Partito di Alternativa Comunista

La Tunisia e le nuove ondate del processo rivoluzionario

La Tunisia e le nuove ondate del processo rivoluzionario

 

 

di Tamer Kormar

 

 

 

In Tunisia, a dieci anni dalle rivoluzionarie rivolte arabe, che si erano accese in questo Paese a partire dal 2010, i diritti democratici sono stati raggiunti ad un livello soddisfacente se comparati alla situazione del precedente regime dittatoriale di Ben Ali. Tuttavia, il problema principale per cui le masse si erano in primo luogo mobilitate, cioè le contraddizioni socioeconomiche, esiste ancora, e la questione della giustizia sociale non è affatto risolta.
Fin dall’inizio del 2021, le proteste di massa hanno invaso le strade in diverse città, tra cui la capitale (Tunisi). Le autorità sostengono che queste proteste sono semplici rivolte, dettate dal secondo fine di infrangere il coprifuoco e le misure governative imposte per fronteggiare il Coronavirus.
In realtà, le uniche principali e sincere ragioni alla base di queste proteste sono la povertà, la disoccupazione e la richiesta della giustizia sociale. Le statistiche mostrano che i tassi di disoccupazione, in Tunisia, sono aumentati dal 13% nel 2010 al 16,2% nel 2020, e hanno raggiunto il 35,7% tra i giovani. In aggiunta a ciò, il Paese ha registrato una recessione economica del 9%, un deficit di bilancio del 13,4%, e un debito estero vicino al 90% del Pil.
Questa decadente situazione economica è il risultato dell’azione del sistema islamico borghese di Al-Nahda e dei loro laici alleati all’interno dello stesso regime borghese che controlla il Paese dal rovesciamento del dittatore. Il primo ministro Hisham Al Mishishi ha iniziato il suo mandato con un compromesso con il presidente del parlamento Rashid Al Ghannouchi (Al Nahda), che ha portato a un rimpasto nel governo, al fine di sbarazzarsi degli attori legati al presidente populista della repubblica Quais Saed. Le masse riconoscono che i loro problemi economici causati da Al Nahda rimarranno gli stessi, oppure peggioreranno.
I partiti politici della borghesia (sia islamici che laici) avevano combattuto per il potere senza affrontare i problemi economici che avevano acceso le rivolte arabe a partire proprio da questo Paese. Le masse, quindi, stanno cercando di riportare il corso della rivoluzione sulla giusta strada. Il nucleo di questa rivoluzione è rappresentato dal famoso slogan arabo: «Pane, Libertà e Giustizia Sociale», che né la borghesia islamica né quella laica hanno interesse a fare proprio.
Secondo molti osservatori, la rivoluzione tunisina è considerata l’unica rivoluzione vittoriosa, che non è stata sconfitta da una controrivoluzione o sottratta dalle forze imperialiste o capitaliste locali. Ma, in realtà, anche questa rivoluzione non ha ancora raggiunto i suoi principali obiettivi, ed è ancora influenzata dalle potenze regionali e internazionali. Di conseguenza, il nuovo regime continua a rappresentare gli interessi della borghesia e, pertanto, la classe operaia non ha altra scelta se non quella di portare avanti la rivoluzione in corso. L’attore principale che può organizzare e guidare le nuove proteste sono i sindacati e i nuovi movimenti della sinistra giovanile.
I diritti democratici e le libertà individuali non sono l’unico e più essenziale scopo delle masse tunisine e arabe. Il pane e la richiesta della giustizia sociale erano e rimangono le rivendicazioni centrali di queste rivolte in corso, che hanno iniziato la loro prima ondata nel 2010, hanno continuato la loro seconda ondata alla fine del 2018 (Sudan, Algeria, Iraq e Libano) e una terza ondata è ora prevista in Tunisia, Giordania, Marocco (le monarchie che finora sono riuscite ad adattarsi a queste onde rivoluzionarie).
Anche i diritti umani, come il diritto d’espressione, non sono totalmente garantiti dal regime borghese dominante in Tunisia. La violenza della polizia contro le recenti proteste mostra il brutale approccio di una tale classe dirigente liberale. Il numero di detenuti politici ha raggiunto circa 900 attivisti, la stragrande maggioranza dei quali giovani. Così, oltre alle rivendicazioni economiche, le masse chiedono il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli attivisti imprigionati.
Tunisi non ha subito una guerra civile o un colpo di Stato militare controrivoluzionario dopo la rivolta del 2010. Tuttavia, l’obiettivo di questo processo rivoluzionario non potrà mai essere raggiunto sotto un governo borghese, anche se fosse riformista “democratico”. La presa del potere da parte della classe operaia è l’unico modo per un reale sistema alternativo, nel quale tutte le contraddizioni sociali ed economiche possano essere risolte. Tuttavia, il problema principale in Tunisia e nel resto dei Paesi arabi rimane lo stesso: l’assenza del partito operaio d’avanguardia.
Al contempo, l’assenza di un partito socialista alla direzione non implica la sconfitta inevitabile di queste rivolte rivoluzionarie in corso. I fattori oggettivi promuovono questo processo rivoluzionario, sorgono nuovi movimenti giovanili attraverso i quali le masse possono imparare dalla propria esperienza. È necessario un sostegno internazionale incondizionato a queste nuove formazioni giovanili emerse, così come ai sindacati delle masse. Ciò che la Tunisia testimonia oggi mostra senza dubbio che le masse continueranno con nuove ondate rivoluzionarie e che le misure riformiste borghesi non saranno mai sufficienti.

 

[Traduzione dall’inglese di Ines Abdelahmid]

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