Ucraina
Solo la continuazione della rivoluzione operaia e popolare
può salvare il Paese dalla catastrofe
dalla Redazione del sito web della Lit-Quarta Internazionale
Nel novembre 2013 esplose la rivoluzione in Ucraina
contro la politica repressiva di Yanukovich e i suoi tentativi di stabilire una
dittatura oligarchica svendendo l’indipendenza del Paese.
Gli
imperialismi di Usa e Ue da un lato, e il regime di Putin dall’altro,
nonostante siano forze controrivoluzionarie in collaborazione a livello globale,
si sono divisi sui metodi per soffocare la rivoluzione ucraina. I governi degli
Usa e dell’Ue volevano evitare la repressione diretta della rivoluzione perché
avevano paura di aggravare così la situazione e preferirono il cammino della
reazione democratica, cioè soffocarla poco a poco utilizzando i procedimenti
borghesi tradizionali come le elezioni. Per questo erano obbligati a flirtare
con la rivoluzione. Tuttavia, finirono per usare la carota e il bastone.
Putin,
il cui regime autoritario è incompatibile con qualsiasi azione popolare
indipendente, compreso il pluralismo borghese parlamentare, puntava sulla
repressione diretta della rivoluzione e, in questo quadro, calunniava le enormi
manifestazioni di piazza Maidan come “cospirazione degli Usa”
Anche
Putin comprese bene che, nel gioco della democrazia borghese, l’imperialismo,
finanziariamente molto più forte di lui, sarebbe stato il vincitore. Questo
avrebbe implicato la perdita dell’Ucraina, cioè, una sconfitta politica enorme,
nel suo stesso “cortile”. È la stessa differenza che hanno avuto rispetto alla
rivoluzione in Siria, e a quelle arabe in generale.
Il
compromesso delle distinte forze borghesi è stato l’accordo comune di Ue, Usa,
Putin, Yanukovich e opposizione ucraina del 21 febbraio 2014, che manteneva
Yanukovich alla presidenza fino alle prossime elezioni, per farla finita con il
processo di Maidan. Ma questo accordo controrivoluzionario è stato gettato
nella spazzatura dalla gente in rivolta. Dopo un nuovo tentativo fallito di
schiacciare Maidan, il governo oligarchico di Yanukovich cadde, caduta che è
stata una grande vittoria del popolo ucraino.
Per
l’imperialismo, con la sua politica flessibile di "reazione democratica",
è stato facile adattarsi alla nuova situazione e si affrettò a avvicinarla,
assumendo ipocritamente la figura di “amico della rivoluzione”. Tuttavia per
Putin cominciò a svilupparsi lo scenario peggiore. L’esplosione dell’azione
delle masse nel Paese vicino, tanto legato storicamente e culturalmente alla
Russia, la caduta dell’alleato di Putin, l’uscita dell’Ucraina dalla sua
portata e la prospettiva di perdere la base militare in Crimea, indicavano un
significativo indebolimento o, anche, l’inizio dell’erosione del suo regime,
basato sulla repressione delle libertà democratiche da un lato, e dall’altro
sui negoziati politici con l’imperialismo, utilizzando il grande peso militare
e politico ereditato dall’Urss, in particolare le sue vecchie repubbliche.
Per
uscire da questo cammino pericoloso, il regime di Putin ha portato un
contrattacco avventurista con l’annessione della Crimea e inglobando l’est
dell’Ucraina, dove voleva mantenere il suo controllo politico per usarlo come
strumento di pressione sul governo ucraino, e mantenere così la sua
partecipazione alla politica interna ucraina.
Sul
terreno istituzionale, il regime di Putin spingeva per la “federalizzazione”,
attraverso i partiti più filorussi e, incontrando la resistenza del potere
ucraino, incoraggiò il potere alternativo [dei separatisti]: le cosiddette
“repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk, proclamate prontamente da alcune
centinaia di persone che non rappresentavano niente e nessuno, e che facevano
leva sul sentimento di rifiuto alle misure economiche promulgate dal governo di
Kiev contro i lavoratori e le masse popolari. Dietro a questa manovra stavano,
di fatto, gli interessi di agglomerati politici di nazionalisti e fascisti
filorussi. Kiev rispondeva nominando i suoi governatori.
Sul
terreno non istituzionale, il Cremlino ha incoraggiato l’attività delle
organizzazioni nazionaliste e fasciste filorusse che speravano nella
ripetizione dello scenario della Crimea e l’ascesa del “mondo russo” per
occupare edifici pubblici. Kiev rispondeva stimolando le azioni dei nazisti del
Pravyi sektor, per cacciare i nazionalisti filorussi. Questi si sono scontrati
a Kharkiv e Odessa e, come risultato, l’attività filorussa è terminata in
queste città. A Donetsk e Lugansk non ci sono riusciti.
Così
sono entrate le armi nelle occupazioni degli edifici pubblici di Donetsk e Lugansk,
da parte delle organizzazioni filorusse, e l’attività degli agenti del Fsb [servizio
di sicurezza federale russo], nell’insieme molto minoritari e isolati dalla
popolazione. Per unificare il popolo attorno a sé, e fermare così la
rivoluzione in corso, Poroshenko rispose inviando l’esercito, che era in uno
stato di decomposizione materiale e morale, con tecnologie vecchie e soldati
che non volevano combattere, per lo meno contro il proprio popolo. Finì con una
sconfitta vergognosa di Poroshenko, che fece appello alla Nato e al Fmi perché
lo aiutassero a recuperare le sue forze armate per un nuovo tentativo. Putin da
parte sua aumentò i rifornimenti ai separatisti.
Per
la Nato la situazione fu il pretesto per rafforzarsi in Ucraina e nell’Europa
dell’est, sotto la copertura della “difesa della sicurezza dell’est europeo di
fronte alla minaccia russa”. Putin ottenne la possibilità di rafforzarsi
politicamente dentro la Russia grazie alla sfrenata isteria sciovinista della
popolazione russa.
Gli
interessi generali che si scontravano possono essere descritti così: per
Poroshenko era recuperare il controllo politico del suo governo sull’est del
Paese e, con la vittoria sperata, rafforzare il proprio potere e indebolire la
rivoluzione. Per Putin era evitare la sua sconfitta politica completa in
Ucraina, mantenere il controllo sull’est ucraino come strumento di influenza
nella politica ucraina e dare un colpo alla rivoluzione ucraina dividendo il
proletariato. Per l’imperialismo era ottenere tutta l’Ucraina, rafforzare e
rendere più dipendente il governo filoimperialista di Poroshenko, mostrare a
Putin che non piò passare le “linee rosse” poste dall’imperialismo e fargli
capire che, in ultima istanza, è solamente l’amministratore della “appendice di
idrocarburi” dell’occidente europeo, dipendente dai prestiti delle sue banche
(è questo il senso delle sanzioni economiche contro la Russia, molto sensibili
per a sua economia). Ciò che qui manca completamente sono gli interessi dei
lavoratori.
I
primi accordi di Minsk non risolsero queste contraddizioni e garantirono solo
una pausa per preparare nuovi tentativi di risolvere la situazione con la forza
militare.
Putin
non ha ceduto e l’offensiva dell’esercito ucraino ha subito una nuova sconfitta
nei confronti dei separatisti riforniti dal regime russo. La ruota della guerra
ha continuato ad accelerare, distruggendo il Paese e sacrificando sull’altare
degli affari e del potere le vite degli ucraini umili. Debaltsevo e Uglegorsk,
assaltate dai separatisti, si sono convertite nel simbolo della barbarie, così
come i bombardamenti di Donetsk e Slavyansk da parte dell’esercito ucraino.
I
media occidentali e russi si sono trasformati in mezzi della guerra di
informazioni, coprendo i propri settori e scaricando sulla parte avversaria gli
atti della propria barbarie, comuni a entrambi, per convincere i lavoratori a
prendere parte per uno dei due campi e legittimare così la “propria” guerra.
Con l’annuncio di Poroshenko sulla mobilitazione militare e le dichiarazioni analoghe dei separatisti, con le dichiarazioni di Merkel e Hollande sulla possibilità di una guerra “di verità”, e lo stesso discorso di propaganda sui media di Putin, questa disputa è arrivata a livelli pericolo, anche per la borghesia
Il passo indietro di Minsk
Giovedì
12 febbraio è stato firmato un accordo di cessate il fuoco tra i leader di
Russia, Ucraina, Germania e Francia a Minsk, la capitale bielorussa. Questo è
il secondo tentativo di raggiungere questo obiettivo dal settembre 2014. Il
documento uscito da Minsk II è stato formalmente avvallato dalle autorità delle
autoproclamate “repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk (Rpd e Rpl).
L’accordo
firmato a Minsk è composto di 13 punti ed è stato possibile in questo contesto
di offensiva separatista. Il punto principale è il cessate il fuoco, che doveva
cominciare il 15 febbraio. Tuttavia questa cessazione delle ostilità è
condizionato a un ripiegamento e alla ritirata di tutto l’armamento pesante a
una distanza di 50 chilometri (per l’artiglieria con proiettili uguali o
superiori a 100 millimetri) e di almeno 140 chilometri per i sistemi
missilistici, a partire dalle “posizioni” attuali di entrambe le parti. Inoltre
dichiara l’amnistia per tutti i separatisti. Sullo “status” delle regioni del
sudest ucraino, si è convenuto di convocare “elezioni locali”, oltre a
garantire una riforma costituzionale in Ucraina, che entrerebbe in vigore prima
della fine del 2015.
L’accordo
di Minsk deve essere rifiutato. Nei fatti, è un passo verso la divisione de facto dell’Ucraina, cioè, verso la
legalizzazione del controllo separatista di Donetsk e Lugansk. Questo si
trasformerebbe in un territorio che, senza essere annesso formalmente dalla Russia, come nel caso della Crimea, sarebbe
controllato da Putin e dai suoi agenti locali.
L’intenzione
dei separatisti, per la via delle armi ed eventualmente per quella diplomatica,
è introdurre punti nella Costituzione o nella legislazione ucraina che
garantiscano uno “status speciale” che va oltre la salvaguardia del famoso uso
dell’idioma russo: puntano a mantenere l’autogoverno dei territori che
controllano da quasi un anno.
Questo
significherebbe avere diritto di determinare e formare per contro proprio “le
strutture del potere regionale”, creare le proprie forze di ordine pubblico,
decentralizzare il sistema di bilancio e fiscale, firmare accordi economici
ecc., secondo quanto afferma El País (1).
Non
si può prevedere se fermeranno la guerra oppure no, questo dipende da molti
fattori oggettivi e soggettivi. Ma, anche se riescono a “congelare” la guerra,
è un accordo delle borghesie in conflitto, per cui le tensioni politiche
continueranno e in qualsiasi momento tutto può ricominciare. E, finché sono
Obama, Merkel, Putin e l’oligarchia ucraina quelli che risolvono i problemi,
non si può sperare in nulla di buono.
Una
guerra può essere giusta quando gli oppressi lottano contro i suoi oppressori.
È, per esempio la guerra della gente a Maidan contro le truppe antisommossa e i
cecchini di Yanukovich. Ma in questa guerra in Ucraina, ora si scontrano
oppressori di differente calibro, è una disputa dei gruppi borghesi per i loro
interessi economici e politici. E tutto il sangue, la distruzione e la barbarie
che hanno già provocato è stata solo una “discussione preliminare” che è
continuata a Minsk, in una tavola con buone portate, a porte chiuse.
Nella
misura in cui i diversi campi borghesi riusciranno ad attrarre dal loro lato i
lavoratori, la rivoluzione subirà un colpo. Al contrario, solo la rivoluzione
ucraina e la solidarietà internazionale con questa possono porre fine a questa
devastazione del Paese.
Cioè
se, prima di tutto, i lavoratori dell’Ucraina, prime vittime della guerra,
riprendono la mobilitazione in maniera unificata contro il governo di
Poroshenko che ha scatenato la guerra contro il suo stesso popolo e che lo
strozza con le riforme imposte dagli Usa e dall’Ue. Se i lavoratori del Donbass
entrano in lotta come forza indipendente, cessando di essere solamente ostaggi
in una disputa inter-borghese.
Se i
lavoratori russi cominciano a superare il loro delirio sciovinista – dato che
stanno già pagando l’avventura di Putin con una caduta del loro livello di vita
– insieme ai parenti che vivono in Ucraina e riconoscono la crescente immagine
della Russia come “Paese aggressivo” per gli ucraini e gli altri vicini, cosa
che li spinge verso l’imperialismo e la Nato per cercare difesa.
Se i
lavoratori europei non riescono a resistere alla propaganda che demonizza la
Russia – cosa che serve solo per coprire i crimini dei maggiori avvoltoi del
mondo, che sono le borghesie imperialiste di Usa e Ue – l’espansione
dell’“imperialismo democratico” e della Nato nell’est europeo continuerà, con
il pretesto della sua “difesa”, e coprirà anche la crescente colonizzazione
della stessa Russia da parte del capitale finanziario europeo e nordamericano.
No
alla guerra! Ue, Usa, Putin, via le mani dall’Ucraina! Né Poroshenko, né
separatisti! Abbasso gli accordi di Minsk! I lavoratori ucraini, con la loro
rivoluzione, devono strappare il loro Paese dalle mani delle potenze straniere
e dell’oligarchia corrotta.
Lavoratori
e masse popolari di Europa e Russia! La possibilità di fermare il gioco
criminale dei vostri governi e strappare il continente alla barbarie in cui
l’hanno gettato i nostri padroni è nelle vostre mani.
(1) http://internacional.elpais.com/internacional/2015/02/14/actualidad/1423920496_939826.html
(traduzione di Matteo Bavassano dall'originale in spagnolo)






















