Terremoto in Turchia: il capitalismo è marcio
A cura della redazione di Kırmızı Gazete*
La mattina del 6 febbraio ci siamo svegliati con un grande disastro. Un terremoto di magnitudo 7,7, che ha avuto come epicentro Pazarcık (Kahramanmaraş), ha avuto effetti devastanti nelle città di Kilis, Diyarbakır, Adana, Osmaniye, Diyarbakır, Adıyaman, Gaziantep, Malatya e Hatay, nel sud della Turchia. A questo è seguito un altro terremoto di magnitudo 7,6 nella stessa regione: un evento raro nella storia della civiltà umana.
Ora, a questa grande catastrofe naturale si è aggiunto l'impatto di un disastro causato dall'uomo. Dopo aver subito uno dei terremoti più devastanti al mondo (1999) e aver «raccolto per 25 anni» tasse speciali dai lavoratori di questo Paese per non essere seppelliti nuovamente sotto le macerie, il capitalismo turco dopo 25 anni ha consegnato alla popolazione di questa terra il nulla.
Il carattere particolare di questo disastro non deriva solo dall'entità delle perdite. Questo terremoto rivela con straordinaria chiarezza il «marcio» della natura socio-economica del capitalismo turco.
Le classi dirigenti della Turchia sanno da 35 anni che questa zona geografica è piena di linee di faglia distruttive. Tuttavia, non hanno mancato di costruire case di grandi dimensioni, ma non a prova di terremoto; e hanno continuato a costruire città non pianificate con cura a causa del loro capitalismo malavitoso, iniquo e spietato, in particolare in Anatolia. Le tasse sui terremoti raccolte tra il 1999 e il 2021 ammontano a 83 miliardi di lire turche in totale, 38,2 miliardi di dollari con il tasso di cambio di quell'anno! Ben 730 miliardi di lire turche in moneta odierna.
E a noi non resta un bel niente...
I nostri lavoratori continuano ad aspettare, con le mani legate, una probabile catena di disastri che si verificheranno in futuro. Lavoratori: non siete stanchi che questo Stato, che glorifica sé stesso, sia considerato solo una macchina da guerra? Stiamo attraversando una crisi multiforme e distruttiva causata dal capitalismo turco...
Questa crisi ci conduce a un bivio. Questo bivio è strettamente legato al problema di come utilizzare le risorse prodotte nel Paese. Permetteremo che ciò che ci appartiene venga saccheggiato dalle classi dirigenti turche, che non sono altro che un parassita che ci prosciuga? Oppure intendiamo utilizzarle per aumentare il benessere della società sulla base di un'economia pianificata e sotto il controllo dei lavoratori?
*Periodico diretto da compagni della Lit-Qi in Turchia
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