personali e di come la parte di burocrazia sindacale che dirige possa scalzare
dai vertici quella legata ai vecchi leder dei Democratici.
In presenza di un sostanziale coro unanime favorevole al
Governo, non stupisce che, secondo molti sondaggi, questo goda della fiducia
anche di quei settori della popolazione che, fuor di retorica e propaganda,
saranno duramente colpiti dalle decisioni dell’esecutivo.
La disperazione di fronte a una crisi che pare senza fine,
il voler credere in soluzioni rapide e veloci, una demagogica propaganda
anti-casta (che è solo fumo e niente sostanza come le riforme di Senato e
Province dimostrano) fanno sì che il sostegno al Governo sia molto alto.
Il clima sociale si appresta a cambiare
Ma come anche i migliori sogni finiscono col risveglio,
così la moderna demagogia del Premier farà, a breve, i conti con la
realtà. Da più parti si ammette che il 2014 sarà ancora un anno molto duro, che
non vedrà nessun miglioramento per i lavoratori, né in termini di occupazione
né per ciò che riguarda il potere di acquisto dei salari.
I rischi sempre più concreti di deflazione (riduzione
generalizzata di prezzi, risparmi, proprietà ecc), l’avvicinarsi del giorno in
cui il fiscal compact andrà a regime, col relativo taglio di 50 miliardi
di euro l’anno per i prossimi venti anni nel campo del welfare pubblico,
c’inducono a pensare che la, relativa, pace sociale di cui padroni e governi
italiani hanno potuto beneficiare negli ultimi anni sta per finire.
Le avanguardie sindacali e di lotta presenti in Italia
devono essere consapevoli del compito che spetta loro: organizzare e coordinare
tra loro i lavoratori per far sì che siano pronti quando il tempo della resa
dei conti fra padroni e proletari arriverà, perché questo momento è sempre più
vicino.






















