Partito di Alternativa Comunista

Ferma condanna delle esecuzioni in Iran!

Ferma condanna delle esecuzioni in Iran!

 

 

 

di Alejandro Iturbe

 

 

Nella prima settimana di gennaio, il regime dittatoriale iraniano ha giustiziato per impiccagione Mohammad Mahdi Karami e Seyed Mohammad Hosseini, rei di aver partecipato alle proteste esplose nel Paese a partire dallo scorso settembre. Il processo con cui sono stati condannati è stato definito «vergognoso» dalle organizzazioni per i diritti umani.
Queste esecuzioni sono l'ultima espressione della dura repressione con cui il regime dittatoriale degli Ayatollah ha risposto alle proteste e alle richieste dei manifestanti. È difficile avere dati precisi sulle conseguenze di questa azione repressiva perché il governo non dà informazioni attendibili. Secondo le informazioni pubblicate dall'Agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani (Human Rights Activists’s News Agency), dall'inizio delle manifestazioni «19.262 persone sono state arrestate» e «almeno 516 manifestanti sono stati uccisi da allora, tra cui 70 bambini» (dati del 7 gennaio: purtroppo i numeri sono aumentati, ndr). Secondo lo stesso articolo: «Diversi rapporti indicano che molti arrestati in seguito alle proteste sono stati sottoposti a sparizioni forzate, detenzioni in isolamento, torture e altri maltrattamenti». Dobbiamo aggiungere la ripugnante prassi dello stupro in prigione ai danni di giovani detenute. Ora, come abbiamo visto, si sono aggiunte le esecuzioni di detenuti e condannati in processi sommari e senza alcuna garanzia di difesa per gli accusati per il solo fatto di aver preso parte alle manifestazioni.
In diversi articoli e dichiarazionii della Lit-Quarta Internazionale (pubblicati sul sito www.litci.org: alcuni sono stati tradotti anche su questo sito) abbiamo espresso il nostro sostegno e la nostra solidarietà alla giusta lotta del popolo iraniano contro la dittatura degli ayatollah. In questo contesto, abbiamo sostenuto e promosso, tra le altre, una campagna internazionale contro la condanna a morte del calciatore Amir Nazr-Azadani.

Di fronte alle ultime esecuzioni ribadiamo questa posizione e chiediamo a tutte le organizzazioni che si dichiarano democratiche e per i diritti umani, in particolare alle organizzazioni dei lavoratori e di movimento, di raddoppiare gli sforzi a sostegno della campagna internazionale di condanna della repressione. Va espresso sostegno e solidarietà al popolo iraniano, chiedendo l'immediata cessazione delle esecuzioni e il rilascio delle migliaia di prigionieri politici. Si tratta di un compito urgente che non può limitarsi alle parole.

 

La ribellione diffusa

La forte e diffusa ribellione in Iran ha avuto un forte impatto internazionale. In altri articoliii, abbiamo cercato di ricostruire la storia dell'Iran fino alla situazione odierna, con particolare attenzione alla grande rivoluzione del 1979, all'insediamento del regime dittatoriale degli ayatollah e alle profonde contraddizioni sociali e politiche che questo regime non solo non ha risolto ma, al contrario, ha moltiplicato e aggravato.
In questo contesto, le donne, soprattutto le giovani, sono state in prima linea nel processo con la loro risposta alla dura oppressione e repressione subita per mano del regime clericale. È importante ricordare che la causa scatenante del processo di ribellione è stata l'indignazione per l'omicidio della giovane Mahsa Amini, arrestata dalla Pattuglia di orientamento religioso (nota come Polizia morale) per aver «indossato impropriamente l'hijab» (un tradizionale velo delle donne musulmane). A questa reazione di massa si sono uniti anche migliaia di giovani uomini (fratelli, amici, colleghi di scuola o di lavoro).
A queste questioni di base, si sono aggiunte altre tematiche che sono dei «conti in sospeso» che settori della popolazione del Paese hanno con il regime, in particolare le nazionalità oppresse come i curdi o i beluci (Masha Amini era curda) e, benché il fenomeno sia stato embrionale, la classe operaia sottoposta a dure condizioni di sfruttamento e priva del diritto di organizzare sindacati.
Questo ha aperto la strada a una ribellione diffusa e di tutto il Paese che mirava al rovesciamento del regime, un obiettivo che presto ha iniziato a comparire in diversi slogan e manifesti. Come abbiamo visto, il regime ha risposto con una dura repressione e, allo stesso tempo, è stato costretto a fare un parziale passo indietro e a sciogliere la Polizia Morale.

 

Qual è la situazione oggi?

Nell'affrontare l'analisi e la valutazione di questo processo, fin da subito abbiamo fatto una precisazione: siamo «consapevoli dei nostri limiti: la Lit-Quarta Internazionale non ha un'organizzazione nazionale in Iran (anche se abbiamo contatti con gli esuli iraniani all'estero). Pertanto, stiamo molto attenti nel formulare caratterizzazioni e proposte, perché potrebbero contenere errori di valutazione. Allo stesso tempo, però, abbiamo la conoscenza di esperienze storiche in situazioni simili e anche il capitale teorico che il marxismo ci fornisce per comprenderle».
Le nostre fonti di informazione sono, da un lato, le comunicazioni che le organizzazioni e i singoli partecipanti alle mobilitazioni inviano all'estero e, dall'altro, quelle fornite dalle agenzie di stampa internazionali.
Questa precisazione vale tanto più oggi, perché il flusso di informazioni su ciò che sta accadendo in Iran è stato drasticamente ridotto, in quanto il regime dittatoriale ha stabilito un blocco di Internet dal Paese verso il mondo esterno.
Le uniche mobilitazioni che siamo riusciti a documentare in modo attendibile sono quelle che si svolgono settimanalmente a Zehedan, capitale della provincia del Sistan-Baluchestan, una regione in cui il popolo dei beluci oppresso è stato duramente colpito dalla repressione (a settembre più di 90 persone sono state uccise in un solo giorno).
È quindi impossibile valutare se le mobilitazioni stiano continuando con la stessa ampiezza e intensità dell'anno scorso e il blocco di internet impedisca il passaggio di informazioni, oppure se, con la repressione, il regime sia riuscito a indebolire il processo (o a creare una situazione di stallo), anche solo temporaneamente.
Anche se fosse quest'ultima la situazione reale, nonostante la dura repressione non ci troveremmo di fronte a una schiacciante sconfitta del movimento e alla prospettiva di diversi anni di «tranquillità» per il regime, ma solo a una tregua temporanea che esploderà nuovamente in una ribellione generalizzata, come espressione delle forti contraddizioni che si sono accumulate. Anche in questo caso, solo il tempo ci dirà quale di queste alternative si realizzerà.

 

Divisioni all'interno del regime

Diversi analisti internazionali ritengono che il regime stia resistendo a questo assalto delle masse (come ha fatto di fronte a una precedente ondata nel 2018-19) ma che, allo stesso tempo, si stia indebolendo, consapevole di stare domando un vulcano già eruttato. Di fronte a questa realtà e a come rispondervi, sta anche iniziando a dividersi al suo interno. Un recente articolo dell'agenzia di stampa internazionale Afp riportava che «il regime iraniano è diviso su come porre fine al movimento di protesta scatenato dalla morte della giovane donna curda, oscillando tra la repressione e l'arrendevolezza, dicono gli analisti» Pertanto, il campo dei «falchi» spinge per la continuazione dei processi sommari e delle esecuzioni come messaggio del governo per intimidire i manifestanti. Un altro settore ha spinto per lo scioglimento della Polizia Morale e ora per il rilascio di alcune delle figure più note delle proteste, come Majid Tavakoli e Hossein Ronaghi, al fine di calmare le acque. L'articolo cita Anoush Ehteshami, direttore dell'Istituto di studi islamici e mediorientali dell'Università di Durham in Gran Bretagna: «All'interno del regime stesso ci sono divisioni su come gestire la situazione».
Se si considera il regime nel suo complesso, si tratta di questioni minori e molto specifiche. Tuttavia, dietro questa divisione sulla «gestione» immediata della situazione sembra esserci un dibattito più profondo su cosa fare in futuro. Ovverosia, se il governo debba diventare sempre più chiuso nel suo carattere repressivo o se invece fare qualche concessione di facciata per contrastare la pressione delle masse e mantenere così il regime nel suo complesso. Nel contesto di questo dilemma (e di questa possibile divisione interna), il professore universitario Afshin Shahi sostiene che «il regime non sembra avere una strategia chiara».
Ciò che è chiaro, invece, è che questa incipiente divisione del regime è il risultato di questa ondata di ribellioni e che lo rende più debole. È vero che nei suoi 44 anni di esistenza il regime ha dimostrato una capacità di adattamento e di contenimento delle ribellioni popolari. Ma questa recente ondata è più diffusa e più forte di quelle precedenti e, in questo senso, gli lascia meno spazio di manovra. La realtà ci dirà se questa nuova situazione del regime contribuirà a mantenere e rafforzare la ribellione del popolo iraniano nella prospettiva del suo rovesciamento rivoluzionario attraverso l'azione del movimento di massa.
A questo punto, non ci resta che ribadire al popolo iraniano alcune proposte che abbiamo avanzato con molta attenzione negli ultimi mesi, come quella di unificare le varie richieste attorno all'asse centrale: abbasso la dittatura degli ayatollah! per il suo rovesciamento, e la necessità, per portare avanti questo obiettivo, come dimostra l'esperienza storica, che i lavoratori e le masse costruiscano nuclei di organizzazione e di lotta nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole e nelle università, e che questi nuclei siano coordinati in comitati regionali e in uno nazionale, con rappresentanza democratica.
A livello internazionale, ribadiamo la proposta e l'invito a mantenere e sviluppare una grande campagna di sostegno e solidarietà a questa grande lotta del popolo iraniano, così come il nostro impegno a promuoverla con tutte le nostre forze.

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