Il quadro politico italiano
dopo le regionali in Emilia e Calabria
Significato dell’astensione e del risultato elettorale
di Valerio Torre
Le elezioni regionali
appena svoltesi in Emilia Romagna e Calabria ci consegnano un quadro su cui
occorre avanzare un’analisi di classe.
Il dato che è emerso
prepotentemente è stato quello relativo all’astensionismo. In realtà, tutti gli
analisti (e gli stessi dirigenti dei partiti) hanno sottolineato quest’elemento,
ma con l’intenzione – sia pur lanciando “l’allarme” – di depotenziarlo per non
essere costretti a porre l’accento sull’unica conclusione che logicamente avrebbe
dovuto trarsi: e cioè che, non solo i partiti premiati dal risultato elettorale,
ma anche quelli sconfitti, sono totalmente delegittimati dal risultato dell’affluenza
alle urne.
Quelli più
interessati a “coprire le vergogne” di questo esito hanno fatto riferimento all’incidenza
che ha avuto in Emilia l’inchiesta giudiziaria che ha travolto la giunta
uscente, glissando però sul fatto che lo stesso ragionamento non poteva essere
fatto per la Calabria, anch’essa accomunata nel fenomeno astensionistico. Altri
si sono spinti un po’ più in là, parlando di “disaffezione al voto”, quasi si
trattasse di un processo fisiologico giunto all’acme.
Quei settori del Pd maggiormente
legati a una politica più “tradizionale” hanno avvertito la dimensione di un’astensione
così di massa (ad esempio, Prodi ha accennato a una sconfitta della democrazia
parlando di “segnali di malessere” [1]); mentre quelli che ne rappresentano la “faccia
nuova”, i c.d. “rottamatori”, hanno sorvolato sul dato del non voto,
evidenziando invece il risultato favorevole (Renzi l’ha buttata sul calcistico:
“Abbiamo vinto 2-0” sostenendo che la bassa affluenza era un “problema
secondario” [2]; la Boschi si è premurata di sottolineare che non si trattava
di “un test sul governo” [3]).
Noi pensiamo invece
che, proprio perché si è votato in due regioni tanto diverse tra loro per
tradizioni e per struttura economica, sociale e politica, e soprattutto perché
si è votato in una fase socio‑politica come quella attuale, si è trattato di un
test con valenza nazionale.
Lo sconcertante dato numerico dell’astensionismo e il suo significato
In Emilia ha votato
il 37,7% degli elettori. Alle regionali del 2010 i votanti erano il 68,06%,
mentre alle europee dello scorso maggio erano il 69,99% e alle politiche del
2013 l’82,10%: come si vede, un crollo vertiginoso. Per avere un termine di
paragone, i voti presi dal solo Vasco Errani alle scorse regionali (1.197.789)
per essere eletto presidente della regione erano di poco inferiori a tutti
i votanti di questa tornata (1.304.841). I consensi per la coalizione Errani
erano quasi il doppio di quelli assegnati oggi alla coalizione Bonaccini
(1.095.604 contro 597.185).
In Calabria ha votato
il 44,8% degli elettori. Alle regionali del 2010 i votanti erano il 59,26%,
mentre alle europee dello scorso maggio erano il 45,77% e alle politiche del
2013 il 63,15%. In questo caso, si può notare che la discesa è meno brusca e
più costante, quasi progressiva. Ma non può negarsi che il dato sia
sostanzialmente in linea con quello emiliano. Per l’Emilia la caduta è più
allarmante considerato che si tratta di una regione più “disciplinata” dal
punto di vista del controllo sociale da parte del “partito‑istituzione”, cioè
il Pd (e prima dei Ds, Pds, fino a risalire al vecchio Pci).
È nostra opinione,
invece, che siamo in presenza di una – sia pure incipiente – “crisi di regime”.
Un astensionismo così di massa, nel quadro della dinamica sociale dell’attuale
fase (caratterizzato dall’aumento della povertà, dal persistere di una crisi
economica di cui il proletariato non vede la fine, dallo scontro tra il governo
– che è costretto ad acuire le proprie manovre a danno dei lavoratori e delle
fasce popolari – e i sindacati, dalle manganellate ai lavoratori, dalla
manifestazione della Cgil, dallo sciopero sociale del 14 novembre e dalla
manifestazione della Fiom del 21), non può essere ritenuto, né “fisiologico”,
né espressione di “disaffezione al voto”, ma rappresenta invece un vero e
proprio rifiuto della classe politica nella sua interezza, addirittura
connotato da “disprezzo” popolare, che si manifesta attraverso lo specchio
deformato delle elezioni. Il fatto che in Emilia settori della Fiom e della
stessa Cgil abbiano dato indicazione di non voto per il Pd la dice lunga su
quanto profonda sia l’incrinatura fra i lavoratori e quel sistema di potere che
prima ne deteneva il controllo.
Allo stato,
ovviamente, questo rifiuto connotato da disprezzo si incanala nel negarsi a
legittimare le burocrazie politiche, comprese – come vedremo – quelle che
avevano denunciato la “casta” traendone visibilità e vantaggio (M5S). E dunque,
si indirizza verso un rifiuto della partecipazione politico‑istituzionale. In
ultima analisi, verso il qualunquismo. Ma ciò non significa che questo tipo di
coscienza si manterrà “stabile” nel tempo: la crisi economica può facilmente
farla evolvere in altro senso. Insomma, ciò dipenderà dalla dinamica della
lotta di classe.
L’esito del voto
I risultati numerici
delle varie forze politiche ci parlano di una vera e propria loro disfatta, più
o meno accentuata in un caso o nell’altro.
In Emilia il Pd passa
dagli 857.613 voti delle precedenti regionali agli attuali 535.109. Alle
europee del maggio scorso ne aveva avuti 1.212.392 e alle politiche del 2013
989.810 (le europee registravano “l’effetto Renzi”). Forza Italia è annichilita
(100.478 voti di oggi contro i 518.108 delle precedenti. Europee: 271.951.
Politiche: 434.534). La Lega registra l’iperattivismo e il cambio totale di
linea politica di Salvini, doppiando FI (233.439 voti di oggi: in perdita
rispetto alle precedenti regionali, quando ne aveva avuti 288.601, ma
recuperando notevolmente rispetto alle europee – 116.394 – e, soprattutto,
rispetto ai 69.108 delle politiche). Grillo registra una cocente sconfitta,
precipitando quasi ai livelli della sua prima partecipazione al voto, proprio
nella regione che lo aveva proiettato alla ribalta nazionale (159.456 voti di
oggi rispetto ai 126.619 del 2010. Ma alle politiche del 2013 aveva avuto
658.475 voti, scesi a 443.936 delle europee del maggio scorso).
Venendo alla sinistra
riformista, la lista Tsipras in salsa emiliana (L’Altra Emilia Romagna) riesce
ad eleggere – proprio grazie all’astensionismo che ne ha fatto risaltare la
percentuale – un consigliere, scattato in virtù della percentuale della
candidata presidente (4%), mentre la lista ha avuto solo il 3,71%, cifra che
non avrebbe permesso da sola l’elezione. I voti di lista sono stati 44.676,
mentre alle precedenti regionali Rifondazione e Pdci avevano avuto 58.943 voti.
Alle europee la Lista Tsipras aveva preso 93.964 voti contro i 51.630 della
Lista Ingroia delle politiche del 2013.
Come si vede, quel
che resta di Rifondazione non solo non intercetta minimamente il malcontento
popolare, ma viene accomunato nel giudizio negativo dell’elettorato sull’insieme
delle forze politiche. Il dato numerico conferma, anche elettoralmente, la
nostra analisi sulla crisi del Prc [4], che tra l’altro proprio in Emilia ha
subito l’antipasto della futura scissione grassiana, con settori della stessa
area Grassi passati con Sel per poter appoggiare il candidato del Pd. Va
aggiunto, peraltro, che L’Altra Emilia Romagna ha beneficiato sia del consenso
di settori dell’elettorato Pd in disaccordo con la politica del proprio partito
[5], sia del voto di parte della Fiom e della sinistra Cgil (a conferma della
divaricazione che si approfondisce tra una parte delle burocrazie sindacali e il
partito di Renzi), sia infine del sostegno di Ross@, che, incapace di varare
una propria lista, ha dichiarato l’appoggio elettorale a quella che si richiama
a Tsipras [6].
Dal canto suo, Sel
conferma (38.845) i voti del 2010 (37.698), mentre alle europee era nella Lista
Tsipras: come si vede, il dato numerico del maggio scorso della Lista Tsipras risulta
pressoché confermato dalla somma dei consensi di Vendola e di Ferrero alle
regionali di oggi (con un saldo negativo, però, di oltre 10.000 voti). Perde
rispetto alle politiche del 2013 (77.312 voti).
In Calabria, il
quadro appare sostanzialmente identico. Il Pd recupera qualcosa rispetto alle
precedenti regionali (185.097 voti di oggi contro i 162.081 del 2010), ma perde
rispetto alle europee (267.736) e alle politiche (209.379). Forza Italia passa
dai 271.581 voti del 2010 ai 95.979 di oggi; alle europee aveva avuto 146.677
voti e alle politiche del 2013 222.671. Il M5S ottiene oggi solo 38.231 voti
contro i 160.828 delle europee e i 232.811 delle precedenti politiche (non era
presente alle regionali scorse). Comunque, non elegge alcun consigliere a causa
dell’altissima soglia di sbarramento (8%).
L’Altra Calabria
(Tsipras) ottiene 10.043 voti, mentre il Prc nel 2010 ne aveva avuti 41.520.
Alle europee la Lista Tsipras aveva avuto 31.524 voti e alle politiche del 2013
la lista Ingroia 27.272. Da notare che i grassiani in Calabria sono confluiti
in una lista unitaria con Sel (“La Sinistra”) che ha avuto 34.109 voti
eleggendo un consigliere. Alle scorse regionali, Vendola aveva avuto 38.581
voti in alleanza col Psi; alle europee era nella Lista Tsipras e alle politiche
del 2013 aveva avuto 39.129 voti.
Quali prospettive per i lavoratori?
Come sempre diciamo,
le elezioni altro non sono se non uno specchio deformato della realtà politica.
E le elezioni regionali che stiamo commentando lo confermano in pieno.
Non intravedendo altro
mezzo per esprimere il loro protagonismo politico, i lavoratori e in genere il
proletariato hanno inteso “colpire” le classi dominanti con la non
partecipazione a quello che, seppur confusamente, percepiscono essere un gioco
truccato: le elezioni. E lo hanno boicottato.
Benché, come dicevamo
all’inizio, le classi dominanti cerchino di sminuire il significato di un
astensionismo così massiccio, non se ne può negare l’effetto di
delegittimazione di un intero ceto politico, di ogni colore: il “sacro valore”
della democrazia rappresentativa borghese ha indubbiamente subito un colpo
violento.
Ma è del tutto
evidente, da un punto di vista di classe, che una simile risposta da parte
delle masse popolari è del tutto insufficiente per cambiare lo stato di cose.
La strada giusta ce
la indicano, ad esempio, le contestazioni da parte di settori di avanguardia a
Renzi e i suoi ministri in occasione delle vetrine organizzate per esibire
l’azione di governo e guadagnarle un’improbabile legittimazione popolare, mentre
il premier è costretto ad auspicare la fine per consunzione delle proteste [7].
Ce la indicano, ad esempio, le manifestazioni di massa organizzate dalla Cgil
il 25 ottobre e dalla Fiom il 21 novembre, che però non sono uscite dai limiti imposti
da burocrazie sindacali che non hanno alcuna intenzione di rompere davvero, da
un versante di indipendenza di classe, col governo e i partiti che lo
sostengono. Ce la indicano lo “sciopero sociale” del 14 novembre e i diversi
focolai di lotta che pure si stanno sprigionando in Italia, ma che non trovano
il “collante” giusto per unificarsi e acquisire una dimensione di massa in
grado di far fare un salto di qualità allo scontro col governo e i suoi
apparati repressivi [8].
Il “segnale” lanciato
con l’astensionismo di massa deve dunque trasformarsi in un’aperta lotta per il
potere, in cui i lavoratori, acquisita la consapevolezza che non è possibile un
reale cambiamento della società attraverso la finta democrazia borghese,
rovescino le classi dominanti e assumano direttamente il governo del Paese e
del proprio destino.
Note
[1] Http://tinyurl.com/mz4a349. Oppure: http://tinyurl.com/o5vlyf5.
[2
] Http://tinyurl.com/ogmhk2y e http://tinyurl.com/l34u94v.
[3] Http://tinyurl.com/ln6azm2.
[4] Su questo sito e sul nostro giornale, Progetto comunista, si possono trovare molti articoli su quest’argomento.
[5] Http://tinyurl.com/pzbj52m.
[6] “Regionali. Ross@ si ritira: ‘Votiamo Tsipras’”. (http://tinyurl.com/n8jjw9o).
[7] “I contestatori si stancheranno” (http://tinyurl.com/pu86x3u).
[8] Un lodevole e riuscito tentativo, benché ancora embrionale, si è avuto con l’assemblea dell’8 novembre a Firenze, copromossa dal Coordinamento No Austerity (http://tinyurl.com/mvqu2qt) su una piattaforma di lotta unificante contro il c.d. “accordo vergogna”, il Jobs act, la legge di stabilità e le leggi razziste in vigore.






















