Verso il IV Congresso del Pdac
Intervista a Laura Sguazzabia
(Responsabile Commissione Lavoro Donne PdAC)
In vista del IV Congresso del Pdac, intervistiamo Laura Sguazzabia, responsabile della Commissione Lavoro Donne del Pdac. Partiamo dall’analisi della situazione attuale delle donne in Italia e nel mondo.
Le donne soffrono in questo sistema di un’oppressione fortissima da un punto di vista produttivo e riproduttivo, oggi maggiormente accentuata dalla crisi economica globale che le vuole sempre più fuori dal mercato del lavoro per far posto agli uomini e sempre più relegate tra le mura domestiche a svolgere quei compiti di cura, nonché di riproduzione di forza lavoro, cui i governi (persino quelli dei Paesi a cosiddetto capitalismo avanzato) non vogliono più far fronte. Facciamo degli esempi concreti relativi alla situazione italiana: i tagli alla scuola o alla sanità colpiscono le donne due volte, prima come lavoratrici che perdono il posto di lavoro (i servizi sono, infatti, i settori a più alto tasso lavorativo femminile), e poi come donne che, in quanto madri o figlie, si devono occupare di bambini ed anziani in mancanza dei servizi da cui sono state estromesse; inoltre, il loro diritto all’autodeterminazione in tema di scelte riproduttive è minato sia dall’obiezione di coscienza che impedisce una corretta applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza sia dalla trasformazione dei consultori da luoghi pubblici, gratuiti e aperti a tutti, a luoghi privati e confessionali. Sono solo alcuni dei limiti che le donne incontrano quotidianamente e che le spingono sempre più a dipendere dagli uomini e a restare a casa, privandole della possibilità di partecipare alla vita politica, sociale e culturale.
Eppure in molti potrebbero portare esempi di donne che hanno raggiunto nella vita politica, sindacale e professionale traguardi di grande visibilità: Angela Merkel, ad esempio, è una donna e, al contempo, riveste l’incarico politicamente più importante d’Europa. Come rispondi a questi esempi?
Rispondo
che quest’esempio è fumo negli occhi. Angela Merkel, e le altre donne che
raggiungono gli apici a livello professionale, anche in campi fino a qualche
tempo fa d’esclusiva competenza maschile, come banche e grandi multinazionali,
oppure diventano leader d’importanti Paesi o d’organizzazioni di massa,
sono usate quali rassicuranti esempi del fatto che la parità tra uomini e donne
è possibile. Infatti, secondo la teoria tutta borghese della “differenza di
genere”, tra uomini e donne esiste una differenza che rende ad oggi la
condizione femminile particolarmente difficile ma le donne sarebbero sulla strada
di una possibile, seppur ardua e complicata, emancipazione.
La
realtà dimostra che non è possibile porre fine alla disuguaglianza all'interno
di questo sistema, anche se ci sono donne che hanno accesso a posti di potere:
come donne borghesi, accettando le dinamiche di questo sistema, non possono
essere considerate un esempio perché complici dell'oppressione e dello
sfruttamento che impongono alla maggioranza delle donne lavoratrici. Tutte le
conquiste e i passi avanti in direzione dell'uguaglianza che le donne
ottengono, sono continuamente minacciati perché ogni volta che il sistema ha
bisogno di uscire dalle sue crisi, utilizza l'oppressione sulle donne e su
altri gruppi sociali per dividere la classe lavoratrice e sfruttarla
maggiormente. Le condizioni materiali di una società basata sul profitto e
sullo sfruttamento della maggioranza dell’umanità causano l’oppressione
femminile, che nessun’ideologia ugualitaria, nessuna propaganda, nessun
progetto solidale potranno mai superare. L'emancipazione della donna dalla
doppia oppressione capitalista non potrà vedere la luce se non attraverso la
lotta che pone al centro la questione operaia: l'emancipazione della donna e
l'emancipazione della classe operaia vanno di pari passo, non si possono
realizzare se non insieme, attraverso una lotta che ha per obiettivo la
rivoluzione della classe del proletariato.
In base a questa visione d’obiettivo, comune tra uomo e donna, come affrontare il problema del maschilismo, manifestazione dell’oppressione di un sesso sull’altro?
In
realtà le due idee non si escludono, anzi sono intimamente connesse. Non
neghiamo certo che uomini e donne siano diversi. Questa differenza di per sé
non sarebbe un problema, se non fosse utilizzata per sottomettere o mettere in
svantaggio le donne nella società attuale: nel ridicolizzarle, nelle varie
forme di violenza (sessuale, verbale, psicologica, fisica), nella
mercificazione del corpo femminile, nella svalorizzazione delle donne nel mondo
del lavoro, nella trasformazione della donna in “angelo del focolare”, nel
considerare legittime le pressioni psicologiche degli uomini nei confronti
delle donne, nel giudicare i loro comportamenti (ad esempio sessuali) con
criteri diversi rispetto agli uomini, ecc.
Noi
riteniamo che il maschilismo non sia una condotta individuale adottata da
alcuni uomini e da altri no, ma un’ideologia utilizzata nell’odierno sistema
capitalista per giustificare l’oppressione delle donne, soprattutto ricorrendo
ad alcuni stereotipi trasmessi dalla scuola, dalla famiglia, dalla religione,
attraverso i mezzi di comunicazione e da tutte le istituzioni. Perciò fin dalla
nascita comportamenti, gusti e inclinazioni maschili e femminili sono modellati
in conformità a ciò che è culturalmente e socialmente accettabile: in questo modo
le donne, già da bambine, sono educate per ricoprire i ruoli di mogli e madri,
dedicate alle responsabilità del lavoro domestico e alla cura dei familiari.
Gli
uomini lavoratori che praticano atti di maschilismo e difendono quest’ideologia
finiscono, più o meno consapevolmente, per difendere i padroni. Quando un
lavoratore smette di praticare atti maschilisti ed assume le rivendicazioni
contro l’oppressione femminile, indebolisce l’obiettivo dei padroni di dividere
per sfruttare. Ad ogni diritto che è strappato alle donne, è commesso un
sopruso in più ai danni dei diritti di tutti i lavoratori. Per questo le
organizzazioni dei lavoratori devono assumere come proprie le rivendicazioni
delle donne.
Qualcuno potrebbe chiedere se le militanti e i militanti del Pdac siano immuni dal subire o praticare atti di maschilismo…
Le
pressioni del sistema sono tali per cui nemmeno i militanti sono immuni a
questo condizionamento. Tuttavia, lo studio e la formazione ci aiutano per
ostacolare, nel partito, pratiche maschiliste. All’interno del partito è stato
avviato un lavoro “didattico” rivolto sia alle compagne sia ai compagni, di
recupero della tradizione bolscevica e dei classici marxisti-leninisti,
strutturato in giornate di formazione e d’approfondimento; sul sito, sul
giornale e sulla rivista teorica del partito sono sempre presenti contributi
inerenti alla condizione femminile, attuale e del passato.
Le
compagne impegnate nella battaglia politica sono uniformemente distribuite ad
ogni livello gerarchico, dalla semplice militanza alla dirigenza, anche se
rimangono ancora in numero esiguo. Il numero inferiore di compagne militanti
donne rispetto al numero di compagni è tuttavia spiegabile con le pressioni che
molte donne, che vorrebbero avvicinarsi alla politica e al nostro partito,
ricevono nella sfera privata e sociale perché l’attività politica mal si
concilia con altri impegni cui la società, come dicevamo, delega le donne.
Quindi, possiamo affermare che il tema della condizione femminile è al centro del lavoro politico del PdAC, anche in periodo extra congressuale.
Certo, e negli anni il lavoro su questo tema si sta
rafforzando. Allo scorso congresso, ad esempio, il tema dell’oppressione
femminile era affidato ad un breve contributo d’analisi della condizione delle
donne a livello globale. Oggi, in questo IV Congresso del Pdac, al tema è
dedicato un intero documento che rappresenta anche uno degli assi centrali
della nostra battaglia politica, attuale e futura. E’ la realtà storica di
questo periodo che ce lo impone. In più parti del mondo stiamo assistendo ad
eventi rivoluzionari che hanno spesso per protagoniste le donne: le rivoluzioni
in Nord Africa e Medio Oriente, le lotte in Brasile, in Palestina, in Spagna ma anche nella stessa Italia, pur se
in tono minore, hanno visto le donne in
prima fila nella lotta per la tutela dei propri diritti e dei diritti della
classe lavoratrice nel suo insieme. E’ stata l’analisi di questi eventi a
determinare la convinzione che le questioni femminili non possono, e non devono,
restare relegate alle scadenze da calendario ma che occorre intervenire in ogni
contesto di lotta evidenziando il legame tra l’oppressione di classe e quella
delle donne. Alla Commissione Lavoro Donne è demandato il coordinamento di
questo lavoro tra le proletarie ma, per i motivi che ho esplicitato prima, tale
intervento deve essere supportato dal partito nel suo insieme con la sua
struttura e la sua organizzazione. In questo lavoro non siamo sole ed è
importante ricordare sempre che il nostro partito è sezione italiana della
Lit-Qi, La Lega internazionale dei lavoratori-Quarta Internazionale e le
compagne militanti di tutti gli altri partiti della Lit-Qi sono impegnate nel
medesimo lavoro, e con loro ci scambiamo le nostre esperienze e lavoriamo su questo
tema in tutti i Paesi dove siamo presenti, con lo stesso obiettivo.
In
Italia è da segnalare, inoltre, il contributo che, come compagne e compagni del
Pdac, offriamo alla costruzione del coordinamento di lotta No Austerity, anche
attraverso i collettivi di Donne in lotta: in alcune città sono nati gruppi di
donne che, pur tra mille difficoltà, stanno prendendo coscienza del legame tra
la loro condizione e l'attuale sistema economico, donne desiderose di
impegnarsi nella battaglia contro la privazione dei diritti lavorativi e
sociali, una battaglia comune tra uomini e donne proletari.
Aprile 2015