Il massacro di Charlie Hebdo
e l'aumento dell'islamofobia
di May Assir e Gabriel Huland
Parigi
ha subito, lo scorso mercoledì 7 gennaio, quello che viene considerato il più
grave attentato terroristico in Francia dal 1961, quando l'OAS (Organisation de
l'Armée Secrète, una organizzazione di estrema destra contraria
all'indipendenza dell'Algeria) piazzò una bomba in un treno della linea
Parigi-Strasburgo, uccidendo 28 persone.
L'assassinio
di quasi tutta la redazione della rivista satirica francese Charlie Hebdo
(12 persone) è stato definito dalla stampa parigina come l'11 settembre
francese, del quale si potrà parlare di un prima e di un dopo. Un giornalista o
un vignettista non dovrebbero mai essere sotto minaccia di morte, anche se non
siamo d'accordo con le loro opinioni, ma soggetti alla critica e al dibattito.
I
terroristi che affermavano di essere di al-Qaeda, non hanno sparato solo contro
i dodici che erano nella redazione, ma contro l'intera comunità musulmana in
Francia e in Europa. Hanno acceso la miccia della legittimazione
dell'islamofobia e di nuove “leggi antiterroriste” in tutto il vecchio
continente. I leader dei principali Paesi imperialisti, con Hollande in testa,
hanno condannato l'attacco in nome della “libertà di espressione e dei valori
repubblicani”. L'estrema destra razzista e xenofoba, che è uscita rafforzata
dalle elezioni europee, è scattata in Francia, Germania, Inghilterra e Olanda
chiedendo misure repressive contro l'immigrazione e a favore della pena di
morte.
L'attentato
apre un nuovo scenario che sarà strumentalizzato dai governi e dall'estrema
destra per attaccare i diritti fondamentali dei più oppressi della classe
lavoratrice europea, gli immigrati. Il mondo civilizzato dovrà “proteggersi
dalla barbarie jihadista” e per questo alcuni dovranno pagare il conto e
servire da capro espiatorio. Tempi difficili si avvicinano.
L'ipocrisia dei governi imperialisti
I
governi di tutto il mondo, compresi gli USA, la Francia e lo Stato Spagnolo,
fanno dichiarazioni “in difesa della libertà di espressione e della
tolleranza”. Di fatto, il primo ministro francese ha chiamato il popolo
francese ad alzare la sua voce per “i valori della democrazia, la libertà e il
pluralismo”, oltre a difendere l'“unità nazionale” contro il terrorismo.
Hollande, che si presume essere democratico, è quello che mantiene le truppe in
Mali e che non permette alle donne musulmane di indossare il velo nelle scuole
pubbliche francesi.
Da
parte sua, anche il Governo del PP, che ha vietato il referendum in Catalogna,
ha approvato la legge bavaglio e consente centinaia di sfratti al giorno, è
salito sul carro della “libertà di espressione”. Rajoy ha partecipato insieme
alla Merkel, a Cameron, Renzi, Hollande, Netanyahu e altri capi di stato, alla
manifestazione contro il terrorismo tenutasi a Parigi domenica scorsa. Nello
Stato Spagnolo, la prima misura annunciata dal ministro dell'Interno, Jorge
Fernandez Diaz dopo gli attentati è stata quella di alzare di un grado il
livello di allerta antiterrorista, passando dal livello 2 al 3. Questo
significherà più polizia per le strade.
La
bandiera della “libertà” selettiva l'ha sventolata anche Netanyahu, primo
ministro dello Stato di Israele, sostenendo che “il terrorismo cerca di
distruggere la cultura della libertà” quando egli è il rappresentante di una
colonia che solo nell'ultima operazione militare contro Gaza ha ucciso oltre
2000 palestinesi.
La reazione dell'estrema destra europea
La
popolazione immigrata non solo si trova a dover resistere a questi attacchi da
parte di questi governi, è anche incolpata dai partiti di estrema destra “per
la mancanza di lavoro” e l'aumento dell'insicurezza. Marine Le Pen, il cui
partito è in testa nelle intenzioni di voto in Francia, già nel 2013 dichiarava
che “non c'è posto per gli immigrati in Europa”. Oltre a difendere un
referendum sulla pena di morte, abolita nel 1981 dall'allora presidente
François Mitterrand, la leader del Fronte Nazionale ha dichiarato che
“l'islamismo radicale è un ideologia mortifera”.
Nigel
Farage, capo del partito britannico UKIP, ha affermato che “l'ossessione di
fomentare una società multiculturale in Europa ha creato una quinta colonna in
occidente”. Geert Wilders, leader xenofobo olandese, ha detto che l'islam
“cerca di sottomettere tutto il mondo alla sharia” e che quello che è successo
a Parigi “è solo l'inizio”.
Allo
stesso ritmo di crescita di questi partiti crescono i movimenti anti-islamici
come Pegida (Patrioti Europei contro l'Islamizzazione dell'Occidente) in
Germania, che già nella sua ultima manifestazione ha raggiunto, prima
dell'attentato a Parigi, la cifra di 18.000 partecipanti. Pegida non è l'unico
partito xenofobo in Germania. Anche l'NPD e il recentemente creato Alternativa
per la Germania (AfD) agiscono liberamente nel Paese, partecipando, perfino
alle elezioni. L'AfD ha sette seggi al Parlamento Europeo.
Attacchi islamofobici e misure repressive in Europa
I
ministri degli Interni di diversi Paesi europei e rappresentanti di USA,
Turchia, Israele, tra gli altri; si sono riuniti nella capitale francese e
hanno annunciato le prime misure di un piano “antiterrorismo” che in realtà
significherà un grande attacco alle libertà democratiche e l'aumento
dell'islamofobia.
Hanno
concordato “estesi controlli” di alcuni passeggeri e il coordinamento con le
aziende Internet per impedire contenuti connessi al terrorismo. Il 18 febbraio,
si terrà a Washington un summit internazionale contro il terrorismo. Il
ministro degli Interni francese ha difeso l'ipotesi di maggiori restrizioni del
sistema Schengen sul controllo dei passeggeri alle frontiere.
Dopo
l'attentato sono stati attaccati in Francia più di tre locali gestiti da
musulmani e la mattina di sabato 10 gennaio sui muri di una delle moschee di
Madrid sono apparse scritte incitanti i musulmani ad andare via dalla Spagna e
nelle quali venivano chiamati “cani”.
Di
fronte a questa escalation razzista ribadiamo l'importanza della distinzione
tra la popolazione musulmana e i fascisti intolleranti che hanno fatto
irruzione nella sede di Charlie Hebdo sparando indiscriminatamente
contro chiunque gli si frapponesse. Tanto che uno dei poliziotti uccisi, Ahmed
Merabat, che difendeva la sede della rivista, era musulmano. Questa distinzione
è così chiara che è facile sottolineare come siano già state convocate decine
di manifestazioni in tutta Europa, da parte di collettivi islamici, di condanna
di questo attentato.
Ricordiamo,
inoltre, che quelli che più subiscono i colpi di questo fascismo intollerante
sono i milioni di musulmani terrorizzati dallo Stato Islamico in Iraq, da Boko
Haram, che recentemente ha ucciso più di 2.000 persone in Nigeria, e anche i
governi che hanno preferito e preferiscono uccidere tutta la loro popolazione
piuttosto che arrendersi alla lotta rivoluzionaria delle masse popolari, come
in Siria o in Egitto. Molti di coloro che sono torturati da agenti della CIA a
Guantanamo o coloro che muoiono per mano dello Stato di Israele sono musulmani.
L'occupazione coloniale francese in Nord Africa e Medio Oriente
È
impossibile capire gli eventi dello scorso mercoledì 7 gennaio senza tornare
indietro e analizzare la politica coloniale dell'impero francese dopo la Prima
Guerra Mondiale, quando l'Inghilterra e la Francia si divisero il Medio Oriente
con gli accordi di Sykes-Picot. Marocco, Algeria, Siria e Libano (che non
esisteva fino ad allora) si trovarono sotto occupazione militare francese. La
politica dell'imperialismo francese fu quella di instaurare dei governi
autoritari, non consentire lo sviluppo indipendente di questi Paesi e mettere
tutta la loro economia al servizio degli interessi della metropoli.
Durante
la guerra di liberazione d'Algeria (1954-1962) si stima che circa un milione di
algerini furono crudelmente assassinati dall'esercito francese (il quale
impiegò più di cinquecentomila soldati nel Paese) con il pretesto che
appartenevano al FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) o collaboravano con la
resistenza. L'emblematica battaglia di Algeri è stata una delle più sanguinose
nella storia recente e una delle pratiche comuni delle forze francesi era
sfilare per le strade della capitale algerina con le teste dei guerriglieri del
FLN decapitati.
La
già citata OAS, fu un'organizzazione terroristica francese di estrema destra
guidata dal generale Raoul Salan. Arrivò a contare su più di mille uomini
armati e tremila membri in Algeria e in Francia. Lottava contro l'indipendenza
dell'Algeria e fu responsabile di un gran numero di attacchi contro civili
disarmati, così come alle istituzioni francesi e algerine in Europa e nel
Maghreb.
Niente
di tutto questo giustifica l'attentato, ma aiuta a capire la mentalità di molti
giovani musulmani, che, in mancanza di alternative coerenti di lotta, sono
facilmente reclutati dai gruppi terroristici che dicono di agire in difesa
dell'islam contro la barbarie occidentale.
Je suis Charlie?
Migliaia
di attivisti hanno mostrato la loro solidarietà alle vittime dell'attentato
pubblicando la scritta “Je suis Charlie” (Io sono Charlie) sui social network.
Ribadiamo l'importanza della condanna da parte dei lavoratori e delle
lavoratrici di questo tipo di azioni dimostrando la massima repulsione.
Condanniamo
l'assassinio dei disegnatori ma non ci identifichiamo col contenuto della loro
rivista. Proprio perché siamo d'accordo con la libertà di espressione
critichiamo le vignette e le copertine islamofobe che sono state pubblicate da Charlie
Hebdo in Francia, dove i musulmani rappresentano circa il 10% della
popolazione. Pur essendo satira pensiamo che alcune di queste vignette (per
esempio un egiziano che viene crivellato di colpi con un Corano tra le mani,
alludendo al massacro commesso dalla giunta militare egiziana nel 2013) sono
offensive e fomentano il razzismo. Per questo, anche condannando l'attentato,
“non siamo Charlie”.
No all'unità nazionale
La
lotta contro il fanatismo religioso è inseparabile dalla lotta contro il
razzismo, contro il colonialismo, contro lo sciovinismo e il patriottismo,
contro il militarismo e l'uso della polizia contro i poveri, i giovani e gli
immigrati. È anche inseparabile dalla lotta contro l'oppressione delle
minoranze, contro tutto il conservatorismo e la reazione che il capitalismo
alimenta.
La
battaglia contro il terrorismo e l'islamofobia non può essere portata avanti
mediante la realizzazione dell'“unità nazionale”, come propongono Hollande e
l'UE, ne con un governo che continua l'offensiva contro i lavoratori, rafforza
le misure di esclusione della popolazione immigrata, applica tagli e
flessibilizza il mercato del lavoro.
Solo
la mobilitazione dei lavoratori e dei giovani può difendere le libertà
democratiche e sconfiggere il terrorismo. L'unità delle organizzazioni del
movimento operaio deve, anche su questa questione, imporsi, creando un campo
indipendente dal governo, dalle istituzioni della V Repubblica e dai partiti
della borghesia.
Di
fronte all'aumento dell'islamofobia gridiamo: Nativa o straniera la stessa
classe operaia!
Traduzione di Giovanni "Ivan" Alberotanza dell'originale in spagnolo, pubblicato sul sito della LIT-Quarta Internazionale






















